Mentre sul “fronte orientale” la battaglia continua, con le truppe russe in ritirata da alcune zone (vedi Kiev e le zone limitrofe) e in ulteriore attacco in altre (vedi Donbass e regioni circostanti), sulla scena politica italiana è arrivata la stagione della Legge di Bilancio (DEF, Documento di Economia e Finanza). Un dispositivo che mai come quest’anno, per quanto ogni legge di bilancio sia una “previsione” del bilancio statale, e quindi del “fabbisogno” finanziario, detto in maniera semplice, per “andare avanti”, risulta incerto nelle sue linee guida. Tante sono le variabili, tutte importanti e, soprattutto, tra loro collegate: la guerra, l’aumento dei prezzi delle materie prime, l’inflazione (dettata certo dalle materie prime, ma anche da altri fattori), le persistenti difficoltà nella supply chain, gli interventi delle Banche Centrali, che hanno “messo in soffitta” le politiche espansive rispolverando il rigore.
Questo lo scenario con cui Draghi deve fare i conti. Uno scenario nettamente peggiore a quello soltanto di un paio di mesi fa che però, per il momento, consente al Governo di presentare una bozza di Legge comunque con valori positivi, almeno per quelli che sono gli standard a cui è abituato il nostro Paese.
La crescita (e quindi il PIL) dovrebbe attestarsi tra il 2,9 e il 3,1%: un dato certamente lontano al + 4,7% di cui tanto si è detto, ma comunque ben superiore agli striminziti zerovirgola degli anni scorsi. Gran parte del merito, va detto, è del boom dell’anno scorso, che ha ricordato i primi anni 60: il + 6.5% del 2022 consente, infatti, a “bocce ferme” (e quindi a crescita invariata durante l’anno in corso), una velocità di crociera del 2,3%. Il 1° trimestre si dovrebbe chiudere con una discesa del PIL dello 0,5% (Confindustria non a caso già parla di “recessione tecnica”); ciò significa che se non nel 2°, nel 3° e nel 4° trimestre dovremmo avere nuovamente un trend positivo. Certo, e qui cominciano ad entrare in gioco le variabili, molto dipenderà da quanto la guerra durerà, dettaglio non di poco conto.
L’inflazione è “vista” al 5,8%, percentuale ben superiore a quella (sottostimata) dell’1,6% messa in conto dal Governo, per poi scendere nuovamente dall’anno prossimo. Va detto però che l’inflazione è prevalentemente “importata” (vd voce materie prime), mentre i prezzi dei beni e dei servizi che rientrano nel PIL crescono molto meno (circa il 3%): elemento questo non di poco conto, in quanto, di fatto, “taglia” gli effetti positivi dell’inflazione sul valore “reale” del debito pubblico (rapporto debito/PIL). Il “deflatore”, infatti, in questo modo cresce meno, comportando una minor erosione da parte dell’inflazione del rapporto, appunto, debito/PIL.
Effetto, invece, che si rifletterà sulle entrate. Questo, unitamente alla maggiore attenzione alle spese e alla loro esecuzione, consentirà di mantenere il livello deficit/PIL al 5,6%, ma, soprattutto, a far sì che il debito scende al 147% del PIL (oggi siamo a circa il 150%).
Non dovrebbe quindi esserci uno scostamento di bilancio, nonostante nuovi stanziamenti per combattere gli aumenti dell’energia (ieri, per es, è stato prorogato il provvedimento sulle accise sino al 2 maggio), stanziamenti che, nella loro globalità, valgono oltre € 15MD, a cui se ne dovrebbero aggiungere altri 5. Ma l’orizzonte non è privo di rischi: il bilancio prevede che vengano stanziate risorse (in €) per far fronte alle spese. Ovvio che se i prezzi dovessero aumentare, il potere di acquisto delle risorse stanziate diminuisce (a meno che, ovviamente, non vengano sperequalmente aumentate, cosa che dovrebbe succedere, con nuovi stanziamenti, per le opere pubbliche e l’energia). Ma per tutte le altre voci (pensiamo all’istruzione, alla giustizia, alla difesa, per quanto, per quest’ultima voce, sia previsto un aumento della voce di bilancio, in linea con gli altri Paesi NATO) si renderebbero probabili dei tagli di spesa (a cominciare forse dagli stipendi dei dipendenti pubblici e dal taglio degli acquisti dei beni/servizi). Insomma, si entrerebbe in un campo paludoso per il Governo, con Draghi che verrebbe di certo “tirato per la giacchetta” dalle forze politiche che lo sostengono, timorose di perdere consensi (l’anno prossimo, non dimentichiamoci, si andrà a votare….).
Ieri giornate nuovamente difficile per i mercati. Ancora una volta, le voci provenienti dalla FED hanno “tagliato le gambe” agli indici borsistici. A scatenare i ribassi, la pubblicazione delle “minute” dell’ultimo Comitato della Banca Centrale USA, da cui è emersa la volontà di ridurre il bilancio di circa $ 95MD al mese (oggi è di $ 8.900 MD): tradotto, dai primi di maggio (probabilmente dopo la riunione del 3 e 4 maggio), la FED inizierà a vendere titoli in possesso per $ 95 MD al mese, di cui $ 60MD di treasury e $ 35MD di titoli corporate (per lo più legati a mutui garantiti). Notizia che ha dato corpo alle paure di una fase di ulteriore rigore monetario, nonostante una fase economicamente non favorevole, con PIL ovunque fermi se non in diminuzione (su base trimestrale). Come dire che, in questo momento, le dinamiche dei prezzi sono più importanti di qualsiasi altra considerazione (e quindi anche dei rallentamenti economici), evocando quanto successo nei primi anni 80, quando l’allora Presidente FED Volker non esitò a portare i tassi al 20% per “affossare” l’inflazione.
I mercati asiatici questa mattina proseguono sulla falsariga delle chiusure serali a Wall Street; il Nikkei cede l’1,69%, Shanghai l’1,25%, Hong Kong lo 0,96%.
Sembrano reagire i futures, che recuperano rispetto ai valori di primissima mattina: New York è vista intorno alla parità, mentre i mercati europei dovrebbero iniziare le contrattazioni in territorio positivo.
Dopo la caduta di ieri, il petrolio recupera, almeno parzialmente, le quotazioni, con il WTI che sale dell’1,25% ($ 97,53).
Ancora in crescita il gas naturale (+ 2%, $ 6,159).
Oro stabile a $ 1.929.
Spread a 165bp: il rendimento del BTP oramai supera il 2,32%, praticamente il doppio di quanto rendeva ad inizio anno (1,18%).
Treasury oltre il 2,60%.
€/$ a 1,0918, sui valori di ieri.
Scivola ancora il bitcoin, che si porta a $ 43.400 (– 4,57%).
Ps: va all’asta (base d’asta sterline 4ML, circa € 5ML) la maglia di Maradona della storica “mano de Dios”nella partita in cui, grazie al famoso goal di mano, l’Argentina ( o meglio, Maradona) eliminò, ai mondiale di Messico 86, l’Inghilterra. Una parte resa indimenticabile, peraltro, ancor di più dal goal ritenuto il più bello di sempre, quello in cui, partendo dalla sua metà campo, dribblò mezza squadra inglese, presentandosi solo davanti al portiere.