Dallo scorso autunno, Mario Draghi, “disoccupato” in Italia, ha assunto, per conto della Commissione Europea, il compito di mettere a punto uno studio sulla competitività dell’economia europea. In questi mesi non sono mancate occasioni in cui l’ex Presidente della BCE (ed “ex” tante altre cose) non abbia ribadito la necessità, da parte dell’Europa, di un “salto di qualità” se vuole non solo essere protagonista, ma avere “chance” di sopravvivenza.
Un convincimento che, peraltro, richiede sforzi enormi, almeno a leggere le prime conclusioni, rese note sabato a Gand, nelle Fiandre, durante il vertice Ecofin, che ha riunito i 27 Ministri dell’Economia dell’area euro.
Secondo Draghi, infatti, per “fare l’Europa” (quella di oggi è ancora una sorta di “primogenitura”) servirebbero, solo per la transizione digitale e l’ambiente, non meno di € 500 MD all’anno per i prossimi 7-8 anni.Cifre enormi, il cui reperimento non può passare solo attraverso la sfera pubblica (il maggior investimento fatto, ad oggi, in Europa, il PNRR-Next Generation Eu, di cui l’Italia, con quasi € 200 MD , è il maggior beneficiario, è “costato” € 750 MD), ma per forza di cose richiederà la partecipazione di capitali privati (si calcola che le risorse, in termini di attività finanziarie, ammontino complessivamente, in Europa, a € 35.000 MD circa, di cui 1/3 in liquidità su cc bancari).
Più che il “reperimento della materia prima”, peraltro, l’aspetto più difficile e complesso, come ben noto, è l’idea stessa di azione comune, che non può non passare da un “approccio unico”. Un’idea, almeno osservando le dinamiche tra i Paesi membri, oggi distante anni luce dall’essere realtà. Al punto che viene da chiedersi se non sarebbe meglio perseguire una strategia un po’ diversa, riesumando quella che Henry Kissinger, forse il Segretario di Stato Usa più influente di sempre, mancato qualche settimana fa, definiva “strategia dei piccoli passi”. Parlare di € 500 MD di investimenti annui (solo per una parte di ciò che realmente servirebbe) rischia, infatti, di “spaventare”, indebolendo più che rafforzando il perseguimento di obiettivi comuni. Non serve fare troppa strada per rendersene conto: basti pensare alle contrapposizioni sulla difesa comune, oggi più che mai attuale in considerazione della situazione ai confini della UE. Nel 2022, quindi oltre ormai più di 14 mesi fa, l’ammontare delle spese militari degli Stati membri aveva raggiunto la cifra di € 240 Md, in aumento per l’8° anno consecutivo, rimanendo comunque ben distante dagli investimenti USA (oramai sopra i $ 800 MD annui): la “risposta politica” europea, ad oggi, si è fermata al finanziamento di un Fondo per le spese belliche del valore di € 7-8 MD per la durata di 6 anni.
Al di là delle spese militari, il cui valore simbolico è altissimo (la difesa è uno dei tasselli su cui si basa l’idea stessa di Stato, per cui l’Europa, se vuole essere uno Stato a tutti gli effetti, non può prescinderne), ben vediamo quale sia la fatica per arrivare a qualsiasi conclusione comune: basti pensare ai mesi che sono stati necessari per definire le nuove regole per l’entrata in vigore del nuovo Patto di Stabilità o al braccio di ferro, non ancora concluso, sul MES. Ecco perché, prima di esplicitare progetti al momento inattuabili, forse varrebbe la pena concentrarsi su passaggi più semplici, la cui attuazione potrebbe essere immediata e non, invece, rimandata alle generazioni future. A meno che, viene da pensare, non si voglia tenere “lontana dai giochi” una risorsa che ha dimostrato, in questi anni, di potere fare molto, sia per il proprio Paese che per la “casa comune” europea. Come diceva un certo Andreotti, uno che di politica ne “masticava”, a “pensare male si fa peccato, ma spesso non si sbaglia”.
La settimana si apre con la borsa giapponese che continua da dove era rimasta giovedì, prima della festività per il compleanno dell’imperatore: a Tokyo l’indice Nikkei guadagna lo 0,35%, portandosi su nuovi massimi.
Deboli le altre piazze asiatiche: Shanghai è in calo dell’1% circa, mentre a Hong Kong l’Hang Seng arretra dello 0,50%.
In calo anche Seul e, in India, Mumbai (intorno al – 0,4%).
Futures per il momento poco brillanti, in leggero ritracciamento (– 0,2/0,3%).
In arretramento il petrolio, a $ 76,30 (- 0,34%).
Balzo del gas naturale Usa, che recupera quasi il 5% (+ 4,89%, $ 1,785).
Oro a $ 2.044, – 0,35%.
Questa mattina spread in deciso ribasso, ad un passo da 140 bp (141,6).
BTP al 3,79%, dal precedente 3,90%. Oggi, tra l’altro, inizia il collocamento del nuovo BTP Valore, la nuova tipologia di BTP formula step-up (tasso crescente).
Bund al 2,36%.
Treasury 4,23%, in ribasso dal 4,32%.
€/S 1,083, sui livelli di venerdì.
Bitcoin a $ 51.444.
Ps: l’Italia del rugby ieri è arrivata ad un passo dall’impresa, A Lille, infatti, durante il 6 Nazioni, la nostra nazionale non solo ha pareggiato (prima volta nella storia) con la Francia, ma è arrivata ad un soffio dalla vittoria: a tempo scaduto, ha colpito, su punizione, il palo. Nei 24 anni di partecipazioni al più importante torneo europeo, che raggruppa le più forti nazionali d’Europa, l’Italia aveva sempre perso con i “blues”. Nei 48 match complessivi precedenti con i francesi siamo 45-3 per loro (questo è il primo pareggio): ne abbiamo di strada da fare, però magari cominciano a giocarcela….