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L’ulteriore “taglio” alle forniture di gas annunciato da Gazprom, con la drastica riduzione, da domani, al 20% del flusso attraverso il gasdotto North Stream 1 (oramai lo conosciamo tutti), porta 2 conseguenze, una immediatamente “tangibile”, l’altra, almeno per ora, meno evidente.

E’ bastato che Mosca annunciasse il dimezzamento delle già risicate forniture attuali (eravamo al 40% delle capacità di trasporto, da domani passeranno al 20%) per fare schizzare il prezzo del gas a € 176 al megawattora, con un rialzo del 10%. Si spiega anche così la frenata che le borse europee hanno subito dopo l’annuncio: chi sta peggio è la Germania (non a caso il gasdotto termina in quel Paese), forse il Paese che maggiormente dipende dal gas russo. Lo conferma l’andamento dell’indice IFO, che misura lo stato di fiducia delle imprese, sceso a 88,6 punti, il minimo dal 2020. E anche le previsioni di molti economisti sul PIL del 2° trimestre non lasciano intravedere gran che di buono, con una nuova diminuzione, per quanto marginale, dello 0,1% dopo il – 0,2% del 1° trimestre. Certo che se la situazione tedesca dovesse perdurare, si prospetterebbe uno scenario non semplice anche per il nostro Paese, visti gli stretti rapporti economici con Berlino.

L’altra conseguenza, oggi meno “percettibile”, ma prospettivamente molto importante, riguarda l’austerity, vale a dire l’insieme delle misure che l’Europa (UE) dovrà assumere per ridurre i consumi e stabilire quella “solidarietà” che sta alla base del concetto di Europa.

Fermo restando la non obbligatorietà del provvedimento, nella riunione di ieri dei rappresentanti dei 27 Stati membri preparatoria al Consiglio di oggi dei Ministri dell’Energia, si è deciso che saranno i singoli Governi (e non quindi la Commissione Europea) a decidere la riduzione del 15% dei consumi. Per far scattare la richiesta sull’eventuale obbligatorietà delle restrizioni, sarà necessaria la richiesta di almeno 5 stati (in precedenza se ne ipotizzavano 3). Infine, i piani di emergenza dovranno essere presentati a Bruxelles entro il 31 ottobre, e non entro il 30 settembre: nel caso, il provvedimento potrà durare al massimo anno, fatta salva una eventuale proroga di un altro anno. Ci sarà la possibilità di applicare diverse deroghe, a seconda della tipologia di utilizzo delle forniture, ed escludendo dal computo gli stoccaggi: in questo modo il risparmio dei consumi si attesterebbe sui 35/38 MD di metri cubi rispetto ai 45 MD senza deroghe. A proposito di stoccaggi, aspetto assolutamente prioritario in vista della stagione invernale, l’Italia oggi è al 70% circa di “riempimento”, contro una media europea del 66% (si va dal Portogallo, che è già al massimo delle proprie capacità di riempimento, alla Bulgaria, che è ferma al 44% circa, con la Francia al 74%, la Spagna al 75%, la Germania al 66%).

Prosegue intanto il dibattito relativo alle politiche monetarie.

Domani è attesa la decisione della FED, con il 75% degli analisti che da per certo un nuovo rialzo dello 0,75% (contro un 25% che ipotizza un aumento dell’1%). Si fanno strada nuove stime sul PIL USA del 2° trimestre: secondo la FED di Atlanta ci sono buone probabilità che ci sia una contrazione dell’1,6% (altre scuole di pensiero ipotizzano, invece, una crescita dello 0,4%).

In Europa, dopo l’annuncio di giovedì scorso, ogni giorno si hanno più dettagli sul TPI (Trasmission protection instrument) varato dalla BCE e meglio noto come “scudo anti spread”. Viene confermato che sarà senza condizionalità: la sua ammissibilità dovrà essere però accompagnata dall’impegno dei Governi che ne faranno richiesta a “rispettare i patti europei sulla stabilità dei conti pubblici e del debito, dall’assenza di squilibri macroeconomici, agli impegni sul PNRR. Ci sarà quindi discrezionalità da parte del Consiglio BCE, ma non automatismi, con valutazioni caso per caso.

Indici asiatici che si avviano a chiusure sopra la parità. A distinguersi il Nikkei, al momento a –  0,16%, mentre Hong Kong, trascinato dai titoli tech viaggia a + 1,7%, con Shanghai a ruota (+ 0,71%).

Si muovono al momento in territorio negativo i futures: a pesare su quelli americani la notizia lanciata ieri sera, dopo la chiusura di Wall Street, da Walmart, una delle maggiori società della grande distribuzione, che prevede un “allarme” sui consumi e sugli utili, confermando che già si notato segnali di una diminuzione degli acquisti “discrezionali” da parte delle famiglie americane a causa dei redditi “falcidiati” dall’inflazione.

Petrolio nuovamente in rialzo, con il WTI che si riporta verso i $ 100 (98,26, + 1,51%).

Gas naturale USA che si conferma in crescita, a $ 8,694 (+ 1,3%).

Oro stabile a $ 1.722.

Si è stabilizzato lo spread, dopo l’impennata nei giorni della “crisi”, a 237 bp, con il BTP a 3,40% circa di rendimento.

Bund a 1,02% e treasury USA sempre in area 2,80%.

Segnali di stabilità anche da parte dell’€/$, a 1,0223.

Bitcoin che storna verso i $ 21.100 (- 3,65%).

Ps: oramai, si sa, si da valore ad ogni cosa, a partire da cose piuttosto effimere come i “followers” (ma ci sono persone che su questo hanno fatto la loro fortuna, diventando veri e propri “brand”). Non deve stupire, quindi, se anche i nostri monumenti hanno un “valore” non solo culturale ma anche finanziario, come un qualsiasi asset. E non si poteva cominciare che con il Colosseo. Secondo i Beni Culturali “vale” almeno € 77 MD: probabilmente si arriva a tale valutazione partendo da quanto “rende” all’economia italiana, annualmente, il monumento italiano forse più famoso al mondo. Siamo a € 1,4MD per anno. Altro che new economy…

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ultimo aggiornamento: 26-07-2022


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