Continua il braccio di ferro del nostro Governo (as usual, verrebbe da dire) con l’Europa. Il “centro di gravità” su cui si concentra il negoziato è il Patto di stabilità. Stabilito, come noto, che dal 1 gennaio 2024 tornerà ad essere attuato, rimangono da definirne le nuove regole: tutti concordano che vanno aggiornate, dopo i vari shock che si sono susseguiti in questi anni, ma molti vorrebbero adeguarle alle proprie necessità piuttosto che a quelle dell’Istituzione di cui fanno parte. Insomma, a prevalere è, ancora una volta, “l’interesse particolare” più che quello generale.
Nella riunione del Consiglio Ecofin di ieri, peraltro, sembrano sia stati fatti importanti passi avanti. Vero che la proposta spagnola è stata “richiusa in un cassetto”, però è tornato ad avanzare l’asse franco-tedesco, il cui peso specifico, all’interno della UE (e quindi dell’Ecofin) ha la capacità di spostare gli equilibri. Anche per questo, quindi, il vertice si è concluso in un clima di ottimismo, tanto da far dire a Nadia Calvino, Ministro dell’economia della Spagna, che “nel cammino di Santiago comincia ad intravedersi la Cattedrale”. Non si sa ancora se i Ministri dell’Economia dei 27 Paesi membri torneranno a riunirsi già il prossimo 23 novembre, ma di certo nel prossimo incontro, già fissato per l’8 dicembre, si partirà da una bozza per la quale sono già stati condivisi, da alcuni Paesi, alcuni punti, per esempio che, fermo restando la soglia del 3% del rapporto deficit/PIL (che potrebbe, a fronte di alcune situazioni, scendere al 2%), quei Paesi che si trovano ad avere un rapporto debito/PIL superiore al 60% avranno a disposizione tra gli 8 e gli 11 anni per portarlo a regime, che però scatterà solo dopo il periodo necessario all’aggiustamento del deficit, un periodo che potrebbe durare tra i 4 e i 7 anni. Un’ipotesi che per il momento non accontenta l’Italia che, attraverso il Ministro Giorgetti ha nuovamente contestato l’idea. Il nuovo accordo, infatti, prevederebbe che quando uno Stato avrà portato il suo debito su una “traiettoria discendente” dovrà garantire un margine di sicurezza comune sotto la soglia del 3%. Un “vincolo” su cui il nostro Governo non è d’accordo, ritenendolo una sorta di “clausola vessatoria”. Gli “sherpa” dei vari Ministeri economici stanno quindi cercando una soluzione che metta tutti d’accordo, da una parte tenendo conto delle richieste di chi vuole, comunque, che il “rigore” non venga cancellato dal vocabolario europeo e chi, invece, vuole regole più blande. Una soluzione potrebbe essere quella di “scorporare” gli investimenti effettuati per la realizzazione del PNRR dal calcolo delle spese, andando, quindi, a diminuire il “numeratore”.
Certamente, guardando a quello che dovrebbe essere il documento finale, la parola semplificazione trova poco spazio, con un insieme di norme e procedure che renderanno il patto di stabilità difficilmente comprensibile e leggibile da parte dei cittadini, non contribuendo di certo a fare sentire l’Europa la “casa comune”. Senza contare che si avvicina il momento in cui dovremmo dire definitivamente la nostra sul MES, per il quale è facile prevedere uno scontro ancora più duro.
Ma il mondo non è fatto solo di Europa.
Per quanto possa sembrare che, almeno da un punto di vista monetario, il peggio sia alle spalle, con l’inflazione ovunque in diminuzione e i tassi che sembrano “arrivati”, emergono segnali di rallentamento economico in alcuni casi preoccupanti. Per esempio, in Cina si sta assistendo ad un consistente calo di domanda di beni e servizi che sta portando il Paese in deflazione. Diverse le cause: l’invecchiamento della popolazione, la debolezza della produttività, il calo della domanda esterna, la crisi immobiliare che da un paio di anni attanaglia il Paese.
Negli Usa, invece, la necessità di rifinanziare un debito in forte crescita sta provocando un raffreddamento da parte degli investitori: prova ne è la debole domanda che si è manifestata ieri per l’asta relativa al collocamento di $ 14 MD di treasury trentennali, con una richiesta molto inferiore rispetto alle attese, fatto che ha fatto salire nuovamente i rendimenti (a cui si deve peraltro aggiungere la turbolenza dovuta ad un attacco hacker alla banca cinese Icbc, che pertanto ha avuto problemi a partecipare all’asta, causando un certo disorientamento tra gli investitori, non a conoscenza, in quel momento, del problema).
Dopo una lunga serie positiva, durata 9 sedute, ieri sera Wall Street ha chiuso in territorio negativo, con tutti gli indici in discesa: Nasdaq – 0,82%, Dow Jones – 0,65%, S&P 500 – 0,81%.
Giornata all’insegna delle vendite sui mercati del far east asiatico: a Tokyo Nikkei a – 0,24%, in recupero rispetto ai minimi “intra-day”. A Hong Kong l’Hang Seng scivola dell’1,65%, portando le perdite settimanali a circa il 2,4%.
Shanghai lascia sul terreno circa lo 0,5%, chiudendo la settimana appena sotto la parità.
Futures in rialzo questa mattina sulle 2 sponde dell’oceano (+ 0,10/0,20%).
Leggero recupero per il petrolio, con il WTI a $ 76,12 (+ 0,40%).
Gas naturale Usa sulla parità ($ 3,049).
Oro di nuovo in calo, a $ 1.961, – 0,53%).
Spread sui livelli di ieri, nonostante le tensioni al vertice Ecofin: questa mattina lo troviamo a 186,1.
BTP a 4,50%.
Bund 2,64%.
Treasury in rialzo dopo le tensioni registrate durante l’asta di ieri (4,60% dal 4,51%).
€/$ 1,067.
Si stabilizza il rafforzamento del bitcoin, che questa mattina si conferma intorno ai $ 36.500 (36.519).
Ps: comincia, nel fine settimana, a Torino, l’ATP Finals, il torneo che riunisce gli 8 giocatori più forti al mondo, tra cui il nostro Jannik Sinner (che se la dovrà vedere, se vuole arrivare alla finalissima, con Nole Djokovic).
Per questa edizione (la terza nel capoluogo piemontese) è già stato venduto il 97% dei 166.000 biglietti disponibili. Per non parlare dell’indotto (alberghi, ristoranti, trasporti, musei, etc). Si calcola che il giro d’affari, per i 3 anni dal 2021 ad oggi, sia pari a € 450 ML. Altro che sport….