Direttore: Alessandro Plateroti

Dal prossimo mese di gennaio, il Portogallo porrà fine alle agevolazioni fiscali per i residenti non abituali, coloro cioè che, scegliendo di vivere almeno 6 mesi e 1 giorno nel Paese, godono di vantaggi enormi da un punto di vista fiscale: fino all’anno scorso potevano contare sull’esenzione totale delle tasse, poi portata ad un comunque modesto 10%. Motivo che ha portato, in questi anni, centinaia di migliaia di persone (pensionati, ma non solo), provenienti da mezza Europa, a vivere da quelle parti. Cosa che ha indubbiamente aiutato l’economia del Paese. Ma, come in tutte le cose, ha mostrato “l’altra faccia della medaglia”, anzi 2: la prima è che, con l’arrivo di molti stranieri, il prezzo medio delle abitazioni è salito, tra il 2012 e il 2021, del 71%, contro una media europea del 35%, rendendo inaccessibile, per molti cittadini portoghesi, l’acquisto. La seconda che, soltanto nel 2022, la spesa fiscale per i non residenti abituali è salita del 18,5% , a € 1,5 MD (2 anni fa non arrivava € 1 MD).

Quanto è avvenuto in Portogallo (ma non solo in quel Paese, visto che sono diversi (Cipro, Grecia, Tunisia per citarne alcuni) quelli che possono essere considerati, per le categorie di cittadini sopra considerate, veri e propri “paradisi fiscali”) conferma che idee e scelte di politica economica possono avere, a seconda dei periodi considerati e dei momenti che si vivono, impatti e conseguenze ben diverse: ciò che in alcune fasi è considerato un fattore “trainante” e assolutamente positivo, diventa, in altri, causa di problemi, assumendo una valenza fortemente negativa. A rendere più grave la cosa, il fatto che, nel tempo, le decisioni assunte hanno portato ad importanti cambiamenti nelle abitudini di vita delle persone, rendendo, quindi, non semplice il ritorno a stili di vita più consoni ai tempi.

Pensiamo, per esempio, alle politiche monetarie degli ultimi 15 anni, con particolare riguardo all’ultimo decennio.

Tutto è partito, come ben ricordiamo, dalla gravissima crisi sub-prime, scoppiata negli USA con il default della Lehman Brothers. Una crisi “globale, che ha avuto il suo culmine, per quanto riguarda l’Europa, nel 2011, con l’messo in salvo dallo storico “whatever it takes” di Mario Draghi, all’epoca Presidente della BCE. Da quel momento è iniziata forse la più lunga fase di politica monetaria espansiva che si ricordi, con i tassi che si sono mantenuti a zero, o addirittura sotto zero, sino a 18 mesi fa. Se il mondo, in questi anni, è riuscito a superare le varie crisi che si sono susseguite e tragedie drammatiche come il Covid lo deve fondamentalmente a quella scelta.

Ma il “denaro facile”, a cui si è aggiunta, per un certo periodo, l’impossibilità di spendere per il “tutti in casa”, ha portato Governi, Istituzioni finanziarie e cittadini ad un approccio nuovo, aumentando il debito da una parte e ritenendo che quello fosse il “nuovo ordine” economico del futuro. Senza tener conto che “l’ordine delle cose” è fatto anche di sorprese e/o variabili che ne possono modificare il corso.

Quello che puntualmente è successo con l’arrivo della crisi geopolitica alle porte dell’Europa, i ritardi nella supply chain, il ritorno di un’inflazione da “anni 80”: un duro ritorno alla realtà.

Le cui conseguenze si fanno sentire ogni giorno, con un impatto evidente non solo negli stili di vita, ma anche sui mercati finanziari.

In questi 18 mesi abbiamo assistito al più rapido rialzo dei tassi che si ricordi, con un “irripidimento della curva” mai visto (gli Usa sono passati dallo 0-0,25% al 5,25-5,50%, l’Europa da – 0,50% al 4%). Una scelta “obbligata”, che ha contribuito non poco al calo dell’inflazione, oggi, in Europa, al 4,3%, mentre negli Usa è intorno al 3%). Ma che, dall’altra parte, sta portando le economie mondiali a rallentare il proprio ritmo. O dovrebbe portarle: non sempre, infatti, il mondo procede per “automatismi”.

Ancora una volta, tutto non sembra così scontato. Ieri, negli Usa, sono stati resi noti i dati sul mercato del lavoro: le nuove posizioni lavorative sono cresciute a 9,6 milioni dopo che a luglio era scese sotto i 9 milioni. in altre parole, il mercato del lavoro, negli USA, è ancora molto forte, molto più di quanto il mercato ritenesse. Si allontana, quindi, l’idea che, almeno oltreoceano, possa arrivare la recessione. Nessun hard lending, pertanto. Diventano sempre più reali, di conseguenze, le parole di Jerome Powell, pronunciate nell’ultimo Comitato Fed: quel “higher for longer” (più alti più a lungo, riferite ai tassi) che tanto non piacciono ai mercati.

Se ne è avuta una conferma ieri, con tutti gli indici spaventati dall’idea che passeranno mesi prima che si possa vedere un’inversione di tendenza.

A “pagare dazio” non solo le  borse, ma anche i bond, con i tassi, soprattutto quelli “a lungo” ulteriormente cresciuti, e l’oro, penalizzato dalla “concorrenza”, appunto, delle obbligazioni, il cui rendimento continua a crescere (l’oro non paga cedole).

Paradossalmente, quindi, c’è bisogno di “cattive notizie” perché si possa vedere un’inversione tendenza. Cattive notizie che, almeno per quanto riguarda l’Europa, comunque, non dovrebbero essere così remote (ma neanche così gravi).

I mercati asiatici, in scia a Wall Street (ieri sera Nasdaq – 1,83%, Dow Jones – 1,29%, S&P 500 – 1,37%), si apprestano a chiudere sui minimi di giornata.

Ancora chiusa Shanghai per la Golden Week, a Tokyo il Nikkei è in calo del 2,28%, mentre a Hong Kong l’Hang Seng ferma la sua discesa all’1,26%.

A Seul Kospi – 2,2%; giù anche Taiwan (- 1,2%) e Sidney (- 1,1%).

Futures che non cambiano “umore”, con cali tra lo 0,5% e lo 0,7%.

Petrolio sui livelli di ieri, con il WTI a $ 88,87.

Si avvicina ai $ 3 (2,958) il gas naturale Usa.

Il clima particolarmente mite, invece, sta aiutando l’Europa, con gli stoccaggi quasi al massimo (95%) ovunque, elemento che contribuisce al calo del megawattora, con il prezzo abbondantemente sotto € 40.

Oro a $ 1.834, minimo da qualche mese a questa parte.

Spread pericolosamente vicino ai 200bp: nonostante l’ottimo andamento delle sottoscrizioni del nuovo BTP Valore (sono stati superati i 9 MD, con un ritmo sorprendentemente simile a quello della 1° emissione, con gli osservatori che hanno alzato le stime di raccolta, portandole vicine ai 20 MD), questa mattina fa segnare 197,3 bp.

BTP ormai ad un passo del 5%: questa mattina siamo a 4,93%.

Bund a 2,96%, mai così alto dal 2011.

Treasury a 4,83%, massimo dal 2007.

$  che non “molla la presa” verso le altre valute, con l’€/$ a 1,0458 (ma anche lo yen è sotto pressione, a 147, dopo che aveva toccato anche i 150).

Leggero calo per il bitcoin, a $ 27.388.

Ps: non è entrata nel “clou” solo la stagione delle Leggi di Bilancio, ma anche quella relativa all’assegnazione dei premi Nobel. Quest’anno, quello per la fisica è andata a 3 scienziati: Anne L’Huillier, Ferenc Krausz e Pierre Agostini. Il loro merito è quello di aver generato i “flash” più brevi creati dall’uomo per osservare le particelle subatomiche (già la definizione fa capire la complessità dell’argomento). Quello che viene definito “l’attosecondo(non nell’accezione a cui siamo abituati, evidentemente). L’attosecondo è la scala temporale necessaria per investigare il moto degli elettroni, tale per cui i nuclei delle particelle subatomiche non abbiano il tempo di reagire: è pari a un trilionesimo di secondo. Quanto è un trilionesimo di secondo? Un milionesimo di miliardesimo di secondo. In numeri: 1.000.000.000.000.000.000 (18 zeri). Meglio fermarsi qui.

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ultimo aggiornamento: 04-10-2023


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