Proviamo per un attimo ad immedesimarci in chi, forte di studi economici ed esperienze ai vertici delle più importanti istituzioni monetarie ed economiche mondiali, nonché con la possibilità di accedere ai dati macro in tempo reale, è chiamato a “governare” l’economia mondiale. Le sue decisioni, seppur in un mondo che non è mai uguale, ovviamente troveranno ispirazione nella “storia”, oltre che nelle teorie economiche a cui gli Stati ed i Governi si sono via via ispirati. Per tutti il nemico da battere oggi è l’inflazione: per questo da mesi (di più negli Usa, un po’ in Europa) si è scelta la strada del rigore monetario, che si esplicita soprattutto con il rialzo dei tassi. Da sempre, ci dicono i libri di economia, questa è la leva più forte da utilizzare.
A complicare le cose (prima) è arrivato l’aumento delle materie energetiche, che ha raggiunto livelli da “allarme rosso”: una crescita che ha pressochè annullato completamente (così tutti abbiamo pensato) l’effetto delle politiche monetarie. Ma da settembre le cose cambiano: quella che prima sembrava una salita inarrestabile diventa una discesa, forse ancora più rapida del precedente aumento, con i prezzi che oggi sono a livelli inferiori a quelli di 12 mesi fa, quando è iniziata l’invasione dell’Ucraina. Nel frattempo, le Banche Centrali hanno continuato ad alzare i tassi, che hanno toccato livelli che non si vedevano da più decenni. Tutti a pensare “2 + 2 fa 4”: diminuiscono i prezzi delle materie prime, la causa principale del caro vita, aumentano i tassi, per cui l’inflazione ha (avrà) vita breve. Salvo scoprire che, per quanto le bollette pesino molto meno (dopo il – 34,2% di gennaio, a febbraio si aggiunge un altro – 13%), l’inflazione è “sempre lì”. In Italia (il riferimento alle bollette è relativo al nostro Paese), per esempio, è ancora al 9,2%: certo, meno del 10% di gennaio, ma con un aumento mensile dello 0,3%. Peggio vanno le cose per l’inflazione core, quella al netto dei prodotti più volatili (energia ed alimentari), che passa dal + 6% di gennaio al + 6,4% di febbraio, mentre il “carrello della spesa” vola al + 13%. Andamento analogo a livello europeo, con un’inflazione che scende frazionalmente dall’8,6% di gennaio all’8,5% di febbraio, contro aspettative dell’8,2%, come peraltro anticipato nei giorni scorsi dai dati di Francia, Spagna e Germania, e l’inflazione core al 5,6% dal 5,2% contro aspettative del 5,3%.
Ma non solo.
Scopriamo anche che della tanto temuta recessione oggi non c’è ombra. Se poi guardiamo all’occupazione, scopriamo che ovunque tiene, mentre ci sono Paesi dove addirittura è in crescita. Uno di questi è l’Italia, dove il numero complessivo di occupati (dipendenti a tempo indeterminato, dipendenti a tempo determinato, autonomi) ha raggiunto i 23.309.000, il livello più alto da quanto esistono le “serie storiche” (2004): solo a gennaio si sono contati 35.000 occupati in più, che portano, anno su anno, a 459.000 il totale. Rimane il dato molto negativo della disoccupazione giovanile (under 25 siamo al 22,9%, tra i più alti in Europa, superati solo da Spagna e Grecia, rispettivamente al 29,6 e 28,9%.
Possiamo quindi comprendere le preoccupazioni dei nostri “amici” Banchieri Centrali di fronte a questi risultati: nella prima fase, da “passeggera” l’inflazione è diventata “stabile”. Ora, da “di breve durata” è diventata “higher for longer”, per usare una definizione utilizzata per descrivere una politica monetaria più aspra di quanto ritenuto sino a pochissimo tempo fa. E quindi meglio evitare “pianificazioni” di medio periodo e “navigare a vista”: oltre ad evitare brutte figure, si evitano messaggi errati, che possono avere conseguenze pesanti sui mercati.
Mercati che, da parte loro, sembrano aver capito l’antifona: è vero che i prezzi sono (e rimangono) alti, è vero che le politiche monetarie sono e rimarranno rigorose, è vero che i “venti di guerra” non sono ancora finiti (e sembra ci vorrà tempo perché finiscano), però prima o poi tutto questo passerà, e quindi il mondo tornerà a prosperare. La differenza la fa “il prima”: sono ormai in molti a pensare che “l’atterraggio duro” dell’economia non ci sarà, confortati dai dati macro di cui sopra. Senza contare il fatto che sui mercati al momento rimane una quantità di liquidità ancora elevata, in attesa di scelte da parte dei gestori e delle Case di investimento, che potrebbe “spingere” ancora i listini.
Un campanello di allarme arriva dal reddito fisso, con la curva dei rendimenti (il differenziale tra i rendimenti a breve e quelli a lungo) che si sta sempre più allargando (il bund tedesco a 2 anni ieri rendeva il 3,20% contro il 2,75% del decennale): una chiave di lettura opposta al sentiment positivo dei mercati azionari (in altre parole, il reddito fisso “vede” la recessione quasi per certa, l’azionario, al contrario, scommette che non ci sarà). Un dilemma che, tutto sommato, non sta spaventando più di tanto gli investitori, che sembra stiano portando avanti in parallelo le loro scelte: portiamoci a casa rendimenti (sull’obbligazionario) assolutamente interessanti (almeno rispetto a pochi mesi fa), ma non disdegniamo il “rischio”, in grado, magari di “coprirci” dall’inflazione (come i rendimenti di questa prima parte dell’anno in buona parte ci hanno confermato).
Come se i mercati, alla fine, fossero “oltre” le Banche Centrali e non “dietro” le loro scelte.
Questa mattina le borse asiatiche sono in sintonia con i buoni recuperi fatti segnare ieri sera da Wall Street (Nasdaq + 0,89%, Dow Jones + 1,05%, S&P 500 + 0,76%): a Tokyo il Nikkei cresce dell’1,56%, Shanghai dello 0,54% e Hong Kong dello 0,92%.
Futures positivi in Europa, appena negativi invece oltre Oceano.
Pertrolio di nuovo sugli scudi, con il WTI tornato sopra i $ 78 (78,12).
Gas naturale americano a $ 2,803 (questa mattina + 1,09%).
Oro a $ 1.849,90 (+ 0,42%).
Parziale recupero dello spread, che scende a 184,9 bp: rendimento del decennale al 4,62%, sui massimi dell’anno.
Bund al 2,75%.
Treasury Usa al 4,04%.
€/$ stabile, a 1,0619.
Nuova caduta del Bitcoin, che scende ben sotto i $ 23.000 (22,380): Silvergate, una “cripto-banca” americana, non è riuscita a presentare alla Sec il proprio report annuale, come previsto dalla normativa Usa. Si preannunciano ancora tempi duri per le criptovalute.
Ps: ieri a Los Angeles è morto Wayne Shorter, uno dei più grandi sassofonisti jazz di sempre, “compagno di viaggio” di Miles Davis, lui si forse il più grande di sempre, e poi fondatore dei Weather Report. Un altro pezzo di storia della musica che se ne va.