Nella sola seduta di ieri, il prezzo del gas ha subito un calo di oltre il 15%, portandosi intorno a € 55 per megawattora, un livello che non si vedeva da circa 1 anno e mezzo (settembre 2021). L’arrivo del primo vero freddo di quest’inverno non sembra minimamente scalfire un trend che fa sembrare lontanissimi i giorni in cui i prezzi erano arrivati a livelli insostenibili, con punte di € 350 per megawattora: eppure non sono passati neanche 6 mesi (era la fine di agosto 22).
A ben vedere, gli effetti del clima non si limitano solo ad aspetti relativi alla nostra qualità della vita (è della settimana scorsa uno studio che ci dice che il “buco dell’ozono”, quasi l’incubo degli ultimi anni, sta diminuendo e verso il 2050 potrebbe essere scomparso), ma anche alla lotta all’inflazione, facendo passare quasi in secondo piano la politica monetaria delle Banche Centrali (in primis quella europea, visti i devastanti impatti sui prezzi delle forniture energetiche negli ultimi 12 mesi). Con i depositi di mezza Europa a livelli mai visti negli ultimi anni (siamo, mediamente, all’81,7% della capacità di stoccaggio contro una media di periodo intorno al 65%), non spaventa, infatti, l’arrivo del freddo: ormai si va verso la fine di gennaio e, anche laddove arrivassero giornate più rigide, la primavera non è più così lontana. Aggiungiamoci, poi, l’arrivo a breve (si inizia il 15 febbraio) del price cap sulle forniture petrolifere in arrivo dalla Russia e il quadro è fatto: clima favorevole e price cap sono fattori che vanno nella riduzione dei consumi e portano a mantenere riserve ben sopra la soglia di “rischio razionamento”, Paradossalmente oggi si corre un rischio opposto, vale a dire trovarsi con un eccesso di offerta. Il che porta, come sempre, i prezzi a riallinearsi: si inizia, ancora una volta, dai futures, che evidenziano come i prezzi, per quest’anno, ma anche per il prossimo, dovrebbero rimanere vicino a € 60, mentre non più tardi di un mese fa le attese erano per un livello dei prezzi intorno a € 140-150 per la primavera 2024.
Più che la politica monetaria, quindi, è quello il vero deterrente per “placare” l’inflazione, per quanto non pochi continuino a ritenere che, almeno per quest’anno, possa rimanere a livelli ritenuti elevati. La pensano così, per esempio, il 57% degli esperti presenti al Word economic forum di Davos. 2/3 dei presenti, poi, ritiene probabile una recessione globale per il 2023, che porterebbe oltre il 73% delle aziende a ridurre le spese per investimenti. Chiaro che una definizione del conflitto ucraino in tempi brevi (6 mesi) cambierebbe le prospettive, allontanando non poco le paure. Paure, peraltro, non così “paralizzanti”: a ben vedere, guardando gli ultimi dati macro di qua e di là dell’Oceano (la Cina è un mondo a parte), le probabilità di una recessione sono meno forti di quanto gli esperti riuniti nelle Alpi svizzere ci dicano. Come anche i rialzi registrati sui vari mercati in questa prima metà di gennaio sembrano volerci dire. A proposito di Cina, nel 4° trimestre la crescita è stata del 2,9% su anno, in calo rispetto al + 3,9% del trimestre precedente, ma ben oltre il + 1,6% atteso. Un dato che fissa la crescita annua al + 3%, forse il dato più basso degli ultimi 50 anni. E che forse spiega meglio di ogni cosa il motivo per cui Xi Jinping, in vista del Capodanno cinese che inizia la settimana prossima, abbia di fatto dato il via al “liberi tutti”, nonostante un andamento dei contagi che allontana di nuovo la fine dell’emergenza sanitaria nel Paese.
Dopo due giorni di cali, questa mattina forti segnali di recupero per la borsa giapponese, con l’indice Nikkei in crescita dell’1,23%. Intorno alla parità Shanghai, mentre frena a Hong Kong l’indice Hang Seng, in calo dell’1% circa. Scende anche a Seul il Kospi (- 1%), mentre in India Mumbai sale dello 0,7%.
Futures al momento leggermente negativi (vicini alla parità quelli europei, mentre a Wall Street, che oggi riapre dopo la festività di ieri, il calo è maggiore, comunque intorno a – 0.20/0,30%).
Petrolio leggermente debole, con il WTI sempre vicino a $ 80 (79,22, – 0,9%).
Strappa al rialzo il gas naturale Usa, a + 9,18% ($ 3,739).
Ancora in lieve calo l’oro, comunque saldamente sopra i $ 1.900 (1.911, – 0,62%).
Stabile lo spread, sempre in area 184 bp, con il BTP ad un rendimento del 4%.
€/$ sui livelli di ieri, a 1,082.
Bitcoin che si conferma sopra i $ 21.100 (21.165), un livello che non vedeva dai giorni immediatamente precedenti al crac FTX.
Ps: che la Cina stia attraversando una fase non semplice ce lo dice anche l’analisi demografica. Per la 1° volta negli ultimi sessanta anni (almeno stando ai dati in arrivo da Pechino) il Paese ha avuto un calo demografico, avendo perso 850.000 abitanti, con una popolazione pari a 1,41 MD di persone. Sempre più vicino, quindi, il sorpasso dell’India, l’altro “sub-continente” asiatico, che contende alla Cina il primato mondiale del numero di abitanti.