Come “una rondine non fa primavera”, così una semplice “dichiarazione d’intenti” (perché di questo, per il momento si tratta), a volte, può non essere sufficiente per far dire che il peggio è alle spalle.
Dalla riunione straordinaria di mercoledì del Consiglio Direttivo della BCE era emersa la volontà, da parte della massimo organismo monetario europeo, di porre un freno alla risalita degli spread attraverso la creazione di strumenti “ad hoc”. I mercati, rincuorati dall’atteggiamento propositivo della BCE, consapevole che la settimana precedente non li avevo certo tranquillizzati, avevano, nella giornata di mercoledì, dato segnali di stabilità, sia sul fronte degli indici di borsa che, ancor di più, su quello degli spread.
Ma ieri, dopo aver “metabolizzato” le ultime decisioni delle Banche Centrali di mezzo mondo (il mondo non è “eurocentrico”, per quanto la UE abbia un ruolo fondamentale per gli equilibri globali), hanno capito che non tutte le ombre sono state dissipate. Anzi, i molteplici interventi, tutti nella stessa direzione, hanno forse dato ulteriore consapevolezza agli operatori che la situazione, forse, in alcuni casi potrebbe essere più grave di quanto si pensi (ovviamente si parla di inflazione e degli strumenti per combatterla, il cui non attento uso potrebbe portare le economie mondiali in recessione).
Riepilogando: la FED americana, dopo i precedenti 2 rialzi (il 1° dello 0,25%, il 2° dello 0,50%), ha ulteriormente ritoccato i tassi, questa volta dello 0,75%, arrivando così in 2 mesi all’1,50-1.75%. E, da qui a dicembre, potrebbero seguirne altri 4.
La BCE, inerme sino ad un paio di settimane fa, ha confermato un 1° rialzo il prossimo 21 luglio di uno 0,25%, mentre rimane da definire l’entità del prossimo (già certo) a settembre (0,25 o 0,50%? “This is the question” che la settimana scorsa ha fatto decollare gli spread affossando i mercati). E qualcuno ritiene che sarà necessario un terzo entro la fine dell’anno.
La Bank of England, alle prese con un’inflazione in Gran Bretagna al 9% che, a detta di molti, potrebbe toccare l’11% in autunno, ha alzato i tassi all’1,25%, portando a 5 i ritocchi consecutivi verso l’alto (quello di ieri dello 0,25%).
Anche una Banca Centrale “tranquilla” come quella svizzera (in quel Paese l’inflazione, incredibile a dirsi, è al 2,9%) è intervenuta dopo ben 15 anni, portando i tassi, con un rialzo dello 0,50%, da – 0,75% a – 0,25%.
Questa “batteria” di interventi è suonata come un campanello d’allarme per molti operatori, instillando la preoccupazione che la tanto paventata recessione, se non è tra noi, è prossima ad esserlo. Unitamente al pensiero che l’inflazione, ritenuta sino a non molto tempo fa “temporanea e passeggera”, sia sfuggita di mano ai banchieri centrali, costringendoli in fretta e furia a correre ai ripari, con poca lucidità e strategie quasi improvvisate (rialzo o non rialzo? Di quanto? Quante volte? Riduco gli acquisti di titoli o li mantengo? Arrivo a scadenza o no? Inizio a vendere lo stock in portafoglio o no? Etc etc).
Con la caduta di ieri, molti mercati (il Nasdaq in primis) hanno pressochè toccato i minimi da inizio anno (il tecnologico americano ha perso circa il 32%).
Da più parti, quindi, comincia a farsi largo l’idea che oramai dovremmo essere vicini ai minimi e che potrebbe bastare, per esempio, che l’inflazione desse segnali di stabilizzazione e di un recupero dai livelli attuali (fondamentale sarà l’andamento dei prezzi energetici e quindi, alla luce degli accadimenti di questi giorni – vedi riduzioni forniture del gas russo attraverso il gasdotto Nord Stream -, l’evoluzione della guerra in Ucraina) per permettere alle quotazioni borsistiche di iniziare a risalire la china.
Sul fronte degli spread, è cominciato lo studio degli strumenti più opportuni da mettere in campo in Europa per “calmierarli”. Attività non semplice, anche alla luce delle differenti vedute (al solito…) tra Paesi “rigoristi” (che sarebbe i più penalizzati) e Paesi meno attenti alle Politiche fiscali (che, ovviamente, sarebbero quelli a trarre i vantaggi maggiori). Senza contare gli aspetti puramente legali, che devono tener conto non solo delle disposizioni europee, ma anche di quelle dei singoli stati membri.
Ieri sera, come anticipato, chiusure pesanti a Wall Street, con indici in discesa tra il – 2,52% (Dow Jones) e il – 4,02% (Nasdaq).
Il buon andamento dei futures di questa mattina, con rialzi nell’ordine dell’1%, favorisce il recupero dai minimi di giornata da parte delle borse asiatiche: Nikkei – 1,77%, mentre Shanghai e Hong Kong si trovano entrambi intorno al + 1%.
Innesta la retromarcia il petrolio, con il WTI a $ 115, – 0,30%.
Gas naturale americano a $ 7,379, – 1,26%, mentre quello europeo, dopo gli ultimi forti rialzi, rifiata a € 116 al megawattora (ma in giornata aveva toccato € 128).
Oro in leggero ritracciamento a $ 1.849.
In recupero lo spreas, a 208 bp; l’andamento però meno favorevole dei bund tedeschi, sfavoriti dalle voci sulla riallocazione degli acquisti dei titoli del PEPP che giungeranno a scadenza nei prossimi 12 mesi – circa € 200/250 MD, che hanno toccato il rendimento, insolito per loro, dell’1,70% (per cui il nostro BTP decennale “rende” circa il 3,80%).
€/$ a 1,0505, con l’€ in leggero recupero.
Bitcoin ancora in “sofferenza”, con la quotazione che rimane sotto i $ 21.000 (20.899).
Ps: esiste una città in Cina (Chongqing, abbreviata in Yù) con una popolazione di 8.5ML. Neanche tanto per gli standard di quel Paese. Ma se si considera l’area urbana, il numero di abitanti raggiunge i 39ML (un numero superiore a quello della popolazione del Canada). Ma la cosa ancora più sconvolgente è l’estensione dell’agglomerato urbano, grande quanto l’Austria….Al punto che la municipalità è amministrata direttamente dal Governo centrale. Quasi una “città stato” quindi. Credo che il detto “cose turche” debba tramutarsi in “cose cinesi”…