Direttore: Alessandro Plateroti

E così, anche per la BCE, dopo le parole di Powell dell’altro giorno, il taglio dei tassi non è più un tabù. L’argomento non è stato discusso, nella riunione di ieri, dal Comitato Direttivo della Banca Centrale, ma nelle sue dichiarazioni a margine dell’incontro, Christine Lagarde ha dato poco spazio ai dubbi, lasciando intendere che, con molta probabilità, la data del 6 giugno (in cui è già calendarizzata una nuova riunione) sarà quella della svolta.

Evidentemente la riduzione delle stime del PIL europeo (dal già modesto + 0,8% si è passati allo 0,6%) preoccupa meno dell’eventuale “rigurgito” dei prezzi. Anche sul lato inflazione la BCE, peraltro, conferma la sua view positiva, prevedendo, da qui al 2026, una riduzione al 2,3% per l’anno in corso, poi al 2,0% per il 2025, per atterrare all’1,9% (quindi al di sotto del “target” del 2%) l’anno successivo.

Il ricordo di quanto successo negli anni ’70 del secolo scorso, quando, dopo una discesa dai massimi le banche centrali adottarono, senza attendere oltre, politiche monetarie nuovamente molto “permissive”, causando un “ritorno di fiamma” che costò molto caro, evidentemente è ancora molto forte. Certo che mantenere un livello di tassi al 4,50% (4% per i depositi), a fronte di un’inflazione ormai prossima alla metà (in Italia addirittura è sotto l’1%) può costare altrettanto (se non di più) caro.

Analizzando più da vicino alcuni dati, scopriamo che ciò che forse più di ogni altra cosa pone un freno alla decisione di “alleggerire” la politica monetaria è il costo del lavoro, salito, per unità di prodotto, del 4,4% anziché del 4,1%. Aspetto che, secondo alcuni banchieri centrali che siedono nel Comitato Direttivo, potrebbe “togliere” margine alle imprese, frenando la crescita. Una scuola di pensiero che potremmo definire ulteriormente “restrittiva”. A cui si potrebbe obiettare, piuttosto banalmente, che tagliando i tassi, il sistema recupererebbe senz’altro competitività: il rialzo del PIL pareggerebbe (nel peggiore dei casi) il maggior incremento (comunque nell’ordine di decimali) del costo del lavoro, ridando slancio all’economia UE, oggi in affanno, con il gap con quella USA sempre più ampio.

Anche perché, allargando lo sguardo a quanto succede nel mondo, non sembrano ci siano nuove spirali inflazionistiche. Se le crisi geo-politiche (con particolare attenzione a quella medio-orientale) hanno portato il prezzo dell’oro ai massimi di sempre (peraltro non ne sono l’unica causa), altrettanto non si può dire per i prezzi, in primis delle materie prime. Il petrolio e il gas sono rimasti pressochè invariati (il gas addirittura è sceso): chi ne ha maggiormente risentito sono i noli marittimi, visto il blocco, parziale, del Golfo di Aden, passaggio obbligato verso il Canale di Suez e il Mediterraneo. Ma il loro impatto sui prezzi finali è piuttosto modesto, in un range che non supera lo 0,15%.

La prudenza della BCE, quindi, comincia ad apparire un po’ troppo eccessiva: forse, senza attendere altri 3 mesi, qualche segnale, anche se “tiepido”, dovrebbe arrivare un po’ prima. Secondo Goldman Sachs i tagli, da parte della BCE, dovrebbero essere 4 (dello 0,25% ognuno): in 6 mesi, quindi, la riduzione dovrebbe attestarsi all’1%. Fermo restando il numero dei tagli e il loro valore, partire da aprile potrebbe permettere di ritornare almeno al valore di stima iniziale della crescita in Europa (0,8%). Anche perché è notorio che gli effetti, sulla crescita quando si parla di tagli, sul controllo dell’inflazione quando di parla di inasprimento, è sempre “spostato” nel tempo di qualche mese. 

Fatto sta che i mercati continuano a vedere un bicchiere sempre più mezzo pieno. Ne abbiamo avuto conferma ieri, giorno in cui tutte le asset class (a parte i mercati asiatici, che avevano aperto la giornata sotto il peso delle vendite) hanno continuato la loro corsa. I listini azionari (in primo luogo quelli USA), hanno ritoccato i loro massimi, il prezzo dei bond è ancora salito, riducendo i rendimenti, gli spread si sono “chiusi” ulteriormente (esempio ne è il nostro, che ieri ha toccato un minimo di 128, per poi tornare verso i 130 bp), l’oro ha continuato la sua marcia, e persino il bitcoin, il cui “parallelismo” con alcuni listini è sempre più evidente, è tornato vicino ai massimi di sempre. La “paura di perdere il treno” (il famoso “FOMO”, Fear Of Missing Out) sembra, quindi, la vera benzina dei mercati.

Dopo le brillanti chiusure di Wall Street di ieri sera (Dow Jones + 0,34%, Nasdaq + 1,56%, S&P 500 + 1,03%), i mercati asiatici si apprestano a concludere la settimana tutti in rialzo.

Il Nikkei ha ripreso il suo tran-tran (che continua oramai da oltre 15 mesi), in rialzo dello 0,23%.

Meglio fanno i mercati Great China, con Shanghai che sale dello 0,61% e Hong Kong a + 1,20.

Bene anche Seul, in salita dell’1,1%.

Futures europei e americani intorno alla parità.

Petrolio in lieve ripresa, con il WTI vicino a € 80 (79,54, + 0,66%).

Scende, per contro, il gas naturale Usa, a $ 1,799 (- 1,27%).

Sempre in “orbita” l’oro, a $ 2.168.

Spread appena sotto i 130 bp (129,4), con il BTP al 3,61%, ai minimi dal gennaio 22.

Bund al 2,30%.

Treasury 4,08%.

Continua la fase di relativa debolezza del $, con l’€/$ a 1,0934.

Bitcoin a $ 68.335, ad un passo dal record.

Grazie come sempre per l’attenzione.

Ps: che, nella scuola italiana, ci sia qualcosa che non funziona è cosa piuttosto chiara. Ne abbiamo ulteriore conferma mettendo a confronto i risultati dei test Invalsi, che valutano il livello di apprendimento degli studenti, con i voti ottenuti agli esami di maturità. Alla scorsa maturità, il risultato delle prove nazionali ci dice che solo 1 su 2 ha ottenuto un livello di preparazione sufficiente (2 su 3 al nord, molto più basso al sud). Il che “stride” con i numeri della maturità, secondo i quali il livello di preparazione dei nostri ragazzi è più che adeguato (in Puglia e Calabria addirittura il 5,6% con la lode….).

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ultimo aggiornamento: 08-03-2024


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