Direttore: Alessandro Plateroti

Le guerre, il più delle volte, hanno motivazioni, oltre che, politiche, di natura religiosa ed economica.

Questa è il classico esempio di conflitto politico, appartenendo il popolo ucraino e quello russo alla stessa religione e, ancor di più, essendo l’Ucraina forse la nazione più povera d’Europa (prima ancora dell’invasione russa, ovviamente).

Come al solito, i numeri ci possono essere di aiuto.

Al 2021, il PIL dell’Ucraina valeva € 150,8 MD (tanto per fare un esempio, la sola Lombardia ne vale circa € 400 MD), pari ad un PIL procapite di € 4,190 ml. La disoccupazione era all’8,8%, con un peso del debito pubblico pari al 57,8%. Le esportazioni valevano, a livello di commercio mondiale, un misero 0,3%, nonostante il Paese sia uno dei maggiori produttori (ed esportatori) al mondo di cereali.

Sconvolgente una prima analisi (seppur di parte) sul prezzo pagato dal Paese dopo poco più di 1 mese di conflitto (ovviamente il dato fa riferimento esclusivamente ai costi economici e non tiene conto della tragedia delle vittime civili e dei profughi: ormai si calcola che si siano “dispersi” in Europa più di 4ML di cittadini ucraini, e i numero, ovviamente, è destinato a crescere). Secondo Yiulia Svyrydenko, la ministra dell’Economia, fino ad oggi la guerra è costata € 564,9 MD, danneggiando oltre 8.000 km di strade e distruggendo più di 10 ML di abitazioni. E’ probabile che, di questo passo, parlare di € 1.000 MD di danni non sia così remoto. Una cifra impressionante per qualunque Paese: figuriamoci per uno Stato che già prima della guerra non godeva certo di “buona salute.

Viene naturale domandarsi come farà a risollevarsi da una situazione così catastrofica un Paese che produce ricchezza per appena € 150 MD l’anno senza l’aiuto degli altri Paesi. Domanda che ne fa nascere immediatamente un’altra: com’è pensabile che l’Ucraina non cercherà, una volta finito il conflitto, un’alleanza sempre più stretta con l’occidente. E da lì, ovviamente, altre conseguenze ancora…

Ma rimaniamo al “qui e ora”. Un “qui e ora” che vede incontrarsi, oggi, in Turchia, di nuovo le delegazioni dei 2 Paesi, alla ricerca di uno spiraglio per una soluzione diplomatica: a tal proposito, si fanno sempre più strada le voci che parlano di neutralità per l’Ucraina.

Nel frattempo Putin continua a “reclamare” per le forniture energetiche il pagamento in rubli, ipotesi quasi impossibile da realizzarsi, se non altro per motivazioni giuridiche (tutti i contratti non prevedono pagamenti in valuta diversa da € e $). Senza contare che mai i Paesi occidentali si piegherebbero al diktat del Presidente russo. Peraltro, la richiesta di Putin assomiglia sempre più ad un bluff, ben sapendo che il suo Paese non può rinunciare al flusso di denaro (tra i $ 7/800 ML) che giornalmente riceve dall’Occidente e che costituiscono ancor di più oggi una “tesoretto” indispensabile per un’economia che perde i pezzi un giorno dopo l’altro. L’alternativa sarebbe la vendita “sottocosto” ad altri Paesi (vd l’India) fermo restando difficoltà logistiche forse insormontabili, almeno nel breve.

Difficoltà simili, peraltro, a quelle che incontrano i Paesi UE (Germania e Italia in testa), sul tema del gas liquido: l’assolutamente insufficiente numero di gassificatori (noi ne abbiamo 3)non consente di “sostituire” il gas russo, almeno fino al 2023/2024. L’ampliamento delle forniture USA promesse da Biden la settimana scorsa (15md di m3 per il 2022) deve infatti fare i conti con i pochi impianti a disposizione (il cui ampliamento, inoltre, prevede ulteriori investimenti).

E, sempre in tema di “qui e ora”, come prevedibile, la strada comincia a farsi più stretta. La prospettiva, per il nostro Paese, di un Pil che crescerà meno del previsto, probabilmente farà salire il rapporto deficit/PIL al 5,9/6% dal precedente 5,6%: in altre parole, il Governo quasi certamente dovrà ricorrere a “nuovo debito” per sostenere la crescita (e limitare i danni). Da notare che negli ultimi 2 anni il nuovo debito necessario per superare lo shock pandemico è stato pari ad oltre € 180 MD…

I mercati asiatici si apprestano a chiudere la giornata in territorio positivo, al traino dei listini USA (Nasdaq + 1,31%, Dow Jones + 0,27%, S&P 500 + 0,71%). Dai minimi toccati ai primi di marzo, nei primi giorni del conflitto, il recupero comincia ad essere significativo: lo S&P è risalito dell’8,5%, Milano ha fatto segnare + 11,5%, Francoforte + 12,4%, Parigi + 10,5%.

Tornando al Far East, il Nikkei chiude a + 1,10%, Hong Kong al momento viaggia a + 0,62%. Shanghai, invece, viaggia in territorio negativo: il nuovo lockdown imposto dalle autorità dopo il manifestarsi di 3.000 nuovi casi (di cui, però, solo 100 sintomatici…), il più grande da 2 anni a questa parte, con oltre 11 ML di persone costrette all’isolamento, non poteva non avere conseguenze tra gli operatori.

Futures ancora una volta positivi ovunque, mentre il VIX scende sotto i 23 punti, ben lontano dalla soglia “critica” di 30.

Petrolio ancora in ritirata, con il WTI a $ 105 (- 0,83%).

Gas naturale a $ 5,492, – 1,07%. Il megawattora ieri ha chiuso a € 103,00, + 1,98%.

Oro in ritracciamento anche questa mattina, a $ 1.924 (- 0,91%).

Spread a 150,6 bp: rendimento del BTP ormai vicino al 2,10%, con il Bund a 0,58%.

Treasury a 2,47%, dopo che ieri aveva superato il 2,55%.

€/$ stabile a 1.1009.

Bitcoin ancora in grande forma: questa mattina tratta a $ 47.534, + 1,38%.

Ps: si fa presto a parlare di pace…intanto i bilanci per la difesa sono ovunque in aumento, con tutti i Paesi che, per il 2022, spenderanno almeno il 2% in armamenti. Ma Biden, più di altri, non baderà a spese: su un totale di spesa statale di ben $ 5.800 MD, oltre 813 saranno previsti per la difesa, di cui oltre 773 per il Pentagono: il suo predecessore, il “guerrafondaio” Trump, era arrivato, nel 2020, a $ 752,9 MD. Ma erano altri tempi.

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ultimo aggiornamento: 29-03-2022


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