Direttore: Alessandro Plateroti

L’MSCI World Index è l’indice che raggruppa 1480 titoli di società grandi e medio grandi quotate in 23 Paesi sviluppati, con una “copertura” (il livello di capitalizzazione) pari all’85% del valore di ogni listino. Esprime, quindi, una rappresentazione assolutamente realistica dello scenario globale.

Se si prendono a riferimento unicamente le società americane presenti nel listino, la loro quotazione supera quella di tutto il resto del mondo messo insieme.

Ma un altro dato forse rende ancora meglio il contesto in cui ci troviamo.

L’MSCI permette di reperire indici di qualsiasi genere, sia a livello geografico, che per dimensione di società quotate, che di tipologie di asset classes, valute, tassi, materie prime etc etc. Si calcola che gli indici disponibili siano addirittura 160.000, un numero sterminato, che fotografa le dimensioni raggiunte dai mercati finanziari, come altri numeri testimoniano: debito globale $ 390.000 MD, capitalizzazione complessiva $ 110.000 MD, PIL mondiale compreso tra $ 90.000 MD e $ 100.000 MD. Mediamente, il valore delle aziende e/o degli asset americani è pari al 54,21% del valore complessivo degli asset, con punte che arrivano al 69,20% (nel 2008 la media non superava il 42,44%).

Non passa giorno in cui non si parli di un ristretto gruppo di società (7) che dominano la scena da circa 18 mesi, con un contributo fondamentale alla crescita dei listini.

Se guardiamo alla capitalizzazione delle maggiori società al mondo, su 7 ben 6 sono americane. E tutte a controllo privato. L’unica che non appartiene al “club” è la saudita Aramco (settore petrolifero), ovviamente a controllo statale (o meglio, della famiglia reale).

I 2 maggiori indici mondiali, a livello di Paese, sono il Nyse (New York Stock Exchange) e il Nasdaq (tecnologico), che valgono rispettivamente $ 25.000 MD e $ 21.700 MD, che, su una capitalizzazione complessiva, come detto, pari a circa $ 110.000 MD significa il 42,7%. Il terzo listino per capitalizzazione è l’Euronext, lontano, però, “anni luce” dai listini USA, fermandosi a $ 7.200 MD; il quarto è lo Shanghai Stock Exchange, che non supera i $ 6.700 MD. Il nostro MIB, nonostante la forte crescita degli ultimi 18 mesi, non va oltre i 757 MD, ben sotto l’1% della capitalizzazione mondiale.

Numeri che ci dicono, evidentemente, un po’ di cose.

La prima considerazione ci racconta una dicotomia evidente: se è vero che oggi il mondo è “orfano” di una vera leadership politica, è altresì vero che i mercati finanziari sono sempre più “Americacentrici”, con Wall Street che, sempre più, influenza gli altri mercati.

Ne consegue che qualsiasi gestore, oggi, non può prescindere da prendere in considerazione quel mercato se vuole “portare a casa” performance.

Fattore, questo, determinato anche da un altro elemento: spesso le dimensioni delle società americane (come confermato da quanto scritto sopra) sono tali per cui gli stessi “sistemi automatizzati” vanno a “pescare” quei titoli, inserendoli per default nei portafogli. Generando una sorta di “effetto a catena” (basti pensare agli ETF, per definizione “fondi passivi”, che si muovono parallelamente agli indici di riferimento).

La terza, che, però, dovrebbe essere quella di partenza, è che l’economia americana dimostra, non da ieri, un dinamismo che non ha eguali al mondo, con una crescita nettamente superiore, nel tempo, a quella di qualsiasi altro Paese. Per quanto i mercati leggano “in anticipo” le fasi economiche, appare evidente che la loro lettura conferma che la forza, non solo “relativa”, dell’economia USA è in grado di superare gli ostacoli (vedi l’inflazione, i tassi, le crisi geopolitiche, etc) che periodicamente si frappongono. A maggior ragione in un anno elettorale, in cui i 2 candidati fanno a gara in “promesse” elettorali, con politiche fiscali piuttosto espansive, allargando, di fatto, la “base monetaria” e, quindi, con più soldi a disposizione dei cittadini.

Questa mattina, in Asia, svetta ancora, e di tanto, l’Hang Seng di Hong Kong, in rialzo di oltre 3 punti (3,23%). In crescita un po’ tutto i settori, da quello tecnologico a quello immobiliare, il più penalizzato da molti mesi a questa parte. A Tokyo il Nikkei recupera le perdite iniziali, portandosi sostanzialmente sulla parità.

Rimane in territorio negativo Shanghai, in calo dello 0,40%.

Rimbalzano un po’ ovunque i futures, con rialzi che arrivano a superare, come nel caso del “solito” Nasdaq, lo 0,60%.

Poco mosso il petrolio, con il WTI sempre in area $ 78 (78,25, + 0,30%).

Gas naturale Usa a $ 1,758 (- 0,28%).

Leggero arretramento, questa mattina, per l’oro, a $ 2.183 (- 0,32%).

Spread sempre intorno ai 130 bp (130,5).

BTP al 3,62%, in leggera risalita dai minimi di ieri.

Bund 2,30%.

Treasury al 4,09%.

€/$ sempre intorno a 1,093/1,094.

Continua “la festa” per il bitcoin, sempre sopra i $ 72.000 (72.173): su questi prezzi la sua capitalizzazione vale oltre $ 1.400 MD.

Ps: i meno giovani ricorderanno una canzone che, negli anni 60, ottenne, in Italia, un grande successo, il cui ritornello faceva “non sempre si può vincere, bisogna saper perdere” (la cantavano The Rokes). Titolo che ben potrebbe riferirsi a Bradley Cooper: il noto attore, infatti, ha dalla sua ben 12 candidature agli oscar (non solo come attore, essendo anche produttore). Ad oggi, però, non ha portato a casa neanche una statuetta. “Zero tituli”, come direbbe un noto allenatore (peraltro disoccupato in questo periodo).

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ultimo aggiornamento: 12-03-2024


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