Direttore: Alessandro Plateroti

Possiamo essere certi che l’8 settembre (data per noi italiani piena di significati negativi) non verrà ricordata per il maggior rialzo mai effettuato dalla BCE (+ 0,75%) nella sua pur breve storia. La scomparsa della Regina Elisabetta, il cui regno è stato il più longevo della storia britannica (il precedente primato apparteneva alla Regina Vittoria, che ha regnato per 63 anni, dal 1837 al 1901) come prevedibile oscura qualsiasi altra notizia. E altrimenti non potrebbe essere.

Ma la lotta all’inflazione non può concedersi pause e lasciare spazio ai sentimentalismi, per quanto la City inglese, una delle maggiori piazze finanziarie al mondo, oggi vivrà una giornata particolare.

La decisione della BCE, ampiamente prevista,non ha spaventato più di tanto i mercati, che, dopo un’iniziale caduta, si sono prontamente ripresi, per chiudere ampiamenti positivi. Più volatili quelli statunitensi, “provocati” dalle nuove dichiarazioni del Presidente FED. Jerome Powell, infatti, ha “alzato il tiro”, riaffermando di prossime decise azioni da parte della Banca Centrale americana, che non darà tregua all’inflazione. Sino a quando, quindi, non verrà riportata sotto controllo, si procederà sulla strada del rialzo dei tassi: il prossimo è già “scalettato” per il vertice FED del 20-21 settembre prossimi.

Tornando all’Europa, per quest’anno, secondo la BCE, l’inflazione dovrebbe attestarsi intorno all’8,1%, ben 1,3% in più rispetto alle previsioni di giugno e molto, molto superiore ai livelli che la Banca Centrale aveva previsto verso la fine dello scorso anno. Una differenza talmente marcata da costringere la Lagarde ad ammettere il grave errore di sottovalutazione commesso laddove affermava (peraltro in buona compagnia, visto che identica situazione si è verificata oltreoceano) che (l’inflazione) “sarebbe stato un evento temporaneo”.

Per l’anno prossimo è previsto un calo al 5,5%, un dato sempre piuttosto alto e che non lascia tranquilli (l’inflazione “buona” non deve andare oltre il 2/2,50%: oltre porta gravi squilibri macro-economici), ma comunque più “gestibile” rispetto alla fase attuale, per poi scendere, nel 2024, al 2,3%.

Di contro, il PIL, che quest’anno, a livello UE, dovrebbe attestarsi al 3,1% (anche qui in rialzo, seppur modesto, rispetto al 2,8% previsto a giugno), è visto in discesa nel 2023, passando allo 0,9%, per poi risalire all’1,9% nel 2024. Numeri non esaltanti, ma che comunque confortano: se così fosse, infatti, si allontanerebbe il rischio di recessione, data quasi per certa da analisti, osservatori ed operatori.

Da ieri, quindi, il tasso di riferimento è fissato all’1,25%. Un elemento che spiega il forte rialzo del settore bancario di ieri, che ha fatto da “traino” ai mercati azionari in tutta Europa (+ 2,30% area €, + 3,63% sul nostro indice MIB, + 5,11% sul Dax a Francoforte). Si calcola che le Banche europee abbiano in deposito presso la BCE qualcosa come € 670MD: il fatto che oggi questa enorme massa di liquidità riceva una seppur minima remunerazione (e non invece una “sforbiciata”) significa che i bilanci degli Istituti di Credito ne beneficeranno (oltre al fatto che, svolgendo la loro attività “core”, e quindi prestando denaro al sistema, l’aumentata marginalità contribuirà in maniera molto significativa a “rimpolpare” gli utili).

Senza contare che, nonostante la mutata situazione di fondo, rimangono invariate le condizioni a cui avvengono i finanziamenti Tltro al sistema bancario.

Per il futuro (orizzonte temporale da qui a fine anno), le previsioni più “gettonate” parlano di un paio di rialzi, che potrebbero portare al 2,25% il tasso di riferimento. I più “oltranzisti” si spingono ad un nuovo aumento dello 0,75% già ad ottobre, mentre la maggioranza non va oltre lo 0,50%. Chi non si sbilancia è la BCE, “scottata” dai precedenti, che ribadisce che le decisioni verranno prese di volta in volta, a seconda delle situazioni che si andranno a determinare.

Dopo la buona chiusura di ieri sera a New York, con il Nasdaq a + 0,50%, il Dow Jones a + 0,61% e lo S&P500 a + 0,66%, questa mattina le borse asiatiche sembrano confermare il trend positivo. A Tokyo il Nikkei chiude a + 0,51%, portando il guadagno settimanale al 2%. Shanghai che prosegue le contrattazioni intorno al + 0,90%, con le politiche di contenimento del Covid, che ancora minaccia molte città, seppur frenando la crescita, ha almeno l’efficacia di frenare l’inflazione. Exploit di Hong Kong, che si appresta a chiudere le giornata con un rialzo del 2,70%.

Petrolio in fase di “normalizzazione”, con il WTI che si conferma in leggero rialzo ($ 83,76).

Torna sopra gli 8$ il gas naturale USA (+ 1,48%, $ 8,073).

Oro a $ 1.723 (+ 0,63%).

Spread a 229bp, con il decennale che torna a sfiorare il 4% (3,95%). Peraltro, la giornata di ieri ha visto alzarsi i rendimenti di tutto il settore obbligazionario, con il bund che ha toccato l’1,73% e il Treasury USA il 3,29%.

€/$ che torna sopra la parità (1,007).

Fiammata del bitcoin, che, grazie ad un rimbalzo di oltre il 7%, torna con forza sopra i $ 20.000 (20.649, + 7,47%).

Ps: uno dei giochi enigmistici più noti è “trova le differenze”. Gioco abbastanza semplice se mettiamo a confronto Gran Bretagna e Italia. A cominciare dalla Premiere League di calcio rispetto alla nostra serie A. Ma ancora maggiore è la differenza se guardiamo alla politica. Nei 70 anni di regno Elisabettiano, si sono susseguiti 15 Premier (il caso vuole che l’ultimo, Liz Truss, abbia ricevuto l’incarico proprio martedì, abbassando, quindi, non di poco la “vita media” dei rispettivi Governi). Da noi, invece, i Primi Ministri sono stati “solo” 67 in 74 anni

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ultimo aggiornamento: 09-09-2022


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