Il prossimo 5 marzo, Lucio Battisti avrebbe compiuto 80 anni. Mai avrebbe pensato che una delle sue tantissime, indimenticabili (per non dire memorabili) canzoni sarebbe stata utilizzata come spunto in un dibattito di natura monetaria. A farlo è stato Fabio Panetta, membro del Comitato Esecutivo della BCE, che ieri, durante un convegno a Londra, lo ha citato, affermando che non dobbiamo “guidare come un pazzo a fari spenti nella notte” (chi non ricorda Emozioni, uscita nel 1970). Il riferimento è, ancora una volta, la politica monetaria che la Banca Centrale Europea è chiamata ad attuare, muovendosi sulla linea sottile che divide da un parte la lotta all’inflazione e, dall’altra, il rischio di una recessione.
Secondo Panetta la Banca Centrale deve “essere prudente”, prendendosi tempo per capire dove vanno l’inflazione e l’economia. In una fase di grande incertezza come l’attuale, la politica monetaria futura non dovrebbe essere rigidamente vincolata, arrivando ad affermare che la “forward guidance” (la strada per arrivare all’inflazione target del 2%) non è così necessaria, equivalendo a “legarsi le mani in un momento in cui le prospettive di inflazione possono cambiare rapidamente”.
La tesi del banchiere italiana si basa sull’aspetto che più contraddistingue il rigore della politica monetaria, vale a dire lo “sfasamento temporale”: dal momento in cui entrano in vigore i tassi, passano di solito diversi mesi prima che l’effetto si trasmetta sull’economia reale. In altre parole, le ripercussioni dell’aumento dei tassi sui prezzi, dovute a minori consumi e alle maggiori difficoltà di accesso al credito, oltre che al suo maggior costo (pensiamo banalmente ai mutui) si notano non la settimana dopo alla loro introduzione, ma dopo molto più tempo. Il rischio è che, nel momento in cui si percepisce l’effetto, l’economia sia già caduta in recessione. E risollevarsi, a quel punto, richiederebbe molto tempo, con effetti pesantissimi sull’economia.
Parole che sottintendono, all’interno della Banca Centrale Europea, punti di vista piuttosto marcati, anche se forse è eccessivo parlare di contrasti. Da una parte, come sempre, i Paesi “virtuosi” (in termini di conti pubblici, come Germania, Austria, Olanda, Paesi Baltici), dall’altra quelli che sono costretti a “navigare a vista”, con la nave che, in caso di tempesta in mare aperto, avrebbe difficoltà a mantenere la rotta, pagando, nel caso, un caro prezzo.Quasi un messaggio a Christine Lagarde, che nei giorni scorsi aveva affermato che nella prossima riunione (2 marzo) la BCE alzerà i tassi di un altro 0,50%, “tirata per la giacchetta”, invece, da Joachim Nagel, Governatore della Bundesbank, che ha detto chiaramente che (la BCE) “continuerà a stringere sul costo del denaro ben oltre marzo”. Una dialettica destinata a durare, a meno che i segnali relativi al calo dell’inflazione non si facciano ben più evidenti e, soprattutto, duraturi.
Cosa che, a quanto pare, non sta avvenendo negli USA, dove i prezzi alla produzione hanno toccato, a gennaio, il maggior aumento mensile da 7 mesi a questa parte (+ 0,7%). Contestualmente l’indice dell’attività manufatturiera della FED di Philadelphia è precipitato di 24,3 punti, un valore che per alcuni esperti è il segno più evidente di una recessione alle porte. A rendere meno chiaro il quadro (e quindi a rendere meno semplici le prossime mosse della Banca Centrale Americana), però, si contrappone il dato sulle richieste di sussidi di disoccupazione, sceso a 194.000 unità, un livello ben più basso rispetto alle attese. Tutte cose che, per citare ancora Battisti, “scopriremo solo vivendo”.
Intanto i dati americani di ieri hanno tagliato le ali a Wall Street, che ha chiuso la giornata con cali evidenti: Dow Jones – 1,26%, Nasdaq – 1,93%, S&P 500 – 1,38%.
Questa mattina in rosso tutti gli indici asiatici: Nikkei – 0,66%, Shanghai – 0,77%, Hang Seng – 1,11%. In calo anche Seul, con il Kospi a – 0,7%.
I futures annunciano una giornata all’insegna delle vendite, con cali diffusi ma piuttosto allineati (– 0,5/-0,6%).
In calo anche le materie prime: WTI a $ 77,33, – 1,88%, gas naturale Usa a $ 2,356, – 1,51%. Peggio ha fatto, ieri, quello europep, che ha chiuso a € 51.60 ( – 4,80%) al megawattora.
Oro a $ 1.832,80, – 1,12%.
Spread a 185,4 bp, Rendimento del BTP a 4,33%. A proposito di BTP, ieri il tesoro ha collocato, tramite asta, € 5MD di titoli a 30 anni, con un rendimento a scadenza del 4,578%, con ben € 26 MD di richieste, a conferma del buon “appeal” del nostro debito in questo momento.
Bund a 2,47%.
Treasury Usa a 3,88%, 10 bp oltre il livello di ieri.
In rafforzamento il $ (€/$ a 1,0638), sulle prospettive di un rialzo dei tassi Usa dello 0,5%.
Ritraccia il bitcoin, a $ 23,750, anche se questa mattina da segni di recupero.
Ps: la settimana scorsa abbiamo celebrato LeBron James, il campione NBA che ha stabilito il nuovo record di punti segnati (38.390) superando la “leggenda” Kareem Abdul-Jabbar. Oggi è il turno di un’altra leggenda del basket americano (e quindi mondiale). Compie 60 anni Michael Jordan, forse il più grande di sempre: 6 titoli NBA, 2 ori Olimpici (Los Angeles, 1984, Barcellona, 1992), 5 volte MVP (Most Valuable Player, miglior giocatore “regular season” NBA), 14 volte All Star, unico giocatore della storia ad essere votato, nella stessa stagione, miglior difensore e miglior giocatore in assoluto, uno dei pochi ad aver vinto 3 campionati consecutivi, 1.099 partite con almeno 20 punti. La sua maglia n. 23 indossata nell’ultima partita NBA nel 1998 è stata venduta per $ 10,1 ML. Grazie al suo marchio “Air” pare che Nike incassi circa $ 5MD all’anno: i diritti di “Mike” Jordan pare siano tra il 5 e il 10% a paio. I conti sono presto fatti: circa $ 250 ML all’anno. Quindi non è il n. 23, ma il n. 1.