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Ormai la domanda non è se e quando la FED aumenterà i tassi, ma di quanto sarà il primo rialzo (ricordiamo che i mercati danno praticamente per certi 5 se non addirittura 6 ritocchi nel corso dell’anno). Il dato sull’inflazione Usa ha nuovamente stupito (negativamente) gli osservatori: le attese (7,2/7,3%) sono state superate, arrivando al 7,5%, un livello che ci riporta al 1982.

Ha un bel dire il Presidente Biden (ai minimi in termini di popolarità) che l’economia va bene, con il PIL che, dopo il + 5,5% del 2021, quest’anno dovrebbe crescere tra il 3,5 e il 4%, e un tasso di disoccupazione al 4%, vicino ai minimi di inizio 2020, quando arrivò a toccare il 3,5%.

La percezione della classe media americana è ben diversa.

Si calcola che con l’inflazione a questi livelli, il maggior costo per una famiglia della “middle class” sia pari a circa $ 250 mese. Peraltro ormai l’inflazione è da circa 6 mesi stabilmente oltre il 5%, con un livello di spesa che è andato via via aumentando mese dopo mese. I prezzi delle auto usate (per quelle nuove i tempi di attesa sono lunghissimi) è cresciuto, nell’ultimo anno, di circa il 40%; idem la benzina. Per un Paese abituato a “vivere” in auto, i cui cittadini utilizzano le quattro ruote per andare al lavoro (spesso sobbarcandosi tragitti lunghissimi), per accompagnare i bambini a scuola, per andare a fare la spesa l’impatto non può che essere pesantissimo. A cui si devono aggiungere gli aumenti nel settore alimentare (circa il 7%) e degli affitti (ma anche delle case).

La strada, quindi, è sempre più “stretta”, costringendo la FED a non perdere più tempo: con marzo, in coincidenza con la fine degli acquisti straordinari di titoli, dovrebbe partire la stretta. In molti danno per probabile un primo aumento dello 0,50% (fino a ieri si stimava uno 0,25%), a cui ne dovrebbero seguire altri 5 (di cui 3 entro luglio). E se i prezzi dovessero continuare la loro corsa, non è escluso che Powell possa ricorrere ad un’ulteriore manovra di irrigidimento della politica monetaria della FED, iniziando a vendere i bond accumulati dalla Banca Centrale in questi anni.

Va detto ancora una volta, peraltro, che, seppur le stime siano state ridotte nell’ultimo periodo, l’economia globale anche per il 2022 dovrebbe crescere a ritmi sostenuti (intorno al 4,5%, con la UE a + 4%), tenendo a distanza il rischio recessione e quello ancora peggiore della stagflazione (il mix di alta inflazione e recessione, con l’economia che decresce). Ne è convinta, per esempio, Goldman Sachs, secondo cui tutte le banche centrali non potranno sottrarsi da manovre restrittive, ma anche del fatto che il processo di crescita avviata è destinato a durare.

Ieri il mercato americano ha “pagato pegno” alla notizia sull’inflazione, con gli indici tutti negativi in chiusura. Hanno retto, invece, quelli europei, tutti in positivo a parte Parigi, marginalmente negativa.

Listini asiatici che si apprestano a chiudere la settimana in calo, seppur non così elevati: Hong Kong fa segnare – 0,35%, mentre Shanghai è leggermente più pesante (– 0,6%).

Futures in rosso ovunque, con cali tra – 0,5% e – 1%.

Leggero calo del petrolio, con il WTI a $ 89,5 (- 0,48%).

Gas naturale che si riaffaccia sopra i $ 4,0 (4,017, + 1,3%).

Scende marginalmente l’oro, a $ 1.824 (- 0,7%).

Come prevedibile, molto nervoso il mercato obbligazionario, il più “reattivo” alle notizie sull’inflazione.

Spread che apre la giornata a 163 bp: il 2% di rendimento per i BTP è ormai a un tiro di schioppo (non è escluso che già oggi si arrivi a toccarlo, ieri era intorno all’1,90%). Che il vento sia cambiato è confermato anche dall’emissione di ieri di circa € 6.5MD di BOT a 12 mesi: il rendimento è sempre negativo (– 0,324%), ma soltanto 3 mesi fa eravamo a – 0,568%.

Livello del 2% che invece è già stato raggiunto dal treasury USA.

Sul fronte dei cambi, brusca inversione, con il $ in forte apprezzamento: €/$ a 1.138 dall’1.142 di ieri.

In flessione il bitcoin, a $ 43.372, – 1,74%.

Ps: e così abbiamo, nel mondo della musica, un nuovo multimilionario. Dopo Bob Dylan, Bruce Springsteen, Paul Simon, solo per citare alcuni, anche Sting ha deciso di vendere il suo catalogo. Ad acquisirlo l’Universal, per $ 300ML. Chissà se comprerà altri vigneti, l’altra sua grande passione. L’importante è che non venga meno la sua grande vena creativa.

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ultimo aggiornamento: 11-02-2022


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