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Direttore: Alessandro Plateroti

L’anno che verrà

stagflazione

Tra poche il Governo presenterà la nuova Legge di Bilancio, che sarà il basamento su cui si reggerà il Documento di Economia e Finanza (Def), di solito previsto verso la metà di aprile.

Pur senza conoscerne le linee guida, possiamo prefigurare che sarà ben diverso da quello che tutti (Governo, Bankitalia, analisti) immaginavano sino a poche settimane fa, che avrebbe beneficiato della “tirata” del PIL nello scorso, con un + 6,3% da “nuovo miracolo italiano”.

Eventi che già si stavano manifestando con forza, altri imprevisti e straordinariamente drammatici portano a rivedere la tabella di marcia.

Innanzitutto l’inflazione, fattore che già aveva dato segnali di irripidimento e che, da inizio anno, ha assunto dimensioni eccezionali, che riportano la memoria agli anni 80/90. I dati di fine febbraio parlano, per il  nostro Paese, di un 5,7%, con una media per l’anno in corso che potrebbe attestarsi tra il 4 e il 5%. Va detto, peraltro, che anche un elemento che ha connotati tendenzialmente negativi, può avere un risvolto positivo per un Paese indebitato come il nostro (con un debito pubblico pari a € 2.700 MD circa): infatti, ogni punto percentuale di inflazione riduce il valore “reale” del debito di circa 27 MD (appunto l’1%).

Questo dato, però, non deve illudere nessuno: quello che alla fine gli investitori (quindi chi “ci presta i soldi” comprando il nostro debito) guardano è la sostenibilità del rapporto debito/PIL: e non è detto che l’inflazione faccia crescere il PIL con lo stesso ritmo con cui fa “decrescere” il debito “reale”. Senza contare il fatto che, come è evidente, lo scenario di guerra è destinato a far scendere le previsioni di crescita: se questo è vero per un Paese tutto sommato meno “impattato” dal conflitto come gli Stati Uniti (il cui PIL, come scritto ieri, crescere “soltanto” del 2,8% rispetto al 4% stimato in precedenza), a maggior ragione l’impatto sarò ancor più negativo in Europa e ancor di più nel nostro Paese: il Nadef redatto lo scorso autunno stimava, per il 2022, una crescita del 4,7%. Oggi siamo più vicini al 3% che al 4%: certo sempre una percentuale più che interessante, vista la media degli ultimi 20 anni (il reddito, nel nostro Paese, è ancora inferiore a quello di inizio millennio…), ma che allontana i target che il Governo si era posto, prima di tutto il calo, appunto, del rapporto debito/PIL.

Ma, come detto, bisogna considerare gli eventi straordinari decretati dalla guerra e a questa riconducibili.

Uno di questi è il dramma dei rifugiati. Si calcolo che, ad oggi, già 3ML di cittadini ucraini (quasi tutti donne e bambini, in quanto i maschi tra i 18 e i 60 anni non possono lasciare il Paese per la “chiamata alle armi”) abbiano varcato i confini, diretti verso l’Europa: e si ipotizza che il numero possano raggiungere i 5ML, pari a quasi il 15% della popolazione. Se si applicasse la “redistribuzione” prevista dalle norme UE, l’Italia (che rappresenta il 13,3% della popolazione europea), dovrebbe riceverne circa 650.000. Se ci si basa sull’esperienza della Germania, che negli anni scorsi ha accolto molti rifugiati turchi e siriani, il costo per ogni rifugiato è all’incirca di € 18.000: se così fosse, l’Italia potrebbe ritrovarsi a spendere circa € 12 MD, voce di spesa assolutamente non prevista a budget.

Altra conseguenza è il riarmo. Un paio di settimane fa il Governo tedesco ha deciso di stanziare, pe i prossimi anni, il 2% del PIL al potenziamento delle forze militari, e per quest’anno di spendere € 100MD per ammodernare l’esercito. Evento eccezionale per un Paese che, dalla fine della 2° Guerra mondiale, ha visto diminuire anno dopo anno gli investimenti militari. Ma, soprattutto, un evento che ha avviato il “contagio”, spingendo gli altri Paesi a mosse analoghe. E quindi anche il nostro Paese, come altri che rientrano nella NATO, stanzierà circa il 2% del PIL per la difesa.

E poi, attualissimo, il tema, se non dell’autosufficienza energetica (obiettivo ben difficile da realizzare), almeno dell’indipendenza dalla Russia sulle forniture. Un traguardo non semplice da realizzare, che passa attraverso nuovi accordi con molti Paesi (vd, per esempio, l’ampliamento delle forniture di gas algerino), ma, soprattutto, attraverso il potenziamento della produzione energetica da rinnovabili. Un programma che richiederà tempo e, soprattutto, grandissimi investimenti.

Insomma, se sta per finire l’emergenza pandemica, ne sta iniziando un’altra, non meno grave.

Con la differenza che è cambiato lo scenario di fondo, come dimostrano i cambiamenti in atto da parte delle Banche Centrali in termini di politiche monetarie.

Indici asiatici mediamente positivi nell’ultimo giorno della settimana: l’ennesima chiusura positiva di Wall Street, con lo S&P + 1,23%, Nasdaq + 1.16%, Dow Jones + 1,23%, favorisce il buon andamento del Nikkei (+ 0,65%), con la Banca Centrale giapponese che ha deciso di mantenere invariata la propria politica espansiva, Shanghai + 1.12%, mentre Hong Kong, dopo le 2 ultime giornate di rialzi forsennati, è in leggero calo (- 0,38%), lontanissima dal – 3% di questa notte.

Appena deboli i Futures, con cali intorno al – 0,3/0,4%.

Petrolio di nuovo sugli scudi, con il WTI che si riporta sopra i $ 100 ($ 104, + 1,13%).

Gas naturale a 4,819 (- 3,55%).

Megawattore a € 102 (+ 5,21%).

Oro sempre intorno ai $ 1.935.

Ripiega un pochino lo spread, a 151 bp; rendimento del BTP vicino all’1,90%.

Treasury a 2,15%.

Stabile €/$, a 1,108.

Bitcoin che si appresta a chiudere la settimana intorno ai $ 40.700.

Ps: e così Jeff Bezos si è preso anche la Metro Goldwin Mayer, la storica società produttrice cinematografica. Il valore dell’operazione è di $ 8,5MD, “spiccioli” per il proprietario di Amazon. E una “freccia” in più per Amazon Prime.

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ultimo aggiornamento: 18 Marzo 2022 8:55

Rialzo dei tassi e reazioni dei merdfadti