Direttore: Alessandro Plateroti

Da sempre la forza della moneta è rappresentativa dello stato di salute di un Paese (a partire, ovviamente, dalla situazione economica). Stante questa lettura, gli Stati Uniti oggi più che mai godono di una salute buonissima, mentre l’Europa (peraltro in ottima compagnia) non se la passa così bene, se è vero, come è vero, che ieri il biglietto verde ha sfiorato la parità contro €.

Ma la stato delle cose non è sempre così semplice e schematico.

L’andamento di una valuta, infatti, dipende da molteplici fattori, e spesso non è una “rappresentazione fedele” della situazione in cui si trova un Paese.

Ad una prima analisi, gli USA oggi si trovano indubbiamente in una posizione privilegiata rispetto all’Europa (o meglio, della UE): l’economia “viaggia” quasi pieno regime, l’occupazione si trova vicina ai massimi storici (e quel poco di disoccupazione, si parla di un 3,6%, è sostanzialmente “pilotata” dalla FED), gli utili aziendali continuano a dare soddisfazioni più che buone agli azionisti. Ma l’andamento del $, ai massimi, non solo verso , da 20 anni (se l’ha perso oltre l’11% da inizio anno, lo yen perde il 16,2%, la sterlina il 12%, il $ neozelandese il 10,3%), risente oltre modo della politica monetaria molto aggressiva messa in atto da qualche mese dalla Banca Centrale. A fine luglio ci sarà un nuovo ritocco dei tassi americani, e oltre il 90% degli operatori si aspetta un rialzo non più dello 0,50% ma dello 0,75%. In Europa, invece, il 21 luglio, giorno in cui, dopo 11 anni, la BCE metterà mano al rialzo, le aspettative sono di un + 0,25%, dopo che si era arrivati a dare quasi per certo un aumento dello 0,50%. Cresce, quindi, il “differenziale” di tasso tra le 2 aree: a inizio luglio, per esempio, il delta, sulle durate a 2 anni, tra il treasury USA e il bund tedesco era del 2,21%, mentre ora siamo a 2,61%. Quello a 10 anni, forse ancora più indicativo, è salito da 1,55% a 1,74%.

Ma non è solo una mera questione di tassi. La recessione, infatti, fa paura: non che gli USA rimarranno, nel caso, indenni, ma la loro economia è senza dubbio più “resiliente” rispetto a quella di altre aree geografiche (come, appunto, quella europea), potendo contare, oltre che su una situazione di partenza migliore, anche su una indiscutibile indipendenza energetica, il vero anello debole, invece, per la UE (da ieri, come noto, il North Stream 1 è fermo, come ogni anno, per manutenzioni, ma questa volta le “manutenzioni” potrebbero andare molto più per le lunghe….).

E’ evidente che il “cambio” non è, per le Banche Centrali, “il” problema. Il problema è l’inflazione: tutti gli sforzi delle istituzioni monetarie vanno in quella direzione, facendo passare in secondo piano altre situazioni. Certamente la BCE, nel caso in cui la moneta unica venisse messa in discussione, interverrebbe, come tutti ben ricordiamo già successo nel 2012 (“whatever it takes”), ma siamo ben lontani da quel momento, con la speculazione che, al momento, sta alla larga. Diverse, molto diverse, peraltro, sono le condizioni generali: all’epoca si era reduci da una grave crisi finanziaria, mentre oggi il mondo è reduce, in sequenza, da pandemia-guerra-crisi energetica-inflazione-stretta monetaria….

Certo che la “perdita di valore” dell’ (ricordiamo che l’inflazione già è un “deflattore”, ma questo vale anche per il $) rende ancora più grave la situazione: Paesi come l’Italia, costretti ad importare l’energia di cui abbisognano, pagando in $, si ritrovano a far fronte ad esborsi sempre maggiori, con costi che lievitano ogni giorno di più (il fenomeno dell’inflazione “importata”), con il rischio di veder annullati gli sforzi, sotto certi versi enormi, che il Governo da mesi sta mettendo in atto per combattere, appunto, il caro energia.

Le chiusure negative di ieri sera a Wall Street (Nasdaq – 2,26%, Dow – 0,52%) pesano questa mattina sull’andamento dei mercati del Far East. Nikkei – 1,77%, Shanghai – 0,96%, Hong Kong – 1,10%. A rendere più difficile la situazione i nuovi, rigidissimi controlli che le autorità cinesi  stanno mettendo in atto a Shanghai per bloccare una nuova variante del virus.

Intanto crescono le attese sui dati dell’inflazione che domani verranno resi noti negli USA, con il consensus che prevede si arrivi al 9%.

Futures al momento negativi, con percentuali tra lo 0,5 e l’1%.

In calo il petrolio, con il WTI a $ 102,29, – 1.83%.

Gas naturale USA a $ 6,52, + 1,23%, mentre “lima” un pochino il megwattora, a € 165.

Oro che non si muove dai $ 1.734.

Spread a 209, con il BTP intorno al 3,25%.

$ sempre più vicino alla parità vso €: questa mattina tratta a 1,0029.

Cede, invece, i $ 20.000 il bitcoin, a $ 19.881, – 2,58%.

Ps: a Zhengzhou, città a 600km da Pechino, molti cittadini, rimasti coinvolti in una truffa da parte di quattro banche locali, sono scesi in piazza, manifestando (pacificamente) davanti alla filiale della Banca del Popolo cinese (la Banca Centrale della Cina). Senonchè hanno scoperto di essere tutti positivi al virus. Una “fatal combinazion”? Neanche per sogno: pare che le autorità locali, per non trovarsi di fronte la folla dei manifestanti, abbiamo manipolato la app sanitaria che ogni cittadino deve avere sul cellulare per potersi muovere. Questa è la Cina.

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ultimo aggiornamento: 12-07-2022


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