A “tutto gas” è un modo di dire che da sempre sta a significare “andare al massimo”, sia che si tratti di velocità sia che si parli di impegno.
Da tempo, però (almeno da quando è iniziata la guerra in Ucraina), l’espressione è di assoluta attualità e si può benissimo adattare a ciò da cui nasce, in considerazione della centralità assunta da quella materia energetica e i conseguenti impatti a livello di economia globale.
Dopo il picco di questa estate, quando venne toccato il picco di circa € 350 al megawattora (Ttf snodo ai Amsteradam), ieri ha chiuso a € 65, vale a dire l’80% in meno: difficile trovare un asset che in tempi così brevi abbia perso così tanto valore.
Al di là delle cause (in primis la trazione speculativa, a cui l’introduzione del price cap ha posto un freno, ma anche l’inverno particolarmente mite), è interessante analizzare le conseguenze. Conseguenze che hanno impatti piuttosto rilevanti, come ovvio, sulle attività economiche e su tutto ciò ad esse riconducibili (dai costi di produzione ai prezzi delle merci, per non parlare delle bollette domestiche), ma anche, nel senso più ampio, sulle attività finanziarie, intendendo per tali anche il valore di molti asset.
La ragione è semplice. Se il valore dovesse rimanere sui livelli attuali, se non addirittura scendere ulteriormente, l’impatto sui prezzi (e quindi sull’inflazione) sarebbe ineluttabile. Nell’ultimo mese il prezzo del gas europeo è sceso di oltre il 52% (solo ieri ha perso il 7%). Il prezzo dell’energia contribuisce per 2/3 alla determinazione dell’inflazione europea. Ne consegue che il velocissimo calo del gas ha di molto ridimensionato le aspettative sull’andamento dei prezzi in Europa: basti pensare che sino a soli 11 giorni fa gli swap stimavano che l’inflazione sarebbe stata, tra 12 mesi, del 4,50%. Ora le aspettative si sono portate al 2,50%. Un salto enorme, che da forza a chi sostiene che, se il trend venisse confermato, la BCE potrebbe non ricorrere, come non più tardi di 2 giorni fa alcuni suoi esponenti hanno dichiarato (vd Isabel Schnabel, membro del Comitato Direttivo della Banca Centrale), ai rialzi già “messi in cantiere” (se non il primo, previsto per i primi giorni di febbraio, almeno per il secondo, entrambi ipotizzati nella misura dello 0,50%: in alternativa, mantenere il duplice rialzo, ma per una percentuale inferiore, 0,25%). Ieri ne abbiamo avuto la prova osservando l’andamento degli spread (a maggior ragione il nostro) e il conseguente rendimento dei titoli governativi. Il nostro spread è così sceso sino a 178 bp (anche se poi ha chiuso intorno a 185 bp), con il BTP che è passato in un solo giorno dal 4,22% di martedì al 4,03% di ieri (ad inizio anno era al 4,55%). Sorte analoga per il bund tedesco, sceso dal 2,45% di inizio anno al 2,17% di ieri (martedì era al 2,30%).
A dire il vero anche altri fattori hanno contribuito al “ridisegno”, uno di ordine più “politico”, l’altro più “tecnico”.
Sempre ieri, infatti, il Cancelliere tedesco Scholz, in maniera inaspettata, ha fatto intendere che la Germania potrebbe essere favorevole all’idea di emettere un debito comune europeo al fine di permettere all’Europa di bilanciare il mega piano di investimenti ($ 370 MD) lanciato dall’Amministrazione Biden per sussidiare il così detto “green plan”. Se così fosse, un Paese come il nostro, costretto a continue emissioni di titoli governativi, avrebbe meno necessità di ricorrere ai finanziamenti, diminuendo, quindi, le emissioni di BTP.
Non da meno è importante anche un elemento dato da un “tecnicismo”: nelle ultime settimane alcuni operatori (in primis, ma non solo, gli Hedge Fund, da sempre in prima linea quando si parla di speculazione) avevano scommesso, anche se non come in passato, su un indebolimento del nostro spread, con un innalzamento dei rendimenti dei BTP. Le vicende degli ultimi giorni stanno portando a frettolose “ricoperture” e quindi a “chiudere” le posizioni aperte acquistando BTP sulle scadenze più lunghe, evitando ulteriori perdite.
Rimane il fatto che oggi il nostro debito pubblico offre un rendimento assolutamente interessante, a maggior ragione se paragonato a quello offerto da altri nostri partners europei. Basta guardare a quanto è successo ieri: i 7 MD (domanda pari a € 9,7 MD) di BOT a 12 mesi offerti in asta sono stati assegnati ad un rendimento del 3,086% (che diventa il 2,69% netto). Per trovare un rendimento superiore bisogna andare al 2012, quando, sulle scadenze annuali, si era vicini al 4% (ma ben ricordiamo quel periodo).
Chiusure positive anche ieri sera a Wall Street: il Nasdaq ha terminato le contrattazioni in aumento dell’1,86%, il Dow Jones a + 0,80%, mentre lo S&P 500, grazie al + 1,28%, si è portato a 3.969,61 punti, rompendo l’importante resistenza fissata a 3.900 punti.
Più incerti, questa mattina, i mercati asiatici, tutte comunque più o meno sulla parità, con spostamenti frazionali: Nikkei a Tokyo + 0,014%, Shanghai + 0,051%, Hang Seng di Hong Kong – 0,06%.
Nuovo rialzo per il petrolio, con il WTI che si porta a $ 77,42.
Gas naturale americano $ 3,655, – 0,63%.
Continuano gli acquisti sull’oro, questa mattina a $ 1.885,40 (+ 0,26%). Il rialzo, dai minimi di novembre, è già del 15%. Pare che a contribuire al rialzo siano gli importanti acquisti da parte di molte banche centrali, in primo luogo di quella cinese. Pechino, infatti, tra novembre e dicembre avrebbe fatto acquisti per oltre 62 tonnellate di lingotti, portando le proprie riserve a 2.010 tonnellate, pari al 3,4% del totale delle riserve, una quota, peraltro, ritenuta ancora bassa, che rende possibili nuovi incrementi di domanda.
Spread sui livelli della chiusura di ieri (184,5 bp), con il BTP intorno al 4% di rendimento.
Treasury al 3,51%, bund tedesco al 2,17%.
Stabile l’€/$, a 1,0763.
Nono rialzo consecutivo per il bitcoin, che si porta a $ 18.160, in crescita del 2,60% anche questa mattina.
Ps: alla “faccia” dell’adeguamento salariale all’inflazione. Uniqlo, l’azienda giapponese tra i leaders mondiali dell’abbigliamento, ha annunciato una revisione contrattuale per compensare i rialzi dovuti all’inflazione e la relativa perdita dei valori salariali. Pertanto lo stipendio medio, per i neo assunti, crescerà del 18%, mentre per i responsabili dei negozi dovrebbe aumentare di circa il 38%.