21 anni fa, in queste ore, il mondo osservava, sgomento e paralizzato, immagini che mai dimenticheremo. Mai, come in quelle ore, probabilmente, ci siamo sentiti inermi e, forse, indifesi. Oggi stiamo assistendo ad un’altra guerra, forse meno mediatica (facile identificare il crollo di 2 tra i più alti edifici al mondo con il crollo del “potere” rappresentato dalla Democrazia più nota e forte al mondo), ma di certo più cruenta, che ha già fatto decine di migliaia di morti e praticamente “raso al suolo” se non un intero Paese almeno la sua economia. Con conseguenze, come ben sappiamo, pesantissime su quella dell’Europa, alle prese con la crisi energetica più grave che si ricordi. Gli “strascichi” dell’altra guerra che il mondo intero ha combattuto negli ultimi 2 anni e mezzo (non ancora finita) sono un’ulteriore, non lieve, complicanza, rendendo non semplice trovare idee e soluzioni condivise sul da farsi. Per aiutare gli Stati membri UE, un po’ meno di 2 anni da venne stanziato il PNRR, finanziato per € 750 MD, una cifra considerata enorme. Il maggior costo della bolletta, sempre a livello UE, è stato quantificato in € 1.000 MD: questa rende l’idea di come questa guerra (purtroppo vera e non solo teorica) arrivi a condizionare le nostre vite. Una guerra che, a guardare gli ultimi giorni, sembra aver preso una piega inaspettata, con l’esercito ucraino arrivato a respingere l’invasore russo sin quasi al confine tra i 2 Paesi, con molte zone del Donbass (da dove tutto è cominciato, visto che li i combattimenti sono iniziati ormai oltre 9 anni fa) riconquistate. Controffensiva probabilmente dovuta ad un insieme di elementi: la conferma di ulteriori stanziamenti da parte dell’Occidente a favore dell’Ucraina (circa € 3,7 MD tra armi e finanziamenti), il fatto che le sanzioni cominciano ad avere effetti sull’economia e sulle finanze della Russia (si stima che il costo della guerra sia stato, ad oggi, pari a circa € 100MD: venendo meno i flussi finanziari, vengono meno approvvigionamenti, invio di armi e di uomini, rendendo molto difficile mantenere le posizioni conquistate), senza contare, probabilmente, una certa “stanchezza”, se non sfiducia, da parte non solo dei soldati ma, soprattutto, da parte di chi è chiamato a guidarli, che probabilmente comincia a avere qualche dubbio non solo sul successo finale, ma anche sulle motivazioni della guerra. Indubbiamente, se l’esercito ucraino dovesse continuare a fare arretrare quello russo si aprirebbero scenari nuovi, che potrebbero riverberarsi sul Cremlino, mettendo Putin in una situazione piuttosto sgradevole, sia verso l’opinione pubblica che, soprattutto, gli ha in mano “le leve del comando” (le forze armate).
Intanto, però, al di là dell’Ucraina, il prezzo forse maggiore lo sta pagando l’Europa.
Le difficoltà a trovare una soluzione condivisa per frenare la salita e le grandi oscillazioni dei prezzi dell’energia confermano i timori di una UE non troppo “unita”, con alcuni Paesi (in primis Olanda e Germania, il cui “peso” ben sappiamo quale è all’interno dell’Unione, ma anche Slovacchia e Ungheria) che ad oggi manifestano più di una perplessità all’avvio del price cap sul gas. Tutto viene, quindi, rimandato di almeno una settimana per quanto riguarda le “proposte” su cui di dovrà discutere, per poi approvarle ad ottobre. Al momento di parla di 5 proposte: tetto massimo al prezzo del gas, taglio obbligatorio del 10% del consumo di elettricità (sino ad oggi si era parlato di tagli “volontari” da parte dei singoli Paesi nella misura del 15%), aiuti di Stato alle aziende energetiche, revenue capture per le società che producono energia senza utilizzare il gas (lo Stato trattiene la differenza tra un prezzo fissato – si pensa ad € 200 per megawattora – e il maggior prezzo a cui l’energia può essere venduta – ad oggi non c’è differenza tra i prezzi dell’energia prodotta utilizzando fonti diverse, per cui i prezzi sono automaticamente “fissati” a quelli più alti, vale a dire quelli che derivano dal gas), tassa – temporanea – sugli extra profitti delle società produttrici e distributrici di energia, qualsiasi sia la tipologia.
Parallelamente, si muovono i singoli Governi.
In settimana il Parlamento potrebbe approvare il decreto Aiuti bis, del valore di circa € 13.6MD. Le misure che dovrebbe contenere vanno dalla proroga dei crediti di imposta, almeno sino al 31/12, per le imprese, che da sola vale circa la metà (€ 6,8 MD). Poi la possibilità dell’innalzamento del tetto Isee da € 12.000 ad € 15.000, per consentire l’aumento della platea di chi potrà beneficiare degli sconti in bolletta. Proroga dello smart working fino a fine anno per le persone fragili e per le famiglie con figli under 14. Rateizzazione delle bollette già scadute sempre per le famiglie in difficoltà. E, infine, dilazione nei pagamenti delle bollette (4-7 mesi) per micro imprese ed attività commerciali e la Cassa Integrazione scontata anche per quei settori per i quali l’agevolazione era scaduta a maggio (ad oggi gli unici a beneficiarne sono siderurgia, automotive, legno, ceramica, agroindustria).
Inizia una settimana che sarà contraddistinta, domani, dalla pubblicazione dei dati sull’inflazione USA, fattore che potrebbe impattare non poco sulle prossime decisioni della FED. Le stime sono per un rallentamento, con una discesa all’8,1% dall’8,5% di agosto. Se così fosse, peraltro, non dovrebbero modificarsi le decisioni della Banca Centrale americana, orientata ad un rialzo dello 0,75% dei tassi.
Con molte piazze asiatiche chiuse (Cina, Hong Kong, Corea del Sud) per festività, il Nikkei di Tokyo si appresta ad una chiusura positiva (+ 1,16%).
Futures ovunque, seppur marginalmente, positivi.
Petrolio in ridimensionamento, con il WTI che cede l’1% ($ 86,02).
Tiene quota $ 8 (8,083) il gas naturale americano.
Oro a $ 1.716,7, in arretramento dello 0,22%.
Spread a 236bp, per un decennale appena sopra il 4%.
Bund a 1,70%.
Decennale USA a 3,32%.
Continua il recupero dell’€: questa mattina troviamo l’€/$ a 1,0108, quota che non vedeva da qualche settimana.
Bitcoin a $ 21.807 (+ 1.65%).
Ps: la tentazione di parlare di sport è forte, dopo che la Nazionale maschile di volley, dopo 24 anni, è tornata in cima al mondo, superando, a casa loro, i campioni uscenti della Polonia.
Ma una notizia a sfondo “sociologico” gli ruba la scena.
Tutti ricordiamo quando un ex Ministro dell’economia “bollò” come bamboccioni i ragazzi italiani.
In questi giorni l’Eurostat (l’Ufficio di statistica dell’Unione europea) ha aggiornato i dati relativi all’età media in cui i giovani lasciano le case in cui vivono con i genitori. In Paesi come Francia e Germania succede verso i 25 anni. In alcuni Paesi scandinavi addirittura sotto i 20. La media europea è di 26,5 anni. Da noi succede a 29,9 anni, una delle età più alte evidentemente. Ma parlare di “bamboccioni” non è propriamente corretto: di certo le tradizioni culturali, storiche e sociali contano, ma anche le opportunità di lavoro che forse in altri Paesi si trovano con maggior facilità.