Si fa presto a parlare di solidarietà.
Ad oggi, guardando agli aiuti che l’Ucraina ha ricevuto, notiamo che il Paese che, in termini percentuali, ha destinato la quota maggiore è l’Estonia, che è arrivata allo 0,7%. Ma 0,7% di quanto? Di circa $ 33MD, a tanto ammontava, infatti, il PIL di quel Paese nel 2021. Seguono Paesi come la Polonia, la Lituania, la Slovacchia, certo non “campioni” in termina di forza economica, tutti con percentuali tra lo 0,05 e lo 0,2%. L’Europa che “conta” ha valori assolutamente modesti: Germania intorno allo 0,014% , Italia appena sopra, Francia 0,020. Insomma, briciole, almeno per ora.
Dal G20 che si è appena concluso a Washington (senza un comunicato finale, a conferma di una riunione anomala e con pesanti contrapposizioni), i rappresentanti dei 7 Paesi più forti economicamente (G7) hanno comunicato la volontà di aiuti all’Ucraina per circa $ 24 MD: un vero e proprio Piano Marshall per sostenere un Paese, almeno da un punto di vista economico, non più in grado di sostenersi, con intere città completamente rase al suolo (drammatica la situazione di Mariupol, la città sul Mar d’Azov, assimilabile per dimensioni e struttura a Genova, oramai diventata il simbolo della resistenza ucraina, con la popolazione – contava, prima della guerra, circa 450.000 abitanti – ridotta a poche migliaia di persone, costrette a vivere negli scantinati). Secondo il Governo del Paese le necessità finanziarie per garantire a far funzionare quel poco che è rimasto ammontano ad almeno $ 5-7 MD mese: risorse che, peraltro, non dovranno essere prestiti (il debito del Paese non sarebbe sostenibile e provocherebbe ulteriori collassi), ma sovvenzioni a fondo perduto, come ha detto la stessa direttrice del FMI, la bulgara Kristalina Georgieva. Nel “nostro” piccolo, il Ministro dell’economia Franco ha annunciato che verranno stanziati € 200ML per sostenere l’Ucraina.
Lo stesso ministro, peraltro, ha detto altre cose che ci restituiscono un quadro economico non certo esaltante.
Già sappiamo come il PIL crescerà molto meno del previsto (da noi dovrebbe essere il 2,3%, numeri solo apparentemente positivi, ma che invece stanno ad indicare una crescita “effettiva” pari allo zero – la suddetta percentuale, infatti, è il “lascito” della crescita boom – + 6,5% – del 2021, a livello globale ben difficilmente si andrà oltre il 4% vso ipotesi precedenti intorno al + 5,5%). Ma forse, almeno per quanto ci riguarda, il problema maggiore è che, mentre per quanto successo con il Covid tutti gli Stati hanno potuto fare nuovo debito, ora la situazione è diversa: vero è che per quest’anno e il prossimo potremo ancora non osservare i parametri di sostenibilità del debito previsti dalla UE, ma sarà ben difficile farne di nuovo. Basti pensare che a fine 2019 il nostro rapporto debito/PIL era al 134%, quindi già ben oltre la soglia della “tranquillità”, per decollare, ad inizio anno 2021, al 160%. Oggi siamo vicini al 150%, ma sarà difficile, vista la situazione contingente, scendere, quest’anno, sotto questi livelli.
Sempre a margine del G20, Jerome Powell, il Presidente della FED, ha nuovamente confermato come l’obiettivo più importante per la Banca Centrale USA sia la lotta all’inflazione, annunciando che a maggio, quando si riunirà nuovamente il Comitato Direttivo FED, sul tavolo ci sarà la decisione di un rialzo dei tassi di mezzo punto. E anche in Europa, con grande probabilità, si sta avvicinando il momento del rigore. Con un’inflazione che si conferma al 7.5% sarà sempre più difficile per Christine Lagarde tenere a bada “ i falchi”: con luglio dovrebbero terminare gli acquisti di titoli di debito, per poi, in rapida successione, passare al rialzo dei tassi.
La comunicazione di Powell ieri ha “gelato” i mercati: che ormai “il dado” fosse tratto lo si sapeva, ma quello che li ha spiazzati è l’entità del probabile rialzo (0,50% contro attese dello 0,25%): il Nasdaq, che aveva iniziato la giornata ampiamente positivo (grazie anche agli spettacolari numeri di Tesla), ha velocemente invertito la rotta, chiudendo a – 1,99%. Un po’ meglio è andata al Dow Jones, che ha fermato la discesa al – 1,05%. S&P a – 1,48%.
Questa mattina i mercati asiatici si avviano a chiudere la settimana piuttosto contrastati: pesante il Nikkei (piuttosto “sensibile” all’indice USA), a – 1,63%. Meglio va a Hong Kong, che “viaggia” intorno a – 0,40%, mentre è positiva Shanghai (+ 0.20%).
Futures americani vicini alla parità, mentre appaiono deboli quelli europei (che scontano, in tutta evidenza, il forte arretramento di Wall Street dopo le chiusure europee di ieri).
In arretramento il petrolio, con il WTI a $ 102,38, – 1,45%.
Gas naturale sempre sotto i $ 7 (6,94, – 0,42%).
Oro a $ 1.956, + 0,35%.
Spread a 163,7 bp, con il BTP sempre intorno al 2,55%.
Treasury USA a 2,94% (a 10 anni): non è una buona notizia, da un punto di vista macro-economico, che il rendimento a 5 anni sia superiore, al 3,01%.
€/$ a 1,083, sui livelli di ieri.
Torna a soffrire il bitcoin, che si porta a ridosso dei $ 40.000 (40.717, – 2%).
Ps: in un saggio appena pubblicato (Gli ultimi italiani), Roberto Volpi, esperto di statistica e demografia, ci da un quadro a dir poco da brividi sul futuro del nostro Paese. Se dovesse confermarsi il trend attuale, la popolazione (circa 60ML di abitanti nel 2020), nel 2070 si sarà ridotta a 47,6 ML, quindi circa il 12% in meno. Nelle regioni del Nord il calo dovrebbe essere del 12% (- 3,3ML), al Centro del 18% (-2,1ML), al Sud addirittura del 33% (- 6,6ML). A fine secolo la popolazione italiana potrebbe essere di neanche 40ML di abitanti. Tanti, secondo lo studioso, le motivazioni, e non solo prettamente economiche, ma soprattutto culturali (e quindi, almeno in parte, religiose). Non a caso viene ricordato che nel 1963 su 420.000 matrimoni, ben 400.000 furono cattolici. Nel 2019 i matrimoni so no stati 184.000, di cui quelli religiosi meno della metà.