E quindi, come ampiamente previsto, l’inflazione USA a dicembre ha raggiunto il 7%, in ulteriore rialzo rispetto al 6,8% di novembre, il livello più alto dal 1982, nel pieno dell’”edonismo reaganiano”.
C’è però una differenza (e non da poco) rispetto a 40 anni fa: oggi, dopo anni di politiche espansive, infatti, li troviamo (si fa riferimento ovviamente agli USA) a zero. A quanto erano nel 1982? All’11,5%…un livello assolutamente impensabile nel 2022. Con un’inflazione al 7% e i tassi all’11,5%, facendo un conto approssimativo, il rendimento “reale” dei titoli obbligazionari era ben superiore al 5%. Una differenza abissale con la situazione attuale: oggi il treasury offre un rendimento dell’1,72% (dato aggiornato alle quotazioni di ieri). Se “cristallizzassimo” i rendimenti, avremmo un tasso reale negativo superiore al – 5%. Banalmente questo è già uno dei motivi per cui, anche nella giornata di ieri, abbiamo visto il mercato USA crescere, anche se in modo più contenuto rispetto alle 2 giornate precedenti.
Ma, evidentemente, non l’unico.
Si sa come i mercati vivano di aspettative. E le aspettative, per quanto riguarda l’inflazione, è che siamo oramai al picco e che già dai prossimi mesi dovremmo assistere ad un suo ridimensionamento. Una visione che arriva da punti di osservazioni diversi. Il Presidente Biden, parte evidentemente piuttosto interessata, proprio nella giornata di ieri ha dichiarato che i prezzi dell’energia, la principale causa del lievitare, e degli alimentari sono in diminuzione. La FED continua a ritenere il limite del 2% “derimente” per la definizione della politica monetaria, anche se la FED di New York stima che l’inflazione, per i prossimi 3 anni, dovrebbe attestarsi intorno al 4%, mentre le imprese sono leggermente più ottimiste, posizionandosi al 3,7%.
Rimane, ancora una volta, l’incertezza sull’evoluzione del virus. Fermo restando che è opinione diffusa, anche negli USA, che la variante Omicron potrebbe essere la “coda” della pandemia, le ultime dichiarazioni di Powell hanno rassicurato gli operatori, confermando che la FED utilizzerà tutti gli strumenti a sua disposizione per fermare il rialzo dei prezzi, arrivando, se necessario, a ridurre il bilancio della Banca Centrale (e quindi immettendo sul mercato una parte dell’enorme “riserva” – circa $ 8.800 MD – di bond, prevalentemente governativi, accumulati in questi anni). Manovra, questa, che avrebbe il sapore di “ultima ratio” e che, in quanto tale, un certo spavento ai mercati potrebbe portarlo. E’ probabile che oggi ne sapremo qualcosa di più: infatti, dopo quello di Powell, oggi si presenterà al Senato USA Laer Brainard, designata da Biden alla vice presidenza della FED, nota per essere una “colomba” e quindi su posizioni leggermente diverse rispetto a quelle del Presidente in carica.
Dopo la trionfale giornata di ieri, oggi mercati asiatici in assestamento. Il Nikkei è vicino al – 1%, Shanghai sta per chiudere a circa – 1,2%, mentre l’Hang Seng di Hong Kong limita le perdite allo 0,21%, confermandosi nuovamente l’indice migliore negli ultimi giorni. Giornata difficile per il settore immobiliare cinese, con tutte le società in evidente arretramento (Evergrande – 3,5%, Shimao – 7%, Sunac addirittura – 15% dopo la notizia di un aumento di capitale di $ 4,5MD).
Futures in leggero calo (comunque entro il – 0,30%) su tutte le piazze.
Massimi degli ultimi 2 mesi per il petrolio, con il WTI che ieri è arrivato a superare di slancio i $ 82: questa mattina lo troviamo a $ 82,29, in calo dello 0,5%.
Gas naturale a $ 4,715, anche questo in calo questa mattina, dopo lo “strappo” che ieri lo ha portato a ridosso dei $ 5. Al contrario,. Quello europeo (Natural Gas Dutch) ieri ha subito un calo di oltre il 16%, a € 73,95.
Oro a $ 1.826 per oncia.
Spread sempre in area 140 bp (138), con il rendimento del BTP vicino all’1,40%.
Brusco ripiegamento del $, con €/$ a 1,1452.
Torna l’interesse verso il bitcoin, con i prezzi che questa mattina salgono a $ 43.677, + 2,30%.
Ps: è in pieno svolgimento la Coppa d’Africa di calcio. Anche lì tempi duri per gli arbitri (e il VAR). Ma quanto è successo ieri credo rimarrà nella storia di questo sport (e di quella manifestazione). Si gioca Tunisia-Mali, con il Mali in vantaggio per 1-0. Dopo un susseguirsi di rigori, ammonizioni (4), rigori (2), sostituzioni (9), l’arbitro, Janny Sikazwe (non uno qualunque, avendo arbitrato 2 partite ai mondiali del 2018), fischia la fine della partita. Peccato che lo faccia al minuto 85…Accortosi dell’errore, la fa riprendere, salvo dichiarandola finita al minuto 89. Quindi non soltanto non recuperando nulla (fatto insolito, in considerazione anche di quanto accaduto), ma addirittura 1’ prima. Ovviamente viene “inseguito” dai dirigenti della Tunisia al punto da essere costretto ad uscire scortato dal campo. Ma non è finita. Dopo oltre mezz’ora, fa riprendere la partita, per altri 3’. Però con una sola squadra in campo: il Mali. La Tunisia, infatti, non si è presentata, annunciando di voler fare ricorso. Ma il calcio non era una cosa seria…?