Per quanto sembri immutabile, l’equilibrio geopolitico globale è in continuo movimento.
Basta guardare agli ultimi 80 anni di storia (dalla fine della 2° guerra mondiale) per rendersene conto. Da un mondo diviso in 2 grandi blocchi, divisi dal “muro”, si è passati, nel corso degli anni, ad una maggior frammentazione, che ha avuto un’accelerazione dagli anni 80. La forte crescita della Cina, peraltro democrazia sempre incompiuta, la nascita dell’Europa, per quanto con i limiti noti, le fibrillazioni del mondo arabo, le grandi incertezze, politiche e ancor più economiche, del continente africano, con gli impatti migratori che ben conosciamo, ci raccontano un mondo in continua evoluzione.
Nel corso degli ultimi 40 anni, forse il Paese che, per storia, dimensioni, economia, ha maggiormente modificato l’ordine delle cose è la Cina. Sino a qualche anno fa (individuare nel Covid lo spartiacque può apparire semplicistico) Pechino sembrava in grado di insidiare, almeno da un punto di vista prettamente economico (ma la forza dell’economia equivale, molto spesso, ad un’altrettanta forza “politica” e, quindi, di capacità di influenza), gli Stati Uniti: le stime, infatti, prevedevano che nell’arco di pochi anni (tra il 2040 e il 2050), l’economia cinese avrebbe conquistato la leadership mondiale. Erano gli anni (il primo decennio del nuovo millennio) in cui il PIL cresceva al ritmo del 10% annuo, una percentuale “out of order” per chiunque, soprattutto in considerazione di un Paese di oltre 1 MD di abitanti.
Nell’arco di pochi anni le cose sono profondamente cambiate, facendo venire allo scoperto le molteplici problematiche di cui soffre il “subcontinente” asiatico: il fortissimo dirigismo politico e, conseguentemente, governativo, che limita l’iniziativa privata, limitando gli investimenti internazionali, l’altrettanto pesante crisi demografica, che da una parte, un po’ come succede in Italia (che, però, ha circa un venticinquesimo della popolazione cinese), fa diminuire il numero dei residenti e provoca un veloce invecchiamento della popolazione, la difficile situazione in cui si trovano alcuni settori (vd l’immobiliare, che vale circa 1/3 dell’economia cinese), sono alcuni dei motivi che hanno creato una “stagnazione” economica e una drastica riduzione dei consumi, con una crescita che fatica a rimanere “aggrappata” al 5% (per l’anno in corso si stima tra il 4,5 e il 5%, livelli considerati “minimali” per un’economia di quelle dimensioni).
Le conseguenze sono sotto gli occhi di tutti: se oggi si parla di un’economia asiatica in crescita, in grado di avere un ruolo che si potrebbe definire “disruptive”, capace, cioè, di “modificare” l’ordine delle cose, allora si parla no più di Cina, ma di India.
L’India, come noto, da qualche mese ha già superato la Cina nel numero di abitanti, diventando, con oltre 1,45MD di abitanti, il Paese più popoloso al mondo. La sua economia, seppur tra grandi contraddizioni sociali (a New Delhi o Mumbai si vendono case che costano come a Manhattan, i nuovi miliardari, solo nel 2023, sono stati 216, che hanno portato il numero complessivo a ben 1.319), cresce ad un ritmo pari all’8%. Se si pensa che uno stipendio medio, in India, non supera i $ 400 e che il reddito medio, nel 2022, si collocava intorno ai $ 8.000, possiamo ben comprendere quanta strada abbia davanti.
In una cosa, però, il Paese sembra essere già al livello dei Paesi più sviluppati: le quotazioni di borsa.
La borsa indiana (la principale è quella di Mumbai) nell’ultimo anno è cresciuta di circa il 29%, che la colloca tra i mercati che hanno avuto le performance maggiori. Quello che più conta, peraltro, sono i multipli che esprime. Il rapporto prezzo/utili previsti a 12 mesi, infatti, la colloca al secondo posto tra le borse più “care” al mondo. Il suo 21,9 è superato solo dal 27,9 del Nasdaq e precede il 21 dello S&P 500 e il 15,5 del Nikkei (il nostro MIB, per dire, sta a 9,5 e Shanghai addirittura al 6,2). Se da una parte simili quotazione spaventano (o iniziano a spaventare) gli investitori, dall’altra favoriscono l’afflusso di capitali, soprattutto stranieri.
Non sono poche, quindi, le società che, approfittando del fatto che maggiori multipli permettono prezzi più alti, desiderano prendere quella strada per quotarsi sul mercato. Si calcola che solo quest’anno le operazioni siano aumentate di ben il 139%, permettendo di raccogliere, in neanche 3 mesi, oltre $ 2,3 MD, 12 volte in più rispetto allo stesso periodo di 12 mesi. Con il National Stock Exchange (NSE) di Mumbai che è, ad oggi, la terza borsa al mondo (dopo Nyse e Nasdaq) per numero di IPO. Il fenomeno che sorprende (fino ad un certo punto) è che, in molti casi, si tratta di “succursali” indiane di società che hanno la loro sede in altri Paesi. Si prenda, ad esempio, il caso di Hyundai, la più grande società di automotive coreana: la sua succursale indiana sta pensando di quotarsi con una valutazione compresa tra i $ 22 e i 20 MD: se così fosse, il suo valore potrebbe arrivare a 2/3 di quello della casa madre, attualmente intorno ai $ 45 MD. Ancora più clamoroso il caso della Suzuki Maruti, controllata indiana della giapponese Suzuki Motor: se la casa madre vale circa $ 23 MD, la filiale indiana (controllata al 58,19%) ne vale 47….
i dati positivi sull’economia Usa ieri hanno frenato i listini americani, preoccupati per il fatto che la forza economica a stelle e strisce possa ulteriormente rallentare le decisioni delle banche centrali, a cominciare dalla FED, in merito al taglio dei tassi. Ecco spiegato il motivo per cui il Dow Jones ha perso circa l’1%, mentre il Nasdaq è sceso dello 0,94%.
“Sentiment” simile, questa mattina, sui mercati del Pacifico: a Tokyo il Nikkei lascia sul terreno lo 0,97%, mentre in Cina Shanghai cerca di rimanere aggrappata alla parità (– 0,14%).
Più pesante, a Hong Kong, l’Hang Seng, in calo dell’1,27%.
Scendono anche il Kospi di Seul (- 1,2%) e il Taiex di Taiwan (- 0,4%).
Si muovono appena sotto la parità i futures, con cali entro lo 0,22%.
Ancora in rafforzamento il petrolio, con il brent del Mar Baltico ad un passo dai $ 90 e il WTI che ha toccato i $ 85 (stabile questa mattina).
Gas naturale Usa $ 1,846 (- 1,07%).
Oro al nuovo record di $ 2.303 (+ 0,86% i primi prezzi di giornata).
Spread a 138 bp, in leggero rafforzamento questa mattina (ieri sera aveva chiuso a 143bp).
BTP al 3,80%.
Bund al 2,39%.
In leggero indebolimento il Treasury Usa, con il rendimento che sale al 4,34%.
€/$ 1,0771.
Bitcoin ancora in fase di debolezza relativa, a $ 66.965.
Grazie come sempre per l’attenzione.
Ps: Gian Maria Volontè è stato, senza dubbio, uno dei più grandi attori cinematografici vissuti nel secolo scorso. La conferma ulteriore ci arriva dalla Treccani. La più prestigiosa Enciclopedia italiana, infatti, ha deciso di dedicargli un posto nella sua ultima pubblicazione. Tantissimi i film in cui ha avuto un ruolo fondamentale (Sacco e Vanzetti, La classe operaia va in Paradiso, Il caso Mattei, etc). Ma altrettanto lunga potrebbe essere la lista di quelli a cui ha detto no: basti pensare a Il padrino o a Novecento.