Direttore: Alessandro Plateroti

Non sempre, evidentemente, la resilienza ha una valenza positiva. Applicata al genere umano, è sinonimo di capacità di resistere allo stress e alla fatica, rappresentando spesso la determinazione nel raggiungere gli obiettivi fissati.

Applicata all’inflazione diventa, ovviamente, un elemento fortemente negativo, in grado di modificare, nell’arco di pochissimo tempo, prospettive e strategie.

Ne abbiamo avuto, ancora una volta, piena conferma nella giornata di ieri.

La velocità con la quale i mercati, non appena, intorno alle 14,30 ora italiana di ieri, sono stati resi noti i dati sull’inflazione USA, hanno reagito ci hanno ricordato, ancora una volta, che la lotta per riportare i prezzi sotto controllo non sarà “un pasto gratis”. A fronte dell’atteso 8,1%, infatti, ci si è fermati all’8,3% ( 8,5% a luglio). Si penserà: cosa potrà significare uno 0,2 in più o in meno rispetto alle attese, l’importante è che i prezzi si siano fermati e comincino a calare.

Non è proprio così.

A spaventare maggiormente gli osservatori è stata soprattutto l’inflazione core, quella al netto dei generi più volatili, quali energia e generi alimentari: non solo, infatti, non è diminuita, ma è addirittura salita, portandosi, dal precedente 5,9% di luglio al 6,3% di fine agosto, trascinata dagli affitti, dal prezzo delle auto, dalla ristorazione e dai consumi in genere. Andamento contrario l’energia, con i prezzi mediamente scesi del 5%, che arrivano al 10,6% per la benzina.

Siamo lontani dal 9,1% fatto registrare a giugno, ma la celerità del calo non è quella che la FED (e molti operatori) ritenevano. Diventa quindi quasi certo che tra 1 settimana la Powell sarà costretto a confermare quanto affermato non più tardi di 15 giorni fa a Jakson Hole in merito alla necessità di un intervento da parte della Banca Centrali che non lasci dubbi sulla volontà di sconfiggere l’inflazione. Il rialzo dello 0,75% in occasione del prossimo vertice è pertanto ritenuto sicuro, con qualche Banca d’affari (una fra tutte Nomura) che si sbilancia nell’affermare che potrebbe anche raggiungere l’1%, con i tassi che potrebbero posizionarsi anche al 4,50/4,75% entro il prossimo marzo 2023. Da marzo ad oggi la FED ha alzato i tasso del 2,50% (il doppio di quanto fatto dalla BCE), ma, in tutta evidenza, un livello ancora insufficiente per bloccare dinamiche ritenute pericolose. Non dimentichiamo la diversa “natura” dell’inflazione USA rispetto a quello che stiamo vivendo in Europa: là si parla di inflazione da domanda, conseguenza di uno stato dell’economia che gode di buona salute, che spinge i cittadini, dopo i lockdown, a spendere, quasi nell’illusione di recuperare il tempo perduto, mentre da noi si tratta di inflazione da offerta, per i ben noti motivi (da qui qualche voce che dissente dalle decisione di Christine Lagarde di procedere ulteriormente a nuovi prossimi rialzi).

Immediata la reazione dei mercati, come detto, che hanno violentemente virato, facendo segnare, per lo S&P la peggior seduta dell’anno, con un calo del 4,32%. Molto male il Nasdaq, che ha ceduto il 5,54%, e il Dow Jones, – 3,94%. Un po’ meglio è andata per l’Europa, con i listini che mediamente tra l’1,30 e il 2%. Certamente assisteremo, in questi giorni, ad un nuovo aumento della volatilità, con i prezzi che potrebbero tornare sulle “montagne russe”. Quindi cinture allacciate e controllo dell’emotività.

Listini asiatici ovviamente “orientati” dalle chiusure di ieri: il Nikkei, il più “occidentale” tra i listini “orientali”, lascia sul terreno il 2,6%. Un po’ meglio va a Hong Kong, almeno per il momento, in discesa del 2,4%, mentre si difende Shanghai, che perde “solo” (sempre al momento) lo 0,76%.

Futures che anticipano una seduta abbastanza movimentata, pur muovendosi intorno alla parità.

In calo, anche se contenuto, il petrolio, con il WTI a $ 87,13 (- 0,32%). Circolano voci che l’Amministrazione USA potrebbe ricominciare a stoccare le proprie riserve nel momento in cui il petrolio dovesse scendere sotto $ 80: JP Morgan si è spinta a fissare il prezzo, nei prossimi mesi, a $ 150….

Gas naturale americano a $ 8,398, mentre quello europeo oscilla intorno a € 200 al megawattora.

Oro che “difende” quota $ 1.700 (1.701).

Spread in recupero questa mattina, a 225,9 bp.

Bund intorno a 1,65%.

Deciso rialzo per i rendimenti USA, con il treasury che è arrivato al 3,42%. Ben maggiore il rialzo del biennale, che è arrivato a toccare il 3,75%.

Come facilmente ipotizzabile, si rafforza il $, che si riporta sotto la parità verso € (0,9975).

Scivola, e non di poco, il bitcoin, che si riporta verso i $ 20.000 (20.301, – 9%).

Ps: parliamo di made in Italy. Forse i nostri 2 marchi più noti al mondo sono Ferrari e Ferrero (o meglio, la Nutella….: dubito che nello Yorkshire sappiano chi è Giovanni Ferrero, ma senz’altro sanno cos’è la nutella…). Bene, la Ferrero, a conferma di una “salute aziendale” straordinaria, oltre che di una certa “vicinanza” alle proprie maestranze (peraltro già avviata dal fondatore, Michele Ferrero), ha deciso un “maxi-premio” per tutti i dipendenti, di € 2.450.

La Ferrari, invece, ieri ha ufficialmente presentato ai propri migliori clienti il nuovo Suv “Purosangue”, con il quale si affaccia al nuovo segmento di mercato. Un’auto nella pura tradizione Ferrari, con un motore V12 aspirato (niente elettrico quindi) da 725 cavalli di potenza e 310km di velocità massima. Il costo? Si parte da € 390.000, ma tra optionals e personalizzazioni varie, si arriva a € 450.000. Le consegne inizieranno a metà 2023 e si prevedono tempi di attesa di 3-4 anni. Tranne, forse, per i 2.000 clienti che “a scatola chiusa”, presenti all’evento, pare abbiano già prenotato l’auto. Ma si parla di circa 6.000 ordini già raccolti. In fondo, siamo in tempi di crisi…

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ultimo aggiornamento: 14-09-2022


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