Ieri si è avuta la conferma che l’inflazione Usa è scesa, a fine dicembre, al 6,5% (5,7% quella “core”), esattamente come prevedevano gli analisti (cosa che, in prima battuta, sembrerebbe smentire in modo clamoroso quanto sosteneva, come scritto mercoledì, Niels Bohr in merito al rischio di fare previsioni: ma un conto sono le previsioni sul futuro “immediato”, un conto quelle relative ad un futuro più “remoto”, in cui entrano in gioco variabili difficili da determinare). Previsioni che, di fatto, non sono altro che la rappresentazione del “consenso” del mercato. Più i 2 dati sono allineati più le reazioni dei mercati sono prive di sorprese negative. Constatazione valida sia per il mercato azionario che per quello obbligazionario, entrambi legati a doppio filo alle scelte di politica monetaria delle Banche Centrali.
Che il “sentiment” (la visione prospettica) sia cambiato, rispetto al 2022, è piuttosto evidente. Sul fronte dell’equity alcuni mercati (tra cui il nostro indice MIB), in questi primi 10 giorni di gennaio, sono vicini alla doppia cifra. Se poi allunghiamo lo sguardo all’autunno, si potrà notare come un po’ tutti si siano allontanati dai minimi, con rialzi (vedi l’Hang Seng di Hong Kong) vicini al 50%.
Discorso analogo per il reddito fisso. Gli spread in forte calo fotografano bene, ancor più della realtà, le “aspettative” sulle prossime mosse delle autorità monetarie. Anche tra gli stessi “money maker” (coloro che partecipano al processo decisionale, come i membri dei vari Comitati Direttivi) si insinuano punti di vista più “morbidi”, quasi una presa di distanza rispetto a chi, invece, insiste su un approccio più rigoroso. E’ il caso, per esempio, di Patrick Harker, membro della FED di Philadelphia (e come tale membro del Comitato Direttivo della FED), che, a pochi giorni della riunione del Fomc della Banca americana, ha detto che “da qui in avanti saranno appropriati rialzi dei tassi di 25 punti base”.
Ma c’è chi, ovviamente, non la pensa allo stesso modo. Una scuola di pensiero diversa, che fa leva su un aspetto di natura psicologica: il mantenimento della “strategia del rigore” non sarebbe data da una “necessità” dettata dall’andamento economico attuale (ormai è chiaro che i prezzi stanno diminuendo) quanto piuttosto dalla volontà di dimostrare che le Banche Centrali hanno come obiettivo prioritario far tornare l’inflazione il più presto possibile “nei ranghi”, e per farlo non si fanno influenzare dai dati positivi di oggi. Anzi, al contrario, più i corsi dei titoli (sia azionari che obbligazionari) salgono, più dovranno far leva sui tassi.
Per ora, peraltro, rimangono confermati gli “atterraggi” al 5% per i tassi Usa e al 3% in Europa. Europa in cui si prevede che l’inflazione a fine anno sia non lontana dal “target” del 2% fissato dalla BCE. E conforta il fatto che anche a 5 e 10 anni si pensa che non saremo così lontani dall’obiettivo, con il tasso swap al 2,31%.
Tutto ruota, come sappiamo, intorno ad alcune variabili, in primis i prezzi dell’energia. Ma lo “shaker” dell’economia mondiale comprende anche altri ingredienti: guerra in Ucraina, andamento del Covid in Cina, con relative aperture/chiusure, anche se ormai è evidente quale sia l’atteggiamento “liberista” del Governo, preoccupato per le tensioni sociali e bisognoso di veder crescere l’economia, stabilità dei prezzi, andamento degli utili aziendali, occupazione per citare i più attuali. Dal loro “mix” dipenderanno le politiche monetarie (delle Banche Centrali) e fiscali (dei Governi) che indirizzeranno le economie e, conseguentemente, i mercati, desiderosi più che mai di dimenticare in fretta un anno, come il 2022, privo di soddisfazioni.
Dopo l’altalena iniziale, ieri sera nuova chiusura positiva per Wall Street, con il Nasdaq a + 0,50%, il Dow Jones a + 0,64%, S&P 500 + 0.34%, ad un soffio dai 4.000 punti, altro spartiacque importante.
Questa mattina nuova giornata di rialzi per le piazze Great China, con Shanghai a + 1% e Hong Kong a + 0,98% (+ 9% rialzo da venerdì scorso) .
In calo invece il Nikkei a Tokyo (– 1,25%).
Bene anche Seul, dove il Kospi sale dello 0,9%.
Futures in crescita in Europa (Eurostoxx + 0,12%), mentre trattano appena sotto la parità a New York.
Ulteriore passo avanti del petrolio, con il WTI che si porta sopra i $ 78 (78,46).
Gas naturale Usa a 3,687 (- 0,46%).
Tocca i $ 1.900 (1.900,5) l’oro, in ulteriore crescita.
Nuova discesa dello spread, che questa mattina tocca i 178,7 bp. Rendimento del decennale sotto il 4%, minimi dell’ultimo mese.
Sorte analoga per il Bund tedesco, ad un passo dal 2%.
Treasury Usa al 3,44%, anche lui ai minimi dell’ultimo mese. Tutti dati che confermano la view positiva sulle prossime mosse delle Banche Centrali.
€ in nuovo rafforzamento vso $: questa mattina tratta a 1,083, massimo dallo scorso aprile.
Balzo del bitcoin, ormai ad un passo dai $ 19.000 ($ 18.808).
Ps: parliamo di terre rare, materiali indispensabili per molte apparecchiature tecnologiche. Fino ad oggi la Cina era la “regina” incontrastata di questo settore, avendo praticamente il monopolio. E’ di oggi la notizia che in Svezia è stato scoperto il più grande giacimento del mondo al di fuori della potenza asiatica (anche se pare ci vorranno almeno 10-15 anni per cominciare le attività estrattive). La domanda (ovvia) quindi è: ma in futuro si continueranno a chiamare “terre rare”?