Oggi, a Istanbul, avrebbe dovuto tenersi la seconda giornata dei colloqui tra le delegazioni di Ucraina e Russia. Il fatto che, invece, sia stata annullata fa pensare che ci siano progressi concreti sulla strada di un accordo.
Sostanzialmente i temi sul tavolo sono 4:
- Status di neutralità dell’Ucraina (un po’ come sul modello della Finlandia, che, pur non rientrando nella NATO, gode di un sistema difensivo assicurato da molti Paesi appartenenti all’Alleanza Atlantica, che garantirebbero un intervento a fronte di un attacco militare, o, come invece vorrebbe la Russia, dell’Austria, la cui neutralità è sancita dalla Costituzione);
- Status del Donbass e della Crimea, con l’Ucraina che ha chiesto per le province contese un gestione a parte e, per la penisola sul Mar Nero, un arco temporale di 15 anni per definire la questione;
- La possibilità, per l’Ucraina, di entrare a far parte della UE, senza che la Russia contrasti questa eventualità;
- Il cessate il fuoco immediato o, per lo meno, in tempi brevi: qualche segnale, in tal senso, è arrivato nella giornata di ieri, con la “morsa” su Kiev, da parte dell’esercito russo, che sembrerebbe allentarsi (in questa direzione vanno le parole di Aleksandr Fomin, Vice Primo Ministro russo della Difesa, che ha dichiarato che si stanno creando i presupposti per un accordo; peraltro, va detto che i bombardamenti sono continuati in diverse città, come testimonia la distruzione del Palazzo del Governo a Mikolayv).
In questo contesto, il “come” Putin potrà uscire dal “vicolo cieco” in cui si è infilato potrebbe essere ancora più importante: il 9 maggio, giorno in cui si celebra la vittoria sul nazismo nella Seconda Guerra Mondiale (che loro chiamano Grande Guerra Patriottica), si svolgerà la tradizionale parata militare sulla Piazza Rossa e il Presidente russo probabilmente, in quella sede, vorrà presentarsi con qualche risultato, che, per forza di cose, dovrà apparire come una vittoria. Difficile che potrà fare dichiarazioni eclatanti, tipiche dei regimi autoritari; di certo, però, l’occidente dovrà mettere in conto una sorta di “onore delle armi” per leader russo. In altre parole, la parola sconfitta non è prevista nel suo vocabolario.
I mercati, come sempre premonitori, stanno fiutando uno scenario se non di pace, almeno di armistizio, almeno nel breve, passaggio fondamentale per un accordo più ampio e duraturo.
Con i rialzi di ieri, ormai tutti i listini hanno recuperato le quotazioni del 23 febbraio, il giorno precedente lo scoppio del conflitto: solo il nostro indice MIB, nonostante il + 2,41% di ieri, rimane in territorio negativo, con un 2,49% da recuperare. Un discorso a parte lo merita Hong Kong, il cui gap rimane ancora di oltre il 7%. Lì le cause vanno ricercate, infatti, oltre che in alcune difficili situazioni societarie (il caso Evergrande, per esempio, che coinvolge però un po’ tutto il settore immobiliare, non è ancora risolto), ma anche nella recrudescenza della pandemia: non dimentichiamo che la piazza finanziaria più importante dell’area è a pochi km da Shenzen, distretto economico e tecnologico molto importante per il gigante orientale, colpita ancora recentemente dal lockdown. Come pure Shanghai, altra metropoli che proprio in questi giornata vede circa metà della popolazione costretta a rimanere chiusa in casa. Per far capire quanto possano pesare le chiusure non solo sulla Cina ma anche sull’economia globale, credo che un dato possa dire molto di più di tante parole: si calcola che il lockdown della più popolosa area cinese faccia diminuire la domanda di petrolio a livello globale di oltre il 4%.
Come detto poco sopra, ieri giornata molto positiva per gli indici mondiali. Quarta seduta consecutiva in positivo per il mercato USA, con il Nasdaq a + 1,68%, il Dow Jones a + 0,97% e lo S&P a + 1,23%. La mattinata asiatica prosegue sulla stessa falsariga: solo il Nikkei chiude in negativo (– 0,80%), a causa anche del rafforzamento dello yen, fatto che penalizza le esportazioni, mentre Shanghai si appresta a chiudere a + 1,80%. Ancora meglio Hong Kong, che tocca il + 2%.
Prendono fiato i futures, appena sotto la pari in Europa ma vicino a quella soglia negli USA.
Torna a salire il petrolio, con il WTI che si “riappropria” dei $ 105 (a 106,20, + 1.9%).
Gas naturale a $ 5,331, – 0,15%.
“Respira” l’oro, a $ 1.929 (+ 0,53%).
Spread a 147 bp, con il BTP che scende dai massimi di periodo del 2,10%, riapprocciando il 2,05%.
Netto calo per il treasury, che dal 2,50% scende al 2,34%; per un momento, nella giornata di ieri, abbiamo visto il rendimento dei titoli a 2 anni superare quello a 10 anni, dando ulteriore corpo all’ipotesi di una recessione. Stamattina il “ritorno alla normalità”, con il decennale che torna a “pagare” più del titolo a 2 anni (seppur di appena 3 bp) sembra allontanare un pochino questo scenario.
€/$ sempre a 1,107.
Bitcoin che arresta la sua corsa, consolidando quota $ 47.000.
Grazie come sempre per l’attenzione.
Ps: forse pochi sanno che Odessa è stata fondata, circa 230 anni fa, da un napoletano, Josè de Ribas (un nome certamente poco partenopeo: infatti era un nobile spagnolo nato nella città partenopea, al servizio dell’Ammiraglio Potmkin, principe e amante della zarina, che voleva espandere verso occidente l’impero russo). In realtà, inizialmente la città si chiamava Odesso, ribattezzata Odessa in onore della zarina Caterina II di Russia. Nel 1850 la città contava circa 300.000 abitanti (oggi sono quasi 1 ML), quasi tutti italiani di origine meridionale, al punto che l’italiano era la lingua ufficiale. La cosa ancora più straordinaria è che la canzone napoletana (e forse italiana) per definizione, O’ sole mio, venne compostada Giovanni Capuano ed Edoardo De Filippo proprio in quella città, traendo ispirazione non dal golfo di Napoli ma dal panorama che offre la città russa sul Mar Nero.