Parliamo ancora di Cina.
Nella giornata di ieri pare che circa ¾ della popolazione di Pechino, un’area urbana che conta ben 22ML di abitanti, abbiano effettuato il tampone imposto dalle autorità locali alla luce della nuova ondata del Covid. Da italiani (e europei) guardiamo con un certo stupore quello che avviene nella potenza asiatica: per il nostro stile di via (e per le nostre capacità organizzative) sembrano numeri impossibili da ottenere. Indubbiamente la “moral suasion” che il Governo Centrale e le Amministrazioni locali riescono a mettere in capo sono ben diverse dagli “inviti” a cui noi veniamo sottoposti (basta pensare “all’obbligatorietà” dei vaccini a suo tempo decisa dal Governo). E non è tanto il “senso dello Stato” o “l’appartenenza” ad una comunità a fare la differenza quanto, piuttosto, la paura della “punizione”, un aspetto che permette il forte controllo da parte dell’apparato statale, che mette in secondo piano le libertà individuali.
Di certo, che a Pechino (ricordiamolo ancora una volta, agglomerato urbano da 22ML di persone) i positivi siano risultati solo 22 lascia interdetti. A maggior ragione se pensiamo ai lockdown imposti in molte altre città: un rigore sproporzionato rispetto ai numeri che vengono comunicati. Da qui il dubbio (se non qualcosa di più) che le informazioni che arrivano dal “dragone” non siano poi così veritiere e trasparenti. A maggior ragione se si pensa alle ricadute (argomento più volte trattato) non solo sull’economia del Paese, ma a livello globale. Le previsioni del Governo parlano di una crescita, per l’anno in corso, del 5,5%, anche se il FMI ha già tagliato le stime al 4,4%. Il 1° trimestre si è chiuso con un + 4,8%, il che potrebbe permettere di raggiungere l’obiettivo governativo, anche se va detto che era stato toccato solo marginalmente dai nuovi lockdown (oltre che dalla guerra ucraina: peraltro, per il momento, la Cina forse è tra le aree del mondo che meno risente del conflitto e delle sue ricadute economiche). Peraltro, tutte le grandi aree urbane colpite dai decreti governativi “Covid zero” (Shanghai, Guandong, Henan e altre) hanno avuto una crescita ben inferiore rispetto alla media del Paese. E così non potrebbe non essere: basti pensare che da Shanghai, maggior “hub” portuale al mondo, passa oltre il 14% dell’intero import cinese. Oggi, perché un container possa essere scaricato, devono passare mediamente 12 giorni dall’arrivo della nave in rada. Per non parlare del loro “caricamento”. Si possono ben immaginare le conseguenze, dal semplice “costo” operativo che deve sopportare l’armatore, ai tempi di consegna delle merci, al prezzo del “nolo” del container (già ce ne sono pochi rispetto a quelli che sarebbero necessari, se poi i tempi di “carico/scarico” diventano biblici diventano ancora meno), per non parlare di quello delle merci trasportate.
Un contesto internazionale non dei migliori quindi.
Non a caso ieri il mercato statunitense ha conosciuto una delle giornate più difficili da inizio anno, con il Nasdaq arretrato di quasi il 4%. Come sempre, le cause sono più d’una, anche se, almeno in apparenza, quella scatenante può essere apparso il crollo di Tesla, precipitata di oltre l’11% sulle notizie relative all’OPA su Twitter lanciata da Elon Musk, che prevede, tra l’altro, finanziamenti da un pool di Banche a fronte del pegno titoli Tesla per un controvalore di circa $ 10MD. Ma non certo l’unica: per esempio, sempre ieri è stato reso noto il dato sull’aumento dei prezzi medi delle case nelle principali città americane. Aumenti nell’ordine del 20% una percentuale quasi fuori controllo, che potrebbe far intravedere una nuova bolla immobiliare. Per non parlare delle attese sui numeri dei big della tecnologia, le cui prospettive appaiono meno rosee rispetto a qualche mese fa.
La giornata si apre con l’indice di Shanghai che, dopo giornate piuttosto negative, cerca la “riscossa”, apprestandosi a chiudere le contrattazioni in rialzo di oltre il 2%. Positiva anche Hong Kong, seppur con un modesto + 0,21%. Tokyo, invece, come al solito, “subisce” la “vicinanza”, in termini di impostazione dell’indice ed economica al mercato USA, arretrando di circa 1 punto percentuale.
Futures ben intonati nei primi scambi sulle piazze occidentali (meglio quelli oltre Oceano, anche in considerazione della maggior caduta di ieri).
Petrolio (WTI) sempre oltre i $ 100 (102,19, + 0,39%).
Gas naturale che si riaffaccia oltre i $ 7 (7,062%, + 1%).
Oro sempre senza brio, comunque sopra i $ 1.900 (1.901).
Spread a 174 bp, con il BTP che “non molla” area 2,6%.
In recupero il treasury, con il rendimento che si allontana ancora un po’ dal 3% (2,76% il livello di questa mattina).
Sempre più forte il $, e non solo per la sua funzione di “bene rifugio”: questa mattina tocca 1,0621 verso €, rapporto che non vedeva da 5 anni a questa parte.
Bitcoin che cade di un altro 5%, arrivando a toccare $ 38.500.
Ps: fino a qualche mese fa la priorità di tutti i Paesi era la “transizione ecologica” (ben ricordiamo la Conferenza di Glasgow e i drammatici numeri causati dal “riscaldamento” terrestre). Oggi, nonostante non ci sia un discorso di Capi di Stato e di Governo in cui non venga ricordata, sembra messa “in naftalina”. Un dato su tutti ci può far capire la fase che stiamo attraversando: la Cina (ancora lei…), uno dei maggiori produttori e consumatori di carbone, ha deciso di aumentare l’estrazione del fossile. Quest’anno dovrebbe raggiungere oltre 300ML di tonnellate (l’anno scorso si era fermata a 220ML). Difficile che l’obiettivo della “neutralità” carbonica venga raggiunto entro il 2060. Futuro sempre più difficile per i nostri figli…