Ad una settimana da Natale, qualche certezza inizia a rubare il posto alle sorprese che troveremo sotto l’albero.
Quella forse più importante riguarda l’inflazione. Secondo le stime più recenti della Banca d’Italia, nel triennio 2024-2026 dovrebbe attestarsi ad un livello che non supererà, anno su anno, il 2% (1,9% l’anno prossimo, l’1,8% nel 2025, l’1,7% nel 2026). Un calo straordinario se messo a confronto con l’anno in corso, che dovrebbe chiudersi ad un livello tra il 5,7 e il 6%. Sembra, dunque, che il rigore monetario vissuto negli ultimi 18 mesi (il maggiore da 40 anni a questa parte, ma , soprattutto, il più “ripido” che si ricordi, con un numero di rialzi così ravvicinati tra di loro difficile da ricordare) abbia raggiunto l’obiettivo.
Aumentano, dunque, le pressioni verso le Banche Centrali affinchè inizino in tempi brevi le prime “sforbiciate” ed evitare, così facendo, che il rallentamento economico di cui tanto si parla non cresca ulteriormente sino a sfociare in recessione. Qualche indicazione ci viene dal mercato, che, come al solito, tende a muoversi in anticipo rispetto alle decisioni degli organismi monetari. Si può notare, infatti, come alcuni (vedi l’IRS, il tasso che viene preso a riferimento dei mutui a tasso fisso) abbiano già invertito la rotta , più di quanto abbia fatto, per es, l’€uribor a 3 mesi, che è quello normalmente utilizzato per i mutui a tasso variabile, al momento ancora vicino ai massimi. In tal senso, è illuminante un articolo, apparso su La Repubblica di sabato, di Carlo Cottarelli, secondo cui la BCE dovrebbe già muoversi, senza attendere oltre, per 2 ragioni: la prima perché negli ultimi 3 mesi i prezzi non si sono mossi (quindi l’inflazione, in questi 3 mesi, è sostanzialmente a zero), la seconda in quanto l’aumento dei tassi, che di solito ha un impatto sull’inflazione a distanza di tempo dal suo verificarsi, non ha ancora concluso i suoi effetti. Quindi è altamente probabile che anche nei prossimi mesi dovremmo assistere ad un andamento analogo. Quindi avere tassi, come abbiamo ora in Europa, con un’inflazione addirittura inferiore al target del 2% rischia di “uccidere” l’economia. Oltre al fatto di avere tassi reali positivi. Sempre Bankitalia, poi, ci dice che la crescita, nel nostro Paese, procederà a rilento, con il PIL che nel prossimo triennio, da un anno all’altro, dovrebbe crescere dello 0,6% nel 2024, per poi stabilizzarsi intorno all’1,1%.
Un altro indicatore per quelle che dovrebbero essere le prossime mosse delle Banche Centrali ci arriva dal movimento dei BTP (ma anche di altri titoli governativi, vedi i Bund tedeschi o gli OAT francesi). Dopo il “buco nero” del 2022, quando qualsiasi investimento obbligazionario, dal livello massimo dell’Investment grade (i titoli più sicuri) a quello degli high yelds (quelli più esposti ai “chiaro-scuri” dei mercati), ha subito perdite a 2 cifre, possiamo vedere come i nostri titoli abbiano recuperato molto del terreno perduto, “issandosi” di un più che confortante 12% (va detto grazie soprattutto ai riali degli ultimi 2 mesi): il decennale, il “benchmark” di mercato, che a metà ottobre era arrivato a rendere il 5%, venerdì scorso era al 3,73%. Il Bund tedesco dal 3%, è sceso al 2,02%. Oltre oceano, il treasury dal 5% al 3,90%. Un messaggio molto chiaro: anche gli investitori ritengono che le Banche Centrali non possano stare con le mani in mano ancora per molto tempo (l’ultimo “ritocco” ormai risale al mese di settembre, de i ribassi iniziassero a marzo significano almeno 6 mesi di congelamento, che, visto quanto si è verificato negli ultimi 18-20 mesi, non è un periodo così breve).
E poi c’è il mercato azionario, Qui abbiamo assistito a movimenti verso l’alto che vanno dal + 40 (e oltre)% del mercato tecnologico americano, il più sensibile, vista l’elevato esposizione finanziaria delle società che lo compongono, ai tassi, al quasi + 30% del nostro MIB, al + 22% dello S&P 500. Un movimento dettato, appunto, dalle attese sui ribassi che verranno e, in misura altrettanto importante, dalle aspettative di un andamento economico non così negativo.
Ma sappiamo anche che ciò che rende unico il Natale sono le sorprese. Sorprese che, a dire il vero, possono essere sia positive che negative. Ma il “sentiment” attualmente prevalente è vedere il “bicchiere mezzo pieno”: e quindi c’è poco spazio, al momento, per una visione pessimistica per l’anno che verrà, nella convinzione che le situazioni più critiche, ad iniziare da quelle geo-politiche per arrivare alle problematiche normative a livello di Commissione Europea (Patto di stabilità, MES), troveranno una soluzione che non mescolerà le carte.
Inizio settimana in sordina per i mercati asiatici, con tutti gli indici in ribasso.
A Tokyo il Nikkei ripiega dello 0,64%. Entro domani la Bank of Japan dovrà dire la sua sulla politica monetaria, che dovrebbe, ancora per qualche mese, permanere espansiva.
A Hong Kong l’Hang Seng perde circa l’1%, mentre Shanghai arretra dello 0,40%.
Tutti positivi, invece, i futures sulle piazze Europee e a Wall Street.
In lento, ma continuo, recupero il petrolio, con il WTI a $ 72,49 (+ 0,88%).
Gas naturale Usa a $ 2,509 (+ 0,52%).
Oro stabile, a $ 2.038.
Spread sotto i 170 bp (169), un movimento che colloca il rendimento del BTP al 3,70%, minimo del 2023.
Bund ormai ad un passo dal 2%.
Treasury al 3,90%.
€/$ poco mosso, a 1,092.
Continua a muoversi intorno ai $ 41.000 il bitcoin (questa mattina a 41.175, – 0,57%).
Ps: parliamo ancora di Argentina. Già si è detto delle condizioni disperate in cui versa il Paese, confermata dal neo eletto Presidente, Javier Milei, che, senza troppi giri di parole, ha dichiarato “No hay plata” (non ci sono soldi). Qualche numero (i numeri dicono, quasi sempre, molto più delle parole): inflazione prevista nel 2024 200%, PIL – 4,1% vso 2023, 18ML di persone (su una popolazione di 45,8 ML) in stato di indigenza, disoccupazione oltre 6% (anche se non è chiaro quanti siano veramente quelli che non lavorano, in quanto il dato tiene conto solo di coloro che un lavorano lo cercano). Il tempo di lacrime e sangue è solo all’inizio.