Direttore: Alessandro Plateroti

Oggi pomeriggio si riunisce (per concludersi domani) il Consiglio Europeo, con la partecipazione dei Capi di Stato e di Governo dei 27 Paesi membri.

In teoria la riunione dovrebbe l’avvio del 6°  piano di sanzioni alla Russia, con l’introduzione dell’embargo al gas e al petrolio provenienti dall’area. Ma già si sa che sarà impossibile arrivare all’avvio della “madre di tutte le sanzioni” in virtù dell’opposizione dell’Ungheria (dipendente per circa il 65% dalle forniture di petrolio russo). In tutti i modi Ursula von der Leyen ha cercato una mediazione (per esempio, quella di imporre l’embargo escludendo il petrolio che arriva all’Ungheria, Paese privo di sbocchi sul mare e quindi costretto a ricevere le proprie forniture solo per il tramite oleodotto), senza successo. In realtà il problema sembrerebbe un po’ più ampio e coinvolgerebbe anche la Germania. Infatti, l’oleodotto che attraversa l’Ungheria (chiamato Drushba, che tradotto significa amicizia), ad un certo punto si “biforca”: una parte prosegue verso la Polonia e la Germania, mentre un’altra va verso i Paesi slavi, tra cui, appunto, l’Ungheria. Indirettamente, quindi, la potenza tedesca potrebbe trarne vantaggio, a scapito degli altri Paesi dell’Unione.

Prende invece sempre più piede l’ipotesi che si arrivi successo della proposta voluta da Draghi di imporre un prezzo limite alle forniture di gas e petrolio. Decisione non semplice da mettere in atto, che potrebbe richiedere tempo (si parla di circa 3 settimane), per arrivare ad una proposta concreta in previsione del prossimo summit, previsto per fine giugno.

L’obiettivo sarebbe duplice. Il primo, evidentemente, di imporre un prezzo “calmierato” che riduca il flusso di denaro che giornalmente raggiunge la Russia e che altro non fa che finanziare la guerra. Il secondo, altrettanto importante, per arrivare a limitare le spinte inflazionistiche che tanti problemi stanno creando. Inflazione, vale la pena ricordarlo ancora una volta, che in Europa trova origine, più che negli USA, dai prezzi delle materie prime e dai costi della logistica (inflazione da offerta), ben diversa da quanto sta accadendo dall’altro lato dell’Oceano, dove la matrice è quella più “classica” e, sotto certi aspetti, più “dura” da debellare (quella da domanda, che si traduce in un aumento degli stipendi: una volta che sono cresciuti, diventa impossibile ridurli). Guardando a questo aspetto, peraltro, notiamo come, tra il 1990 e il 2020, rimanendo in Europa, i salari medi italiani siano quelli che, in assoluto, sono cresciuti meno in termini reali (anzi, sono decresciuti). Ci sono Paesi, come Lituania, Estonia e Lettonia, in cui sono cresciuti di oltre il 200%, altri, come Svezia, Irlanda o Polonia, saliti tra il 50 e il 100%, e infine altri con crescite più contenute, entro il 50%, per esempio la Germania (+ 33,79%), la Francia (+ 31,10%), la Spagna (+ 6,20%). Noi, invece, siamo tornati indietro del 2,90%, unico tra i 27 Paesi membri.

Intanto comincia anche a farsi strada l’idea di un nuovo Recovery Plan rivolto questa volta a temi più mirati, quali la ricostruzione in Ucraina, una volta che si sarà arrivati alla pace, piuttosto che alla difesa comune europea o alla transizione digitale, ultimamente un po’ accantonata a causa della ricerca spasmodica di nuove forniture fossili, le più facili da reperire. Non a caso, per esempio, il carbone proprio in questi giorni sta raggiungendo quotazioni record, con quello cinese arrivato a costare 881 yuan, dopo che la settimana scorsa era toccato a quello australiano.

Oggi i listini americani sono chiusi in concomitanza del Memorial day. Venerdì, dopo oltre 7 sedute consecutive in discesa, Wall Street ha chiuso la miglior settimana dal novembre 2020.

Tutte all’insegna del rialzo questa mattina le borse asiatiche: Nikkei + 2.19%, Hong Kong + 1,98%, Shanghai + 0,40.

Nonostante la chiusura di New York, i futures trattano normalmente, con un andamento molto positivo; Nasdaq + 1,40%, S&P 500 + 0,90%, mentre sembra più calma l’Europa, con rialzi intorno al mezzo punto percentuale.

Petrolio ancora verso l’alto, con il WTI a $ 116 (+ 0,74%).

Gas naturale + 1%, a $ 8,834.

Sale anche l’oro, che si porta a $ 1.866,70.

Spread che torna ad allargarsi, a 193 bp, con il BTP sempre in area 2,90%.

Non di muove il treasury, aggrappato al 2,74% di venerdì.

€/$ a 1.0771, con l’in leggero rafforzamento.

Rafforzamento che si fa più evidente per il Bitcoin: questa mattina, infatti, “strappa” di quasi il 6%, portandosi a $ 30.700.

Ps: si fa presto a dire “cambio le gomme”. Ieri un clamoroso errore di strategia è costato caro alla Ferrari, che ha letteralmente regalato il GP di Montecarlo. Ancora una volta si dimostra che a vincere spesso non è il “più forte” (in questo caso il più veloce), ma chi sa essere più “squadra”. Lo sa bene un tale Carlo Ancelotti, che sabato sera ha vinto, unico allenatore ad esserci riuscito, 4 Champions League (dopo che qualche settimana fa aveva vinto lo scudetto della Liga spagnola, arrivando, anche qui unico al mondo, ad essere il primo allenatore a vincere nei 5 maggiori campionati europei – Spagna, Francia, Germania, Inghilterra, Italia).

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ultimo aggiornamento: 30-05-2022


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