Direttore: Alessandro Plateroti

In questo primo scorcio di anno, per quanto l’andamento dei mercati sia stato un po’ meno lineare di quanto avvenuto nell’ultimo trimestre 2023, ben 18 listini hanno ritoccato i propri massimi. Nessuna area geografica è rimasta esclusa: oltre a Wall Street, che venerdì ha nuovamente aggiornato il record, l’Europa continua a dare segnali di forza, con Parigi e Francoforte, nonostante la “fatica” della Germania a tenere il passo. Ma l’accelerazione ha coinvolto molti altri Paesi: in Asia Giappone, India e Taiwan, in Sud America Ecuador, Cile e Perù, fino ad arrivare all’Est Europa (Polonia, Romania, Ungheria) e alla Turchia.

L’Italia, nonostante il nostro MIB, sia stato, negli ultimi 18 mesi, il migliore tra i listini dei mercati sviluppati (+ 61,8%) dista ancora circa il 30% dai propri massimi (siamo a 33.403 punti), i famosi 51.273 punti toccati proprio 24 anni fa (era il 7 marzo 2000), nel pieno della bolla tech. Va detto, però, che alcuni listini (per esempio il Dax di Francoforte) cumulano” i dividendi distribuiti, mentre il nostro non li “aggiunge” al proprio valore, generando, quindi, un po’ di confusione (se dovessimo anche noi ricomprenderlo, probabilmente anche li listino milanese sarebbe sui massimi).

Peraltro, è un dato di fatto che il nostro indice sia, nonostante la corsa partita circa 1 anno e mezzo fa, ancora tra i più convenienti. Si calcola, infatti, che mentre l’Eurostoxx viaggi a 12,5 volte gli utili attesi, il nostro MIB quoti circa 9 volte, con uno “sconto”, quindi, del 30% (negli ultimi 5 anni era stato, mediamente, del 19%).

Una constatazione che non significa che la corsa continuerà senza sosta e che il “gap” per forza di cose venga colmato.

Come sappiamo, i mercati sono fortemente saliti spinti dalle attese di una riduzione dei tassi e da un “atterraggio morbido” dell’economia. Elementi che, ogni giorno di più, appaiono sempre più probabili (vedi le dichiarazioni dei banchieri centrali della settimana scorsa). Ma ciò che, più di ogni altra cosa, contribuisce a sostenere i listini mondiali è l’enorme quantità di liquidità che continua a riversarsi sui mercati. Vero è che le Banche Centrali di mezzo mondo stanno riducendo i propri bilanci (in primis la FED americana), ma è ancor più vero che 2 tra le più grandi (e potenti), invece, li stanno facendo crescere. In Giappone la Bank of Japan continua a rimandare l’inizio del rialzo dei tassi (il Giappone è l’unico Paese al mondo in cui sono ancora negativi), mentre in Cina la Banca Popolare cinese, con l’obiettivo di sostenere l’economia, soffocata dalla crisi immobiliare e dagli scarsi consumi, è impegnata da mesi in interventi espansivi. Si calcola che solo negli ultimi 6 mesi la liquidità presente sui mercati globali sia aumentata di almeno $ 8.000 MD. Una cifra che rende più semplice comprendere come mai praticamente qualsiasi asset sia, in questo periodo, cresciuto senza sosta, toccando, in molti casi, nuovi record: l’oro, proprio venerdì scorso, è arrivato a $ 2.185, massimo di sempre (il metallo giallo è il primo a beneficiare della riduzione dei tassi, il suo principale “competitor”), il bitcoin ha toccato i $ 70.000, gli spread hanno ripreso a scendere.

In molti si chiedono se si sia vicini ad una nuova bolla (come ad inizio millennio).

Rispetto ad allora, va detto che molte delle società che hanno sostenuto i listini (la tecnologia, con particolare riguardo all’intelligenza artificiale, è il principale artefice) oggi sono in grado di offrire un “ritorno” al capitale investito, cosa che non accadeva all’epoca della bolla tech. Indubbiamente un fattore decisivo è stato l’incredibile rialzo delle “magnifiche 7” (le sette società tech a maggiore capitalizzazione), anche se, oramai, ridotte a 6 (ma secondo alcuni a 4, per via delle vendite che hanno colpito Tesla, – 21% da inizio anno, ma anche, seppur in maniera molto inferiore, Apple e Alphabet-Google). Peraltro, il fatto che il loro rialzo cominci ad essere messo in discussione, potrebbe costituire una nuova spinta per i mercati: infatti, se togliamo Amazon, Microsoft, Meta e Nvidia, oltre alle 3 appena citate, vedremo che il Nasdaq non si è mosso in maniera così decisa. Ecco, quindi, che si gli acquisti vanno su titoli rimasti più indietro, come molti gestori e banche d’affari prevedono, c’è spazio ancora di segnali di forza, grazie ad un “riequilibrio” delle quotazioni a vantaggio delle “small e medium cap”.

Questa mattina mercati asiatici piuttosto contrastati.

“Paga pegno” il Giappone, con il Nikkei che arretra del 2,19%, penalizzato dall’apprezzamento dello yen.

Bene, invece, Hong Kong, dove l’Hang Seng sale dell’1,32%, e Shanghai (+ 0,74%). A favorire gli indici cinesi la pubblicazione dei dati relativi all’inflazione, con i prezzi, finalmente, in rialzo, ben oltre il + 0,3% atteso dagli analisti.

In discesa le borse di Corea del Sud e Australia, rispettivamente a – 0,7% e – 1,8%.

Intorno alla parità i futures, sia quelli europei che quelli americani.

In calo il petrolio, con il WTI che questa mattina passa di mano a $ 77,84 (- 0,33%).

Gas naturale Usa a $ 1,817 (+ 0,44%).

Ora stabile A $ 2.186.

Spread sotto i 130 bp (129,2).

Btp al 3,57%, tornato quindi al rendimento di inizio anno.

Bund a 2,26%.

Treasury a 4,06%.

Ancora forte l’€, con €/$ a 1,0946.

Riprende a correre il Bitcoin, arrivato a toccare i $ 70.800.

Ps: rimaniamo dunque fermi a La grande bellezza di Paolo Sorrentino. Nulla da fare, dunque, per “Io capitano” nella notte degli Oscar. Ad essere premiato, come miglior film straniero, “La zona d’interesse”. Due film che, da punti di vista diversi, raccontano quelle che, probabilmente, sono le 2 più grandi tragedie dell’ultimo secolo.

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ultimo aggiornamento: 11-03-2024


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