Nello sport, per definizione, c’è chi vince e c’è chi perde.
Così si può dire, anche se da un punto di visto etico non sempre risponde a verità, in molti altri ambiti.
L’economia e la finanza spesso non sfuggono a questa regola.
Ne abbiamo testimonianza in queste settimane, dopo lo scoppio della crisi di alcuni istituti bancari. Una crisi che, almeno per un attimo, qualche brivido lo ha fatto venire: ancora troppo recente è il ricordo del 2008 per far finta di niente. Questa volta, pero’, il “sistema”, grazie, soprattutto, alle nuove regole a cui è assoggettato, ha, almeno per il momento (ma tutti, dai banchieri centrali ai governi, dai money manager delle maggiori Case di investimento agli analisti, ci dicono che oggi la situazione è ben diversa, con i “fondamentali” assolutamente in regola), retto solidamente, salvo qualche, più che comprensibile, reazione emotiva.
A distanza di qualche giorno, quindi, si possono tirare le prime “somme”.
Tra i vincitori possiamo considerare certamente UBS. Quella che era la 2° banca svizzera (tra l’altro proprio lei salvata sempre dal Governo elvetico e dalla Banca Centrale svizzera nei giorni della “grande crisi” del 2008), in virtù dell’offerta formulata, nonché delle garanzie ricevute sempre dal tandem Governo-Banca Centrale, ha rilevato per Chf 3MD il Credit Suisse, pagandolo il 40% rispetto ai valori dell’ultimo giorno di quotazione prima che la sua crisi esplodesse (andando a ritroso, lo ha pagato 1/10 rispetto ad 1 anno fa e 1/20 rispetto a quanto quotava 5 anni fa – chf 14,83). Mossa che ha permesso alla banca svizzera di diventare la più importante banca elvetica a prezzi da saldo, a spese di quello che era il suo concorrente più forte, con attivi pari a 2 volte il PIL della Confederazione elvetica. Cosa già di per sé anomala: cosa che lo diventa ancora di più guardando al suo azionariato, praticamente una public company, i cui esponenti maggiori sono Fondi e Case di Investimento, soprattutto “made in Usa”. In altre parole, nel caso di una nuova, vera crisi, a quel punto sì che il suo salvataggio potrebbe essere un problema: chi avrebbe le risorse per intervenire? E, soprattutto, chi interverrebbe?
Tra gli sconfitti, evidentemente, il Credit Suisse, scomparso dai “radar”. E con lui, altrettanto evidentemente, i suoi principali azionisti. In primis la Saudi National Bank, che ha visto la propria partecipazione di fatto svanire (aveva versato, non più tardi dello scorso mese di ottobre, 1.5 MD per avere circa il 9,8% della banca). Non a caso ieri Ammar Al Khudary, che della Banca era il Presidente, che, con le sue improvvide dichiarazioni (in sintesi “non metteremo altri soldi”) avevano fatto scatenare la crisi, ha dato le dimissioni per non meglio precisati “motivi personali” (ma non c’è bisogno di grandi sforzi di fantasia per capirne le motivazioni).
Volgendo lo sguardo oltreoceano, possiamo osservare una situazione sotto diversi aspetti simile.
First Citizens BancShares, banca regionale della North Carolina, ha rilevato, anche lei “a sconto”, gli asset della ormai scomparsa Silicon Valley Bank. I prestiti della banca californiana specializzata in start-up e aziende tech passano di mano con uno sconto del 23% (parliamo di $ 72 MD di “loans” totali), mentre, per quanto riguarda i depositi, si tratta di $ 56 MD, cifra ben inferiore a quelli in essere nei giorni precedenti il crollo, quando erano circa $ 175 MD. Ovviamente First Citizens godrà di uno “scudo” messo a disposizione dal Governo e dalla FED, come, per esempio, un prestito quinquennale per $ 35MD e di una speciale linea di credito di $ 70MD. 2 le principali differenze rispetto all’intervento di UBS. In primo luogo l’azionariato: nel caso della banca americana fa capo ad una dinastia familiare (la famiglia Holding), quindi una situazione opposta rispetto alla banca svizzera. E poi le dimensioni: in questo caso si parla di un Istituto di medie dimensioni, che, prima dell’acquisizione della Silicon Valley, occupava la 30° posizione tra le banche americane (che ora diventa la 25°).
Senza dubbio i mercati un primo verdetto lo hanno espresso, se è vero che ieri le quotazioni della Banca della Carolina del Nord sono cresciute del 50%.
Sembra invece rientrato l’allarme per Deutsche Bank, anche se l’attenzione rimane alta. A destare qualche preoccupazione è l’entità dei prodotti derivati, anche se parliamo di valori di molto inferiori a quelli in essere nel 2007/2008, all’epoca pari a circa $ 70.000 MD (un po’ meno del PIL mondiale….), mentre oggi si parla di una cifra, per quanto elevata, ben inferiore ($ 13.100 MD), comunque in gran parte coperti da derivati. La cosa più importante, peraltro, deriva dai “ratios patrimoniali”, con il CET1 (capitale) al 13,4% e la liquidity ratio tra il 142 e il 146%.
Ieri giornata di recuperi per le borse europee e, in parte, per quelle USA. In Europa rialzi diffusi di oltre 1%, con il settore bancario a fare da “traino”. Un po’ diversa la situazione a Wall Street, con il listino “tradizionale” in crescita (Dow Jones + 0,60%), mentre il Nasdaq ha lasciato sul terreno lo 0,74%.
Questa mattina a Tokyo il Nikkei sale dello 0,15%, mentre ad Hong Kong l’Hang Seng cresce di quasi l’1%. Frazionalmente negativa Shanghai (– 0,13%).
Futures ovunque positivi anche questa mattina, a confermare una ritrovata “calma”.
Ieri giornata quasi “euforica” per il petrolio, con il WTI cresciuto di oltre il 3%. Questa mattina lo troviamo a $ 72,97, in ulteriore consolidamento (+ 0,12%).
In ripresa, dopo il calo di ieri, il gas naturale Usa, a $ 2,255 (+ 1,63%).
Oro a $ 1.955,10, sui prezzi di ieri.
In ribasso lo spread, che torna a 180 bp, per un BTP appena sopra il 4% di rendimento.
Bund che riparte dal 2,22%.
Treasury Usa al 3,51% (ieri 3,38%).
In rafforzamento l’€, con €/$ a 1,0818,
Bitcoin ancora debole, con le quotazioni tornate a $ 27.000.
Ps: se ne è andato un “mito” del giornalismo, Gianni Minà. Un grande in grado di segnare un’epoca. Amico di personaggi, dal mondo dello sport alla politica per finire alla cultura, unici. Basti pensare che, nel 1984, riuscì a mettere intorno ad un tavolo di ristorante, Muhammad Alì, Sergio Leone, Garçia Marquez e Robert De Niro. Se la grandezza dei personaggi dipendesse dalle imitazioni, lui sarebbe senza dubbio ai primi posti.