Direttore: Alessandro Plateroti


E’ probabile che Powell quando, 2 giorni fa, al termine della riunione del Fomc, il Comitato Direttivo della FED, già fosse a conoscenza dell’exploit del PIL USA nell’ultimo trimestre 2021. Lo “strepitoso” + 6,9% (3 volte quanto fatto registrare nel trimestre precedente) ha spinto la crescita americana, nell’anno appena concluso, al + 5,7%. Per vedere un risultato simile bisogna tornare al 1984, nel pieno dell’America reaganiana. Il dato finale è superiore di 0,2% rispetto alle ultime stime (+ 5,5%): va anche detto, peraltro, che fino a qualche mese fa si pensava che gli USA sarebbero cresciuti oltre il 6%.

A questo dato va aggiunto quello relativo ai nuovi sussidi di disoccupazione (riferiti alla settimana scorsa). Anche questo conferma il buon momento dell’economia americana, con numeri in netto calo rispetto alla settimana precedente.

Sembrano quindi appropriate le decisioni della FED di “stringere la corda” e avviare una politica monetaria più rigorosa. Non dimentichiamo che a novembre, in USA, si terranno le elezioni di “mid term”, un appuntamento al quale il Presidente Biden vorrà presentarsi con un livello di inflazione sotto controllo, che confermi l’efficacia della politica economica, con l’occupazione vicina ai massimi del 2019, quando si arrivò ad un livello di disoccupazione al minimo storico del 3,5%, e le imprese che continuano a “macinare” utili, accompagnata dalla “normalizzazione” del mercato monetario, compito primario della FED.

Il rischio della “percezione” di una maggior povertà da parte dei cittadini americani, peraltro, non passa solo dall’inflazione, ma anche dal valore dei loro investimenti: la loro predisposizione al “rischio”, tipica dei mercati azionari, è nota. Da sempre i mercati hanno voce in capitolo sulle decisioni delle Banche Centrali: spesso il loro atteggiamento e le loro reazioni influenzano (e influiscono) le scelte delle Istituzioni monetarie. Se è vero che  i mercati guardano alla FED, è anche vero il contrario. Ecco il motivo per cui Powell, come ha fatto intendere nella conferenza stampa di 2 giorni fa, presidierà con molta attenzione quanto succederà nei prossimi mesi, non volendo correre il rischio di “premere troppo l’acceleratore” (ergo spingere oltre misura sulla manovra restrittiva). Allo stesso modo, i mercati presteranno molta attenzione ai dati che verranno comunicati nelle prossime settimane e nei prossimi mesi: se si confermasse la forza della ripresa (anche se è probabile che il 1° trimestre dell’anno sarà, almeno parzialmente, inficiato dalla variante Omicron) e contemporaneamente l’inflazione iniziasse a dare segni di cedimento, è molto probabile che la reazione dei mercati non potrà che essere positiva. Come più volte ricordato, quello che li spaventa maggiormente è l’incertezza, che si traduce in “volatilità”. Un’alta volatilità produce “non direzionalità”: un po’ quello che vediamo in questi giorni, con gli indici che sembrano impazziti, con andamenti che passano dal segno più a quello meno in pochi minuti, per poi tornare positivi e poi magari di nuovo negativi, rendendo difficile qualsiasi strategia. Attendere, quindi, che si torni ad un minimo di “direzionalità” potrebbe rivelarsi la scelta migliore, ben sapendo, altresì, che probabilmente siamo di fronte a quella che si definisce “sector rotation”. In altre parole, il mercato offre ancora opportunità interessanti, magari nei settori più tradizionali, quelli meno toccati dalla crescita delle quotazioni degli ultimi 2 anni (e meno penalizzati in caso di rialzo dei tassi).

Ieri sera, a mercati chiusi, Apple ha comunicato i dati relativi all’ultimo trimestre 2021. Numeri strepitosi, con vendite che hanno toccato (in 3 mesi…) quota $ 123,9 (il mercato se ne aspettava 119). Immediate le reazioni: i futures USA sono tutti impostati positivamente, cosa che ha aiutato non poco il listino giapponese, con il Nikkei che chiude a + 2,09%.

Negativa invece la “great China”: Shanghai viaggia intorno al – 1%, mentre Hong Kong è poco sopra (– 1,06%). Da notare che i 3 principali quotidiani economici cinesi, tutti a controllo statale, oggi pubblicano editoriali in cui si dichiara che i ribassi dei listini possono costituire delle opportunità di acquisto, grazie anche al fatto che i mercati saranno sostenuti dalla crescita e dalle politiche monetarie.

Petrolio sempre “in quota”: questa mattina lo troviamo (WTI) a $ 87,26, + 0,64%.

Sale ancora il gas naturale, + 2,7% a $ 4,408.

La forza del $ (ieri si è spinto a 1,115 vso €, valori confermati nella aperture di questa mattina, ai massimi dal 2020) penalizza l’oro, che scivola appena sotto i $ 1.800 (1.798), anche se nei primi scambi odierni sembra essersi stabilizzato.

Spread a 143 bp: la “battaglia” (o “carnevalata”…?) per il Quirinale non aiuta. Peraltro il rendimento del BTP sembra al momento stabilizzato in area 1,30%. Scende, seppur di poco, il rendimento del treasury americano, che passa a 1,82% dall’1,85% di ieri.

Bitcoin a $ 37.000, anche lui sottoposto a sali scendi piuttosto dinamici (questa mattina + 2.14%).

Ps: Spotify è ormai il più grande “spazio musicale” del pianeta, in cui c’è posto per tutti. Almeno fino a ieri. Fa notizia, infatti, la decisione del grande Neil Young di “abbandonare” la piattaforma in polemica con la presenza del collega no vax Joe Rogan.

Secondo il cantautore canadese il podcoast del cantante americano, uno dei più seguiti, pare, sulla piattaforma musicale negli USA, diffonderebbe “fake news” in merito all’emergenza sanitaria. Un motivo più che valido, quindi, per lasciare la piattaforma.

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ultimo aggiornamento: 28-01-2022


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