Pur mancando 2 mesi al termine dell’anno, si comincia a fare il “bilancio” dell’anno, accompagnato, come sempre, dalle previsioni per il prossimo (perché, comunque, mancano solo 60 giorni all’inizio del nuovo).
Il nervosismo di questi giorni, con la crisi medio orientale che, forse più ancora delle semplici analisi economico-finanziarie, determina una più accentuata volatilità, in realtà è iniziato a fine agosto, figlio delle preoccupazioni legate al ciclo economico.
Come ogni cosa, anche i dati economici si prestano alle più svariate interpretazioni: come sempre, qualcuno vede il bicchiere mezzo vuoto, altri quello mezzo pieno. Peraltro, ad un’analisi più attenta, la tanto temuta recessione sembra allontanarsi un po’. Rimane, certo, la variabile geo-politica, ma, come successo in passato, seppur, magari, tra alti e bassi, la speranza è che la situazione non sfugga di mano. Sullo sfondo rimangono sempre le elezioni Presidenziali americane (novembre 24), un evento in grado di influenzare molti ambiti, dalla politica estera a quella economica.
Ma andiamo con ordine.
Il “grande malato” di questa fase, la Cina (in Europa, in realtà, ne abbiamo un altro, la Germania, il cui malessere, peraltro, dipende in parte anche dal gigante orientale), sembra volere a tutti i costi uscire dal periodo difficile, con il Governo e la Banca Centrale che non sembrano lesinare aiuti (anche se la crisi del settore immobiliare potrebbe essere una zavorra di non poco conto).
Gli Stati Uniti, come l’eccezionale dato del 3° trimestre sta a confermare (PIL annualizzato 4,9%, superiore alle previsioni, che stavano tra il 4,5 e il 4,7%, ma ancor di più al 2° trimestre, quando non ha superato il 2,1%) un’economia quasi “effervescente” (anche se già si sa che il 4° trimestre sarà inferiore). L’altra faccia della medaglia potrebbe essere, ancora una volta, la fatica, da parte della FED, nel tenere “bloccati” i tassi al 5.25%-5,50%, con il rischio, da qui a fine anno, di un ulteriore ritocco. Ma, come detto, l’anno elettorale si farà sentire (per quanto totalmente indipendente dal potere politico, la FED ha, come tutte le Istituzioni monetarie, un “ruolo politico”: lo sa bene Powell, che difficilmente avrà voglia di “mettere il bastone tra le ruote” di Biden). E’ presumibile, quindi, che i tassi, a partire dalla seconda metà del prossimo anno, possano iniziare la loro (lenta) discesa, “puntando” al 4,25-4,50% per la fine del 2024.
L’Europa, oggi in condizioni diverse rispetto all’economia americana (la “fragilità” della Germania condiziona tutta l’area), dovrebbe positivamente risentire della ripartenza della Cina (si è detto della dipendenza della Germania). Ieri la BCE non ha “toccato” i tassi, confermando il 4% sui depositi: in molti azzardano che si sia arrivati al “pivot”, per cui anche nella prossima riunione Christine Lagarde potrebbe lasciare invariate le cose. Di certo, se guardiamo all’andamento del tasso swap 5y5y (in sostanza il “future” sui tassi sulla scadenza di 5 anni), si nota che, rispetto al dato di agosto (2,7%), ora siamo al 2,5%: se lo depuriamo del “premio al rischio”, siamo praticamente a quel 2% che è l’obiettivo “target” non solo della BCE ma di un po’ tutte le Banche Centrali.
Un ruolo non banale lo avrà l’utilizzo del “denaro pubblico”: i Governi, in buona sostanza, per “puntellare” la crescita, oltre che per fronteggiare le nuove situazioni in cui ci troviamo (vd, per esempio, il riarmo o la transizione energetica, un ambito che, nel periodo post-covid, era stato un po’ accantonato), dovranno far leva sugli investimenti pubblici. Il rischio è che si creino “disavanzi” di non poco conto, che potrebbero creare qualche difficoltà a quei Paesi, come il nostro, particolarmente indebitati.
La notizia che ieri la Ford ha raggiunto l’accordo salariale potrebbe essere un “ulteriore” volano pe l’economia statunitense. Dopo settimane di sciopero, che hanno bloccato l’automotive, è probabile che l’accordo si estenda a tutto il settore, che, almeno in parte, dovrà recuperare il tempo perduto (anche se i danni – miliardari – per i bilanci societari rimarranno), e quindi dare un contributo alla crescita. L’intesa indubbiamente non è di poco conto (25% di aumento salariale spalmato in 4 anni) e potrebbe portare a delle riorganizzazioni aziendali per “bilanciare” la minor marginalità del sistema,
Infine, l’inflazione, dovrebbe mantenere la sua “traiettoria” di discesa, anche se ben difficilmente la vedremo andare sotto il 3% (se pensiamo che solo qualche mese fa “veleggiava” intorno al 10% non si può dire che un qualche risultato le politiche monetarie restrittive non l’abbiano ottenuto).
Tutti buoni motivi per ritenere che la non semplice congiuntura attuale (borse in calo, tassi a lunga in crescita) possa essere vicina alla fine e che, nelle prossime settimane, si possano vedere segnali di stabilizzazione, preludio di 2024 tutto sommato positivo, sia per quanto riguarda il mercato obbligazionario (la discesa dei tassi favorirà la ripresa dei corsi) che gli indici di borsa (l’attenzione ai margini, come detto, dovrebbe favorire le quotazioni di molte società).
Nuova giornata difficile, ieri, per i mercati statunitensi (Nasdaq – 1,89%, Dow Jones – 0,76%, S&P 500 – 1,18%). Nella notte, però, grazie agli strepitosi dati di Amazon, con ricavi in crescita del 13% (che hanno portato il titolo a crescere, nel dopo borsa, del 7%), l’umore è cambiato, con i futures tutti in rialzo, a partire da quelli sul Nasdaq (+ 0,82%).
Di conseguenza, tutti gli indici del Pacifico danno segnali largamente positivi: a Tokyo Nikkei + 1,27%, mentre a Hong Kong l’Hang Seng cresce del 2,29%, riducendo allo 0,5% le perdite della settimana.
Bene anche Shanghai, in rialzo dell’1,23%, che consente alla principale borsa cinese di chiudere la settimana in territorio positivo (circa + 1%).
Futures positivi anche in Europa, con l’Eurostoxx a + 0,25%.
Petrolio in ripresa questa mattina, con le quotazioni del WTI a $ 84,56 (+ 1,51%).
Gas naturale Usa a $ 3,553 (+ 2,01%).
Oro sempre “con vista” sui $ 2.000 (1.997).
La mossa della BCE “congela”, per il momento, lo spread, che questa mattina si conferma a 200 bp.
BTP al 4,86%. Oggi è attesa il 2° verdetto sul nostro debito pubblico, quello di DBRS, mentre la settimana prossima toccherà a Fitch.
Bund al 2,85%.
Treasury Usa al 4,85%, in ribasso di 10 bp rispetto a ieri.
€/$ a 1,0559.
Appena debole il bitcoin, che si avvicina alla soglia dei $ 34.000 (34.149).
Ps: il pugilato è sempre stato, insieme al ciclismo, uno sport molto popolare. Non a caso, molti campioni sono arrivati (e continuano ad arrivare) da ceti sociali molto modesti. Oggi le cose, soprattutto per quanto riguarda “l’arte nobile” (così viene definito il pugilato, in passato sport per soli nobili, tant’è vero che le sue regole vennero definite dal Msrchese scozzese John Douglass – ma se ne parlava già ai tempi dell’antica Grecia) sono un po’ cambiate, con praticanti sempre in diminuzione. Però, per alcuni di loro, si aprono, e non di poco, le porte della ricchezza. E’ il caso, per esempio, di Tyson Fury e Francis Ngannou, che domani si sfideranno per il titolo mondiale dei pesi massimi. Il primo guadagnerà, per combattere, $ 50 ML, il 2° “solo” S 10 ML. A volte una “scazzottata” risolve molti problemi.