A tenere banco, ancora e sempre, in questi giorni è o “strappo” verso l’alto dei rendimenti obbligazionari. Un movimento che ha portato indietro le “lancette” di 10 e più anni: negli USA i Treasury sono tornati ai livelli di 16 anni fa, arrivando ad un passo dal 5%, in Germania il Bund ieri, anche se per un attimo, ha “bucato” la barriera del 3%, un livello che non vedeva dal 2011, il nostro BTP, sempre ieri, nell’intra-day, ha sfondato il 5%, per poi “riparare” verso il 4,90%, comunque il massimo dal 2013. Un quadro, se non da brividi, certamente non così rassicurante, soprattutto per il nostro Paese. Il binomio aumento dello stock di debito (€ 2.859 MD, con il trend in crescita e i 3.000 MD, soglia psicologica non indifferente) e tassi ai massimi di periodo ci porterà, da qui ad un paio di anni, a superare i 100 MD di spesa per interessi (peraltro siamo in buona compagnia, se è vero che gli USA, tra non molto, arriveranno a spendere qualcosa come $ 1.500 MD per pagare il proprio debito): l’equivalente di circa 4,6 punti di PIL, stimato, tra un paio di anni, intorno a € 2.300 MD (quest’anno saranno circa € 80 MD, pari al 3,8% del PIL).
La “progressione”, in maniera molto chiara, anche se piuttosto semplicistica, aiuta a far capire il motivo per cui le preoccupazioni si siano, nelle ultime settimane, “impadronite” dei mercati, che hanno visto scendere le quotazioni di praticamente tutti gli asset: indici borsistici e quotazioni dei titoli obbligazionari in primis, ma anche di strumenti, come l’oro, ritenuti più sicuri e “difensivi” (nell’ultimo caso, a dire, il vero, in questo momento, con i rendimenti, come detto, dei titoli obbligazionari ai massimi, c’è poco da difendere: o meglio, ci sarebbe da difendere dall’inflazione, ma nel momento in cui c’è qualcosa che “da” il 5% mentre i prezzi stanno rallentando, tutto quello che non “paga” cedole viene penalizzato, esattamente il contrario di quanto succede quando i prezzi salgono e i rendimenti non “tengono il passo”).
A spaventare sono state le parole, una quindicina di giorni fa, di Jerome Powell: non tanto quelle relative al fatto che si ritiene che i tassi rimarranno più alti di quanto si pensasse sino all’estate, quando si prevedeva che dall’anno prossimo, nella seconda metà dell’anno, avremmo cominciato a declinare, quanto, piuttosto, che il così detto “tasso neutrale” (o di “indifferenza”, che nulla toglie e nulla aggiunge all’andamento dell’economia) è destinato a crescere (oggi è, nelle previsioni di lungo termine, intorno al 2,5%).
Nel momento in cui le aspettative di rendimento, in maniera “trasversale”, e quindi facendo passare in secondo piano il “livello di sicurezza delle emissioni” (il rating), assottigliando i distinguo tra titoli più sicuri (investment grade) e quelli ritenuti più a rischio (high yield), è logico vedere anche le emissioni di Paesi ritenuti “infallibili” (da un punto di vista economico: a livello politico nessuno lo è…) precipitare a livelli che potrebbero sembrare da Argentina e dintorni: per esempio, l’emissione governativa austriaca, sulla durata 100 anni, ha un valore dell’80% inferiore al prezzo di emissione, quella a 50 anni della Francia perde il 70%, il BTP, sempre a 50 anni, emesso l’anno scorso (cedola 2,15%) perde il 53%…Dire che è finita è indubbiamente difficile: può accadere, infatti, che, nel breve (e quindi parliamo di mesi, difficilmente di anni) i prezzi scendano ancora, anche se in maniera più marginale (ormai “il grosso” dovrebbero averlo scontato). Ma se “allunghiamo” la visuale, si può certo affermare che questi livelli di prezzo possano essere delle ottime “occasioni di acquisto”. La replica, cioè, di quello che si è verificato, nel nostro Pase, 10-11 anni fa: chi ha avuto il coraggio di comprare con lo spread a 575 bp (e il rendimento del BTP oltre il 7%) nei mesi e negli anni successivi non ha avuto certo di cui pentirsi.
Questa, se vogliamo, è la logica che sta spingendo migliaia, anzi, centinaia di migliaia, di risparmiatori italiani a comprare il nuovo BTP valore: un titolo, come sappiamo, a tasso crescente (step-up), anche se la durata media (5 anni) fa si che il rendimento non vada oltre il 4,5% annuo per gli ultimi 2 anni. Un livello non troppo lontano da quanto offrono emissioni governative con una durata residua non superiore ai 15-18 mesi (si arriva intorno al 4%). A determinare la scelta, però subentra un altro fattore: vero è che “oggi”, stando su un investimento di “breve periodo” (entro i 18 mesi) “mi porto a casa” comunque un rendimento interessante, in grado di coprire l’inflazione attesa per l’anno prossimo (inferiore al 4%), ma poi, quando il titolo scadrà, dove saranno i rendimenti? Quasi certamente ben al di sotto (questa è la speranza di tutti) dei livelli attuali: per cui il vantaggio, per questo periodo, non è così ampio, ma lo diventerà in maniera evidente quando, una volta scaduti, le nuove emissioni avverranno garantendo flussi cedolari più bassi.
Riscossa, ieri, dei mercati americani. Ancora una volta, a dettare “il ritmo” i dati sul mercato del lavoro. Se il giorno precedente la loro forza era stato il motivo della debolezza, ieri si è verificato il contrario. I nuovi occupati, infatti, sono stati ben inferiori a quanto gli analisti avessero previsto (89.000 verso attese di 150.000, il mese precedente erano stati 180.000), segnale di un indebolimento dell’economia: per cui la reazione degli investitori si è tradotta in acquisti che hanno fatto salire il Nasdaq dell’1,45% e il Dow Jones dello 0,39%.
Ad aiutare lo spread, invece, sono state le parole di Christine Lagarde, presidente della BCE, che ieri, a Francoforte, ha dichiarato che questi livelli di tasso dovrebbero contribuire “in maniera significativa” a far scendere l’inflazione, lasciando spazio ad una chiave di interpretazione piuttosto positiva, che induce a pensare molti osservatori che i rialzi (dei tassi) siano finiti.
Questa mattina mercati asiatici positivi.
A Tokyo il Nikkei rimbalza dell’1,80%, mentre a Hong Kong l’Hang Seng sale dello 0,40%.
In rialzo anche Sidney, Seul e Taiwan, con percentuali tra lo 0,7 e l’1,1%.
Futures americani leggermente deboli, mentre in Europa danno segnali confortanti.
Giornata pesante per il petrolio, che ha perso il 5%, con il WTI sceso sotto i $ 85. Questa mattina da comunque segnali di stabilizzazione, con una crescita dello 0,65%.
“Rompe” la resistenza dei $ 3 il gas naturale Usa, che si porta a 3,016 (+ 1,65%).
Inverte la rotta l’oro, a $ 1.838 b(+ 0,11%).
Spread a 194,8.
BTP al 4,85% dopo che ieri ha sfiorato il 5%.
Bund a 2,91% (ieri 3,02% nell’intra-day).
Treasury Usa a 4,71%, dal 4,83%.
€/$ a 1,0508, con l’€ in leggero recupero.
“Respira” il bitcoin, a $ 27.664.
Ps: nel 2025 torneremo, dopo oltre 50 anni, sulla Luna. Sarà senza dubbio una “passerella” mondiale. Forse anche per questo, vista l’abitudine alle “passerelle”, a vestire i protagonisti di quella impresa sarà, oltre ad un’azienda americana, Prada, brand mondiale del lusso e del “made in Italy”. Una collaborazione che parte dalle sfide della Coppa America, di cui la casa di moda è da anni protagonista. (da definire l’altezza, per le astronaute, del “tacco”, che senza dubbio non sarà 12…).