Non passa giorno in cui non si legga di inflazione e di quanto le Banche Centrali stiano facendo per metterla “sotto chiave”, vale a dire far si che raggiunga nel più breve tempo possibile l’ormai famoso “target” del 2% (anche se hanno ripreso a farsi sentire le voci di chi ritiene che sia più utile, per la crescita e la stabilità economica innalzarlo al 3 se non al 4%). Con le notizie sull’andamento dell’inflazione, riceviamo ogni giorno la conferma di come le politiche monetarie siano spesso il frutto di un compromesso tra coloro che vorrebbero atteggiamenti di maggior rigore e chi, invece, spinge per la moderazione. Due scuole di pensiero che nascono non solo, evidentemente, dalla situazione in cui si trovano i singoli Paesi, ma anche dalle teorie monetarie a cui si ispirano i “decision maker”.
In fondo, in maniera che può sembrare semplicistica, la BCE (molto più di altre Banche centrali) funziona come una grande azienda. Ha degli azionisti (i Paesi membri UE, o, più esattamente, le Banche centrali Nazionali), con un Consiglio di Amministrazione (Comitato Direttivo, in sostanza l’organo decisionale, composto dai Governatori delle Banche Centrali Nazionali e dai 6 membri del Comitato Esecutivo), presieduto da un Presidente-Amministratore Delegato (il Presidente della BCE appunto). Alla stregua delle aziende, anche nella BCE abbiamo gli “azionisti di peso”, i rappresentanti, cioè, dei Paesi più forti. Una forza che non è soltanto data dal livello di partecipazione delle singole Banche centrali nazionali al capitale BCE (la Banca d’Italia, per esempio, detiene circa il 13% del capitale della BCE, la Bundesbank tedesca il 21% circa, la Banque de France il 16,6%, etc), ma anche, come evidente, dalla loro leadership. Il Presidente (Christine Lagarde) è espressione degli “azionisti”: le sue dichiarazioni dovrebbero quindi essere la sintesi dei vari punti di vista, spesso, come abbiamo imparato a conoscere, non così allineati.
Ne abbiamo avuto un’ulteriore riprova ieri. Da una parte la Lagarde, in un intervento ad un convegno che si è tenuto in Germania, ha ribadito la necessità di continuare le attuali, severe, politiche monetarie, lasciando intendere che, nella prossima riunione del 2 febbraio, si procederà ad un nuovo rialzo dello 0,50% (e probabilmente un altro di pari livello a marzo). Dall’altra, invece, Ignazio Visco, Governatore di Bankitalia, ha invitato la stessa Banca Centrale europea alla prudenza e, ancor di più, a prestare attenzione alle modalità di comunicazione, affermando che “stiamo dando messaggi troppo duri e spaventiamo anziché accompagnare”. Aggiungendo poi (evidenziando una certa distanza di vedute rispetto alla Lagarde) che “i prezzi possono scendere senza che le nostre misure arrechino all’attività produttiva e all’occupazione danni particolarmente gravi”. In sostanza, se i prezzi dell’energia dovessero rimanere ai livelli attuali, se non , addirittura, continuare a calare, il perpetuare politiche rigorose potrebbe infierire un duro colpo alle varie economie, a maggior ragione per quelle più deboli e con un maggior debito pubblico, che pagherebbero a caro prezzo ulteriori rialzi del costo del denaro (ergo sarebbero costrette a pagare interessi sempre maggiori sul loro debito pubblico). Diventano quindi sempre più importanti i dati che tra qualche giorno avremo sull’andamento dell’inflazione a gennaio (data in ulteriore calo) e sullo stato dell’economia. Senza dimenticare come comunque le scelte delle Banche centrali siano oramai tra loro quasi interdipendenti: se la FED americana dovesse inasprire nuovamente le condizioni di mercato, ben difficilmente la BCE si limiterebbe a guardare, per quanto la situazione economica fosse buona. Il rischio di “decoupling” (disaccoppiamento), infatti, avrebbe senz’altro conseguenze su fattori (banalmente il cambio €/$) che incidono in modo non secondario sulle attività economiche.
Intanto ieri sera nuova chiusura positiva per gli indici americani, con significativi rialzi per il Nasdaq (+ 2,18%) e lo S&P 500 (+ 1,19%). Più cauto il Dow Jones, comunque a + 0,76%.
Nella settimana del Capodanno cinese, con la stragrande maggioranza delle piazze asiatiche chiuse (oltre a quelle cinesi anche Hong Kong, Taiwan, Corea, Singapore, Malesia), il Nikkei di Tokyo si “adegua” ai rialzi occidentali (+ 1,46%). Bene anche la borsa indiana, attualmente a + 0,3%.
Futures intorno alla parità.
Continua la fase positiva per il petrolio, con il WTI a $ 81,67.
Ancora in recupero il gas naturale Usa, a $ 3,51 (+ 1,62%).
Gas naturale europeo vicino a € 70 (67,7) per megawattora.
Riprende la corsa l’oro, a $ 1.941 (+ 0,55%).
Spread stabile, a 180 bp. Rendimento del BTP al 4,01%.
Treasury al 3,52%. Bund 2,19%.
Pressochè invariato l’€/$, a 1,089.
Bitcoin a $ 23.099 (+ 0,78%), impermeabile al nuovo crack di un’altra piattaforma (Genesis), “saltata” sotto il peso di un “buco” di $ 3 MD.
Ps: ha tenuto banco, la settimana scorsa, il collocamento del bond Eni, rivolto alla clientela retail, con cedola 4,3% annua. L’operazione, come noto, ha avuto un successo clamoroso, tanto da costringere la società a chiudere le sottoscrizioni dopo soli 5 giorni contro i 15 a disposizione. Ce lo conferma un comunicato della stessa azienda emittente.
A fronte di un’offerta di € 2MD (1MD + l’estensione di un altro miliardo), sono arrivate richieste per oltre € 10MD da oltre 300.000 sottoscrittori (per l’esattezza 309.672 per € 10,2 MD). Si andrà quindi ad un riparto clamoroso. Di certo a tutti i richiedenti verrà assegnato il lotto minimo (€ 2.000), poi si procederà all’assegnazione in misura proporzionale all’ammontare ordinato da coloro che avranno fatto una richiesta superiore al lotto minimo. Se dovesse rimanere un importo residuale, a quel punto si procederà con estrazione a sorte per coloro che avranno fatto domanda per quantitativi superiori.