Oltre alla stragrande maggioranza dei cittadini italiani, i mercati finanziari (almeno quelli europei) è probabile che sabato sera abbiano tirato un sospiro di sollievo. La conferma del “binomio” Mattarella-Draghi è quanto di meglio gli operatori finanziari potessero aspettarsi, con il primo a “guardia” dei delicati equilibri istituzionali nel momento in cui i partiti non sembrano in grado di percepire la gravità della situazione, il secondo quasi una “polizza” per il nostro Paese sulla strada delle riforme e della realizzazione dei programmi e dei progetti che è necessario realizzare per rimanere “agganciati” alla ripresa e agli aiuti previsti dal PNRR.
Già oggi potremo verificare se l’esecutivo sarà in grado di ritrovare lo “smalto” perso nelle ultime settimane e uscire dalla palude in cui si è venuto a trovare a causa dei tatticismi dei partiti che lo sostengono.
Ovviamente in questo periodo i problemi sul tavolo non si sono risolti, anzi sono diventati forse ancora più gravi e urgenti da risolvere. Il + 6.5% di crescita del 2021 (a tanto dovrebbe ammontare il PIL dell’anno scorso, un dato addirittura superiore al già “strabiliante” + 6.3% sin qui ipotizzato) appartiene al passato; il pragmatismo di Draghi giustamente invita a guardare al futuro, quanto mai incerto. Si faceva cenno, la settimana scorsa, alle previsioni per il 2022, ovunque “limate” rispetto a quanto stimato soltanto un paio di mesi fa. Paesi come il nostro, gravati da un debito pubblico superiore al 150% (che già l’ottimo risultato 2021 ha fatto scendere dal precedente 156%) e con un livello di disoccupazione sempre prossimo al 10%, sono quelli più esposti ai pericoli di un rallentamento della crescita e, ancor di più, da un eventuale aumento dei tassi. L’inflazione, seppur lontana dai livelli toccati negli USA, è ormai al + 4,9% e, mentre in altri Paesi a noi vicini sta dando segnali di “inversione” della rotta (per es, in Germania si pensa possa scendere dal + 5,3% al + 4,4% già questo mese, in Francia a + 2,5% da + 2.8%), si pensa possa, seppur di poco, salire, arrivando al + 5%. Il caro-energia continua a “mordere” i bilanci di famiglie e imprese, costringendo quasi certamente il governo ad un nuovo intervento: questa, quasi sicuramente, sarà la prima “mina” che il Consiglio dei Ministri convocato per oggi dovrà disinnescare. E’ probabile un nuovo stanziamento (in aggiunta ai 5,5MD già deliberati) per sostenere soprattutto le imprese, molto delle quali a rischio rallentamento produttivo,. Se non addirittura chiusura, per gli aumenti fuori controllo della bolletta energetica. Stanziamento per il quale già si parla di nuovo debito, che andrebbe ad “annullare” di fatto il “tesoretto” (diminuzione rapporto debito/PIL) derivante dai risultati del 2021. Per non parlare del PNRR, con fondi, nel 2022, per oltre € 44MD che dovrebbero affluire nelle casse del Tesoro, con più di 100 riforme/scadenze da rispettare. Per non parlare della riforma del fisco e delle pensioni, per citare 2 dei temi più scottanti non più rinviabili.
Il maggior rialzo dell’anno realizzato dal mercato statunitense nell’anno lo scorso venerdì, con il Nasdaq a + 3,22% e il Dow Jones a + 1,65%, “trascina” questa mattina i mercati asiatici. Chiusi per festività i mercati cinesi e della Corea del Sud, il Nikkei chiude in crescita del + 1,07%, lo stesso livello in cui si trova, poco prima della chisura, Hong Kong.
Futures in moderato rialzo ovunque; spicca il + 1% in cui si trova il nostro MIB, a cui si accompagna la prevedibile fortissima discesa dello spread, che dai 140 bp di venerdì fa segnare, in questi minuti che precedono l’apertura delle contrattazioni, 130 bp.
Petrolio di nuovo in forte crescita, con il WTI che supera $ 88,00.
Gas che strappa del 7,3%, portandosi a ridosso dei $ 5.
Debole l’oro, che rimane nell’anonimato dei $ 1.788.
Con il forte recupero dello spread, si rafforza il nostro BTP, con il rendimento che torna verso un più tranquillizzante 1,20%. Treasury USA che riparte appena sotto l’1,80%.
€/$ sempre ai massimi degli ultimi 18 mesi, a 1,1162.
Bitcoin a $ 37.000,00, in calo di oltre il 3,10%.
Ps: 35 anni e non dimostrarli. Questo il primo pensiero dopo il trionfo di Rafa Nadal agli Open di Australia. Dopo oltre 5h24’, la seconda finale più lunga di uno slam dopo quella, sempre a Melbourne, del 2012 tra lui e Djokovic (5h53’), si è sbaragliato di Medvedev, di 10 anni più giovane, diventando il tennista ad aver vinto nella storia il maggior numero di slam (oltre 21, con Federer e Djokovic fermi a 20). Da un punto di vista squisitamente tecnico (anche se di certo anche lo spagnolo qualcosa ne sappia) non si può certo definire il più forte al mondo; ma la sua forza “di testa” colma abbondantemente il gap e conferma, ancora una volta, quanto il “non arrendersi mai” possa essere determinante.