In economia la recessione è la condizione macroeconomica caratterizzata da livelli di attività produttiva più bassi di quelli che si potrebbero ottenere usando completamente ed in maniera efficiente tutti i fattori produttivi a disposizione, in contrapposizione quindi al concetto di crescita economica. Per stag-flazione, invece, si intende la contemporanea presenza di un aumento dei prezzi (alta inflazione) e di crescita economica in termini reali.
La preoccupazione di ritrovarci, appunto, in questa situazione è il principale motivo per cui ci siamo trovati, in queste settimane di fronte alle vendite impetuose che hanno colpito un po’ tutti gli asset, ad eccezione delle materie prime, favorite anche dallo scoppio della guerra: dai mercati azionari (da quelli “sviluppati” agli “emergenti” passando per la Cina) ai bond (dagli investment grade agli high yeld), dall’oro sino ai beni rifugio, tutti hanno pesantemente risentito dell’ondata di pessimismo che si è impossessata degli investitori.
Peraltro negli ultimi due giorni qualcosa sembra essere cambiato.
I sempre più decisi interventi delle Banche Centrali (a parte quella cinese e quella giapponese, rimaste ferme sulle loro posizioni, in tutto il mondo abbiamo assistito ad un formidabile “cambio di passo”) stanno convincendo molti osservatori che l’inflazione dovrebbe, a breve, far segnare i primi rallentamenti. In tal senso, un aiuto ce lo può dare la lettura delle aspettative per i prossimi 10 anni dell’inflazione USA: solo 15 giorni fa le trovavamo al 2,98%, ieri erano scese al 2,70%. Ancora maggiore il calo fatto segnare sui 5 anni (5y5y): al 25 marzo si era al 3,73%, ora siamo al 3%. E anche in Europa, dove, peraltro, l’azione sui tassi da parte della BCE deve ancora iniziare, se il 2 maggio le aspettative di inflazione (durata 10 anni) erano al 2,49%, ieri erano al 2,16%. Un dato che trova anche conferma nell’andamento dello spread, calato in 2 giorni da 204 bp ai 188 bp di ieri, a cui si accompagna anche quello del bund, passato dall’1% di lunedì allo 0,84% di ieri (con conseguente calo del rendimento del BTP dal 3,03% di inizio settimana al 2,72% di ieri).
La chiave di lettura, dunque, è che il rischio inflazione è visto come meno concreto rispetto soltanto ad una settimana fa, mentre si fa più grande quello sulla recessione. Recessione significa livelli produttivi in calo, con aziende che si ritroveranno con ricavi in calo, ma, soprattutto, con utili in calo, che, a loro volta, aprono la porta a dividendi in calo. Ecco, quindi, che il rendimento offerto dai bond (governativi, corporate) torna ad essere competitivo rispetto a quello offerto dai dividendi azionari, fattore quest’ultimo tra i principali “contributori” dei rialzi di borsa degli ultimi anni (a netta distanza, comunque, dall’eccezionale livello di liquidità in cui, negli ultimi anni, hanno navigato i mercati).
L’eccezionale volatilità in cui si sono trovati i mercati negli ultimi 2 giorni, con scostamenti di 100 se non 200 bp nell’arco di pochissimo tempo (ieri il Nasdaq perdeva, a meno di un’ora dalla chiusura, l’1,8%, per chiudere a – 0,18%, il giorno precedente è passato dal + 2% al – 3,06% della chiusura in neanche 2 ore) conferma l’altissimo nervosismo degli operatori, impegnati a capire dove “andrà il mondo” da qui a fine 2023.
Rimangono sul tavolo tante variabili, a rendere più incerto il futuro e quindi l’effettuazione delle scelte: oltre ai dati macroeconomici, l’evoluzione dei lockdown in Cina piuttosto che gli sviluppi della guerra in Ucraina, con le voci su un possibile “cessate il fuoco” in tempi non lontani (si vocifera di trattative segrete) sono fattori che non aiutano a prendere decisioni forti.
Il forte recupero, ieri sera, degli indici americani e l’ottimo andamento, questa mattina, dei futures hanno messo il vento in poppa ai mercati asiatici, che si avviano a chiudere la settimana (comunque negativa) in forte rialzo: il Nikkei rimbalza del 2,64%, Hong Kong del 2,30%, mentre Shanghai al momento fa segnare + 0,80%.
Come detto, futures con rialzi ben superiori allo 0,50% (Nasdaq + 1,20%).
Vix che si riporta verso un più “rasserenante” livello di 30 punti.
Petrolio che riprende la sua corsa, con il WTI a $ 107 (+ 0,93%).
Più calmo il gas naturale, a $ 7,68, – 0,94%.
Oro ai minimi di periodo ($ 1.822), “schiacciato” dalla forza del $, sempre più vicino alla parità vso € (€/$ a 1,0396).
Spread ancora in recupero: questa mattina è a 186 bp.
Segnali di forza anche dai treasury, con il rendimento intorno al 2.85/2,88%.
Dopo aver toccato i minimi dal dicembre 2020 ($ 26.000), cerca il rimbalzo il bitcoin, che questa mattina si riporta a $ 30.000.
Ps: a distanza di 2 anni e mezzo dalla sua apparizione “tra noi”, il Covid arriva in Corea del Nord (Paese confinante con la Cina, da cui tutto è partito). A parte qualche atollo sperduto del Pacifico, tutti il mondo ha conosciuto il dramma della pandemia. Tranne, almeno fino a ieri, la Corea del Nord. Ma anche Kim Jong-un ora deve “sottomettersi” alla mascherina: e con lui tutto il Paese, da ieri in lockdown totale. Lockdown che, però, non ferma il lancio di missili verso il Mar del Giappone. Ma chi avrà ragione sulla velocità di trasmissione del virus: gli epidemiologici, che in questi due anni e mezzo ci hanno messo in guardia sulla velocità di trasmissione, o il regime coreano, secondo cui solo oggi il virus arriva sul territorio coreano, distante pochi km dall’epicentro cinese….? Mah, risposta difficile…..