Un recente sondaggio condotto negli Stati Uniti tra oltre 260 gestori di fondi rivela che mai, da 2 anni a questa parte, con riferimento alla situazione economica globale, è stato così altro l’ottimismo. Solo il 7%, infatti, si dice convinto che si vada verso un “atterraggio” pesante, contro il 17% di gennaio e il 30% di ottobre, con ben il 78% che, invece, vede “rosa” o, per lo meno, non vede recessione. Il livello più alto da inizio 2022, quando, come ben ricordiamo, il mondo era sotto pressione per via dello “sciame” inflazionistico.
Una maggioranza “bulgara”, che, ovviamente, si traduce in scelte di portafoglio più orientate al “risk-on”, vale a dire all’assunzione di posizioni più “aggressive”, accompagnate da un livello di liquidità sempre più basso: nell’ultimo mese siamo scesi a circa il 4,2% del portafoglio, quando solo 1 mese fa si era al 4,5%, mentre all’inizio del rimbalzo (ottobre 2023) si era al 6%. Una discesa probabilmente destinata ad arrestarsi, essendo oramaivicini al 4%, una soglia considerata una sorte di “spartiacque”: al raggiungimento di quel livello, la “narrazione” ci dice che potrebbero scattare le vendite, provocando un’inversione di rotta dei mercati.
A dire il vero, negli ultimi 15 giorni si è notato un certo nervosismo, con giornate piuttosto volatili, con andamenti piuttosto altalenati anche in una stessa giornata.
E’ probabile, per non dire quasi certo, che se ci fosse la possibilità di un sondaggio in “presa diretta” le opinioni oggi sarebbero un po’ diverse.
Le vicende geo-politiche ogni giorno “rubano spazio” alla pura (altrettanto importante, anche se emotivamente meno “invasiva”) situazione economica, per quanto la strada si sia fatta più tortuosa e il cielo più grigio, con il rischio pioggia tornato di attualità: e l’esperienza ci insegna che l’asfalto viscido rende più lenta e difficile la circolazione, soprattutto laddove il percorso è contraddistinto da curve e saliscendi. Al di là delle parafrasi, è quello che in questi giorni si sta verificando: il ritorno dell’inflazione, soprattutto quella americana, in ripresa da inizio anno, comincia a togliere qualche certezza. Nulla di così preoccupante, a dire il vero: ma dopo settimane, se non mesi, in cui tutti facevano a gara sul numero dei tagli da parte delle Banche Centrali, oggi la cautela sembraessere l’atteggiamento preferito.
Ecco, quindi, che il mercato obbligazionario, che, a detta di tutti, era destinato ad uno degli anni più positivi che si ricordino (con il “consensus” più alto da oltre 20 anni a questa parte), ha, come ovvio, prontamente reagito alle mutate prospettive (la “velocità” delle presunte decisioni da parte degli organismi monetari ha lasciato il posto alla “lentezza”). Ecco, quindi, che gli spread si sono nuovamente allargati. L’esempio più evidente è quello dei treasury USA: se a ottobre il loro rendimento era arrivato a toccare il 5% e a fine anno era precipitato al 3,79%, oggi è tornato oltre il 4,6%, quindi perdendo circa 2/3 di quanto era riuscito a recuperare. Ma anche in Europa le cose sono un po’ cambiate, con il bund, a ottobre vicinissimo al 3%, poi sceso, a fine anno, sotto il 2%, oggi di nuovo vicino al 2,50%: un cambiamento dettato più dall’effetto “condizionamento” (la FED, tra le banche centrali, è un po’ “il faro”, un po’ come l’economia USA rispetto al resto del mondo) che non dalle condizioni in cui ci troviamo da questa parte dell’Oceano (crescita ben più debole di quella USA, inflazione più “controllata”, consumi meno brillanti, tant’è vero che è molto probabile, se non certo, che la BCE a giugno farà la prima mossa). Il risultato è che, da inizio anno, il “ritorno” sull’investimento del comparto obbligazionario risulta negativo per circa 4 punti percentuali, la perdita più pesante della storia, superata solo da quella del 1865 (preistoria) e del 2020 (un anno di certo “non normale” per il mondo intero).
Anche il mercato azionario ha iniziato a lanciare qualche segnale di nervosismo, con una volatilità “intraday” piuttosto marcata, sintomo che molti investitori cominciano ad avere dubbi sulle posizioni da assumere, combattuti tra le prospettive di un ‘economia ancora in grado di crescere, con il rigore monetario che continua a “delimitare” il campo, e rischi geo-politici che si fanno ogni giorno più concreti e reali.
Al momento, quindi, non è cambiato il “sentiment” di fondo: che i tassi siano destinati a scendere ne sono convinti tutti. Quello che ha subito una modifica è il “timing” in cui i tagli avverranno, nonché la “velocità” con cui torneranno verso i livelli attesi (2/2,50%). Considerazioni che non possono lasciare indifferenti i mercati, per i quali il “timing” in cui fare delle scelte è un fattore derimente.
Insomma ok mantenere una view positiva, ma attenzione a non farsi trascinare dall’entusiasmo.
Nella notte è scattata la ritorsione israeliano contro l’Iran, con un attacco missilistico contro installazioni militari nella città di Isfahan. Al momento sembrerebbe un attacco isolato, al punto che lo spazio aereo iraniano, inizialmente chiuso, è stato già riaperto. Non ci sarebbero vittime o danni particolari a civili.
Naturale che i mercati siano corsi (o stiano correndo) ai ripari, senza però reazioni incontrollate: le vendite stanno avendo la meglio su quelli del Pacifico, i rendimenti obbligazionari sono tornati a crescere e i futures fanno intravedere una giornata nervosa per le piazze occidentali.
Il Nikkei di Tokyo è quello che paga il prezzo più salato, con un ribasso che, in questi minuti, è del 2,66% (ma nella primissima mattina era superiore al 3,20%).
A Hong Kong l’Hang Seng segna – 0,91%, mentre in Cina Shanghai arretra dello 0,33%.
Futures negativi in Europa e a Wall Street, ma senza particolari “disastri” (– 0,50%/- 0,80% il range).
Petrolio in salita, con il WTI a $ 83,24 (+ 1,27%).
Assolutamente calmo l’oro, che non si muove dai $ 2.397, indice di una situazione ritenuta, evidentemente, “gestibile”.
Gas naturale Usa $ 1,766, + 0,28%.
Spread a 139 bp, con il BTP a 3,91%.
Bund a 2,49%.
Treasury a 4,55% (chiusura di ieri sera).
Avvio di giornata di “quiete” per il $, con €/$ a 1,0643, indice anche questo di una situazione ritenuta per il momento molto tranquilla.
Bitcoin a $ 63.983, in recupero sui prezzi di ieri.
Ps: almeno gli atenei milanesi sono la conferma che “le quote rosa” non sono solo un modo di dire. Marina Brambilla è stata nominata rettrice della Statale, dopo la Bicocca e il Politecnico. Un altro buon motivo di orgoglio per una città che, come dimostra il “tutto esaurito” di questa settimana, è sempre più il “motore” dell’Italia.