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La Svezia, pur avendo mantenuto la corona svedese come valuta di riferimento, è uno dei 27 Paesi membri dell’Area Euro. Ha, di conseguenza, mantenuto la “piena sovranità” in termini di politica monetaria: la Banca di Svezia, quindi, ha la massima autonomia decisionale, non essendo la BCE “l’autorità monetaria” di riferimento.

E’ di ieri la decisione, da parte della Banca Centrale svedese, di tagliare i tassi dello 0,25%, portandoli dal 4% al 3,75% (unendosi a quei, per il momento pochi, Paesi – Svizzera, Repubblica Ceca, Ungheria – che hanno scelto questa strada). Certamente non si può definire quella Banca (o una delle 3 dei Paesi sopra indicati) il “benchmark”, ma senza dubbio la diminuzione è l’ulteriore conferma che qualcosa, in giro per il mondo, per quanto riguarda le scelte monetarie, sta cambiando (tra l’altro va notato che, in 100 anni di storia, è la 1° volta che la Banca di Svezia si muove in anticipo rispetto alla FED americana: e pare non si fermi qui, ipotizzando altri 2 tagli entro la fine dell’anno). La BCE e, ancor più, la FED di certo non si muoveranno perché lo ha fatto la banca scandinava, ma oramai la strada si può dire segnata: si tratterà, unicamente, di capire quali saranno i tempi.

Per la BCE si fa sempre più insistente l’ipotesi che il “giro di boa” abbia inizio con la riunione in calendario il 6 giugno, con un primo taglio dello 0,25%, mentre Powell sta “sfogliando la margherita”, i cui petali si dividono tra inflazione (ancora più alta rispetto al “target” previsto) e crescita (che, invece, stando agli ultimi dati sul mercato del lavoro, inizia a dare qualche segnale di debolezza). Difficile, molto difficile (salvo improbabili sorprese dell’ultim’ora) che si “allinei”, temporalmente, alla BCE, rimandando il tempo delle scelte alla fine dell’estate.

Le previsioni in materia monetaria, ovviamente, in parte sono già state “prezzate” dal mercato, con i tassi obbligazionari che, pur essendosi, parzialmente, ripresi nei primi mesi dell’anno (la conferma, nel nostro piccolo, banalmente, l’abbiamo osservando le condizioni a cui viene collocato il nuovo BTP Valore, pressochè identiche a quelle del titolo emesso a febbraio: in quel caso primi 3 anni al 3,25%, secondo triennio al 4%, oggi primo triennio 3,35%, 2° 3,90%, con una “media” identica; l’unica differenza è data dal premio di fedeltà per chi detenesse il titolo sino a scadenza – maggio 2030 -, salito allo 0,8% dal precedente 0,7%), rimangono al di sotto dei picchi dell’ottobre scorso. Nei prossimi mesi, quindi, possiamo dare per scontata una loro ulteriore discesa: quello che potrebbe fare la differenza sarà la “velocità” o la “forza” della discesa (vale a dire il numero dei tagli piuttosto che la percentuale: oggi si parla di “cut” dello 0,25% alla volta, ovvio che se si optasse per un taglio dello 0,50% ci potrebbe essere un più rapido adeguamento). Situazione che, come è facile intuire, dovrebbe ulteriormente favorire alcuni asset (bond, sia quelli di “più alta qualità”, quindi investment grade, che quelli “meno sicuri” – high yeld – soprattutto sulle durate a medio-lungo, vale a dire dai 4-5 anni a salire, piuttosto che, ancora, anche se in maniera più selettiva, il mercato azionario).

Nulla, peraltro, è scontato, e le insidie persistono, sia in ordine alla geo-politica che a temi puramente economico-finanziari (hard-landing, soft landing o no landing, multipli azionari, in molti casi – vedi il mercato USA – tornati a livelli elevati, capacità della Cina di mantenere una buona “velocità di crociera, capacità di “tenere a bada” l’inflazione per citarne alcuni).

Quindi, ancora e sempre, “occhi vigili e orecchie tese”, privilegiando magari quei settori che, in questi anni, sono rimasti indietro e che, come nella natura delle cose, potrebbero, anche se non in maniera così rapida, riallinearsi con quelli che hanno “over-performato” il mercato, e che, in alcuni casi, potrebbero continuare a farlo, come alcuni temi oggi molti attuali, per non dire di moda.

A proposito di mode, un’ultima considerazione: è molto di attualità, in questo periodo, il confronto tra i titoli dell’AI (Artificial Intelligence) e la bolla “dot.com” di inizio millennio. Si parla, certo, sempre di tecnologia, con una grande differenza però: allora si trattava di aziende molto molto indebitate, non in grado di “remunerare” gli azionisti, con utili previsti a decenni (tanti) di distanza. Oggi la prima considerazione da fare è che non tutte sono così indebitate, cosa, evidentemente, che contribuisce a mantenere elevate i margini e consente continui investimenti; ma, soprattutto, in moltissimi casi si tratta di realtà in grado di “generare cassa”, e quindi dare ampie soddisfazioni agli azionisti. Che poi è quello che conta e tiene lontano il “rischio bolla”.

Ieri sera chiusure senza sorprese a Wall Street: Dow Jones + 0,44%, Nasdaq frazionalmente sotto la parità (– 0,04%), piatto lo S&P500.

A Tokyo questa mattina il Nikkei, con un improvviso cambio di rotta, si avvia ad una chiusura leggermente negativa (– 0,35%).

Bene, invece, i mercati cinesi, con Shanghai a + 0,78% e, a Hong Kong, l’Hang Seng a + 1,10%.

Scende (– 0,8%) la Corea del Sud, mentre Taiwan è intorno alla parità.

Futures appena negativi ovunque.

In ripresa il petrolio (WTI $ 79,40, + 0,41%).

Gas naturale Usa $ 2,193 (+ 0,09%).

Oro stabile, a $ 2.323, – 0,06%.

Spread a 133,1 bp, con il BTP a 3,79%. Continua il collocamento del BTP Valore (termine domani alle 13,00), che ha raggiunto 8,78 MD di sottoscrizioni.

Bund 1 2,46%.

Treasury 4,51%.

€/$ sempre intorno a 1,074.

Continua la debolezza “relativa” del bitcoin, questa mattina a $ 61.655.

Ps: e quindi i migranti “hanno un prezzo”, almeno per il Governo inglese. Infatti, nel piano che prevede la “deportazione” (come chiamarla altrimenti) in Ruanda, già iniziato e che dovrebbe concludersi nel 2027, per ogni migrante che verrà trasferito il Governo britannico verserà allo Stato africano circa 175.000 €. Calcoli, peraltro, piuttosto approssimativi e suscettibili, pertanto, di significativi cambiamenti (senza considerare una situazione, per quel Paese, piuttosto precaria dal punto di vista economico e, ancor di più, per quanto riguarda i diritti umanitari).

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ultimo aggiornamento: 09-05-2024


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