Si è fatto un gran parlare, in questi giorni, della crisi che ha messo in ginocchio alcune banche americane e uno dei più noti Istituti svizzeri:la preoccupazione, neanche troppo latente, era il riaffacciarsi di un nuovo caso “Lehman brothers”, che mise in ginocchio il settore nel 2008, con le conseguenze che tutti ricordiamo.
Pochi giorni hanno permesso di comprendere che siamo di fronte ad una situazione ben diversa: difficile, in poche righe, spiegare in modo esaustivo le ragioni e le differenze, ma qualcosa si può dire.
Innanzitutto, quella fu una crisi partita da crediti diventati in poco tempi “incagliati” e poi inesigibili. Una vera e propria “bomba” che, unitamente ad una inadeguata copertura patrimoniale (accantonamenti) ha messo in ginocchio il settore, portando al fallimento decine di Istituti. Le dimensioni di molti di questi e la diffusione geografica del fenomeno hanno portato al contagio, rendendo la crisi pressochè planetaria.
Questa volta, come noto, si parla, per quanto riguarda le banche americane, di strutture regionali, molto diffuse nei singoli Stati (in Usa le banche commerciali sono oltre 4.600: in Canada, tanto per fare un raffronto, 34, con le 4 più grandi che detengono il 90% delle quote di mercato). In più, la Silicon Valley, di cui pochi, sino ad un paio di settimane fa, conoscevano l’esistenza, si rivolgeva, di fatto, ad un unico settore, quella della tecnologia e delle start-up californiane. Diverse le dimensioni di Credit Suisse, ma anche le cause, imputabili ad una gestione “allegra” del business, alla ricerca di “facili guadagni”, senza una adeguata attività di controllo, nel caso della banca svizzera, in una non accorta gestione degli accantonamenti nel caso della banca americana. La contemporaneità della crisi, quindi, appartiene al caso e non a qualche connessione tra i 2 sistemi.
Dire che la crisi delle banche americane parte dal rigore monetarie può apparire fuorviante: le nuove stringenti politiche monetarie non sono “un’esclusiva” della FED, come ben sappiamo (non più tardi di una settimana fa la BCE ha portato i tassi al 3,50%, ieri è stata la volta della Svizzera, seppur l’inflazione siano lontanissima dagli standard europei, e della Bank of England (dove invece l’inflazione supera le 2 cifre), entrambe con un rialzo dello 0,25%.
Alla base ci sono regole diverse: molto più severe per quanto riguarda l’Europa, più blande negli Stati Uniti(senza contare l’ulteriore “alleggerimento” voluto dall’amministrazione Trump, che ha innalzato a $ 250MD la linea di confine tra piccole/medie e grandi banche (prima erano ritenute grandi le banche oltre i $ 50MD di attivi).
Da quando i tassi hanno iniziato ad aumentare, si calcola che dalle banche Usa siano usciti più di $ 1.000 MD alla ricerca di rendimenti più interessanti. Un fenomeno che le nuove modalità operative in uso (oggi l’home banking è usato da tutti, nel 2008 era ancora un terreno quasi sconosciuto: all’epoca per spostare denaro ci si doveva recare allo sportello, oggi basta un click) hanno reso velocissimo, alla portata di tutti e, ancor di più, rendendo difficile l’attività di “retention” da parte delle banche.
La mancanza di regole precise ha fatto la differenza: mentre in Europa sono state introdotte, dalla BCE e dalla UE, regole stringenti, che obbligano gli Istituti a depositare, presso la Banca Centrale, una “garanzia” (il capitale di vigilanza), unitamente al fatto che devono comunque mantenere un certo livello di liquidità per fronteggiare eventuali impreviste e repentine richieste di prelievo da parte dei clienti (con frequenti controlli – gli “stress test” – da parte degli organi di controllo), il sistema americano consente “libertà di movimento” ben più ampie. Ecco quindi che nessun “controllore” si è posto il problema nel momento in cui molti Istituti, come appunto la Silicon Valley Bank, impegnati a ricercare rendimenti più interessanti, hanno investito buona parte dei depositi in strumenti garantiti sì (a scadenza) ma con un orizzonte temporale “lungo” (10 anni e oltre). Il rialzo dei tassi da una parte, il riacquisto di titoli dall’altra (il tightening easing) ha portato al crollo delle quotazioni dei titoli , con i rendimenti che sono schizzati a livelli imprevisti. Come se non bastasse, “l’inversione della curva” ha fatto la differenza: il rendimento dei titoli a breve/brevissimo, in Usa, è ben superiore di quella dai 5 anni in su (il 6 mesi è arrivato a toccare il 5% vso il 4.5% del decennale). Quindi quello che si chiama Mmf (money market funds) ha rendimenti enormemente superiori a quello offerto dalle banche sui depositi. Un fenomeno che, per quanto fosse prevedibile, è stato reso quasi ingestibile dalla “velocità” in cui è avvenuto: si pensava che il deflusso, tra il 2022 e il 2024, sarebbe stato di circa $ 600 MD. Senonchè è avvenuto, secondo JP Morgan, in pochissimi giorni. Una situazione che non poteva non creare qualche “squilibrio sistemico”, in considerazione, appunto, del mix di velocità-dimensioni-regole insufficienti. Da qui l’intervento del Tesoro Usa che, nel caso della Silicon Valley, ha garantito tutti i depositi senza limiti di importo (negli Usa esiste il limite dei $ 250.000): una linea, però, che è parsa, per il momento, un po’ meno chiara riferita alle alte banche in difficoltà (vd la First Republic Bank), cosa che ha creato, nella giornata di ieri, qualche fibrillazione alle quotazioni dei titoli del settore bancario.
Dopo una giornata di alti e bassi, ieri sera chiusure positive per gli indici Usa: Nasdaq + 1,29%, Dow Jones + 0,23%, S&P 500 + 0,30%.
Questa mattina sui mercati asiatici prevale la debolezza, con discese comunque modeste: Nikkei – 0,15%, Shanghai – 0,64%, Hong Kong – 0,81%.
Futures ben impostati ovunque, con rialzi intorno al mezzo punto percentuale.
Stabile il petrolio, con il WTI a $ 70,37 (+ 0,49%).
Gas naturale Usa a $ 2,178 (+ 0,93%).
Oro in risalita verso i $ 2.000, anche se questa mattina in calo frazionale ($ 1.990,90, – 0,34%).
Spread poco mosso a 184 bp, con il BTP in area 4,05%.
Treasury Usa al 3,39%, In deciso ripiegamento anche il biennale, sceso al 3,78%, circa 20bp meno di ieri.
€/$ a 1,0833, con il biglietto verde in leggero recupero.
Bitcoin stabile a $ 28.300.
Ps: novel food. Così si definisce la nuova tendenza alimentare, che si basa su cibi derivati da grilli, larve, vermi e insetti in genere. Al di là dei gusti personali, un settore la cui crescita sembra essere solo all’inizio. A livello europeo, i consumi saliranno dalle 500 tonnellate del 2019 alle 900 del 2025 per esplodere a 260.000 nel 2030, con circa 400 milioni di consumatori. Indubbiamente essere aperti al cambiamento è un valore positivo. Rimane da definire se però è così per tutto…