Dopo oltre 2 anni e mezzo di pandemia, il “contagio” che preoccupa di più non è quello sulla trasmissione del Covid, ormai per lo più derubricato ad uno stato influenzale, o giù di lì, bensì quello legato alla situazione economica.
A maggiormente preoccupare analisti ed economisti, ma anche i “non addetti ai lavoratori”, e quindi i normali cittadini, è il trasferimento dell’inflazione sui salari, come sta succedendo (anzi, è già successo) negli Usa. Più volte abbiamo ricordato le diversità tra l’inflazione europea e inflazione americana: da noi data dalla forte crescita dei prezzi delle materie energetiche (inflazione da offerta), oltre oceano legata alle dinamiche sui consumi (inflazione da domanda), che ha comportato un rapido aumento dei salari (non va dimenticata, peraltro, la notevole differenza in cui si trova il mondo del lavoro, con la disoccupazione Usa quasi ai minimi storici – 3,6% – mentre in Europa è intorno al 7%).
Per questo si fa ogni giorno più forte la polemica, che vede coinvolti sindacati, imprese e Governo, in merito agli adeguamenti salariali. Veniamo quindi a conoscenza di un nuovo acronimo, l’Ipca, che rappresenta l’indice dei prezzi al consumo armonizzato a livello europeo. Secondo l’Istat, questo valore, per il 2022, sarà pari al 4,7% (era all’1% nel 2021 ed è previsto al 2,6% l’anno prossimo, per poi scendere ulteriormente all’1,7% l’anno successivo): dato importante in quanto sarà la base di partenza per discutere, tra le parti sociali e, appunto, il Governo, i rinnovi contrattuali. Aspetto alquanto delicato e di non semplicissima soluzione: una volta “acquisito”, l’adeguamento salariale rimarrà, anche laddove ci fosse un ridimensionamento dei prezzi.
Intanto anche la Banca Mondiale taglia le stime di crescita, che, dopo il boom del 2021 (+ 5,7%), passerà ad un ben più modesto + 2,9% (ad aprile veniva ancora data al + 3.6%). Inutile ripetere le cause, ormai note a tutti. Fatto sta che anche economie abituate a ritmi di crescita quasi a 2 cifre, faticano ad arrivare al 5%: il caso più evidente è la Cina, che vedrà il PIL passare dal + 9% al + 4,5%. Gli USA, dopo il + 6,1%, scenderanno al + 2,5%. A preoccupare maggiormente, comunque, è il dato relativo al PIL pro-capite, che scenderà del 5%, mentre continuerà a crescere il numero di persone costrette a vivere in condizioni di estrema povertà, in aumento di altri 75ML.
Da noi le cose non andranno molto meglio: il PIL dovrebbe salire del 2,8%, ma alto rimane il rischio di una revisione al ribasso. L’occupazione dovrebbe migliorare, facendo scendere il livello dei disoccupati all’8,4%, avvicinandoci alla media europea. In significativo aumento gli investimenti, soprattutto quelli del settore privato, che nel 2022 saliranno dell’8,8% (+ 4,2% nel 2023), mentre rimane contenuto l’aumento dei consumi da parte delle famiglie (+ 2,3%). L’inflazione, per l’anno in corso, sarà del 5,8%, mentre l’anno prossimo dovrebbe scendere a valori più “sostenibili” (+ 2,6%).
Tanti numeri, ma tutti lasciano intendere la fase non semplice che stiamo vivendo, con una strada che si fa sempre più stretta, da parte degli organismi monetari e finanziari, per non far “deragliare” l’economia. Un percorso quasi obbligato, che passa, innanzitutto, dal rialzo dei tassi: l’ultimo, in ordine di tempo, dopo quello dell’altro ieri della Banca Centrale Australiano, quello dell’India, che da oggi ha alzato i tassi al 4,90% (+ 0,50%, vso una previsione dello 0,40%). E a breve, ormai è certo, toccherà alla BCE, forse l’ultima ad intervenire (forse solo il Giappone oggi, come l’Europa, si trova ancora in regime di tassi negativi).
Le chiusure positive, ieri sera, a New York danno vigore ai listini asiatici: Nikkei + 1,04%, Shanghai + 0,35%, Hong Kong + 2,04%. Leggero calo per la borsa indiana, dopo il rialzo dei tassi di cui sopra.
Futures in rialzo sulle piazze europee, mentre appaiono, al momento, leggermente deboli quelli americani.
Petrolio ancora più su, con il WTI a $ 120,12, + 0,50%.
Gas naturale (le quotazioni, come il WTI, fanno riferimento al gas americano, non a quello trattato in Europa, espresso in megawattora, che invece è ai minimi da qualche mese a questa parte, sotto i $ 80) a $ 9,338 (+ 0,32%).
Oro che sembra aver trovato un certo equilibrio, con le quotazioni ormai stabilmente intorno ai $ 1.850.
Spread in leggero recupero (209 bp), con il BTP intorno al 3,30%.
Treasury Usa a 3,04%: ieri il Tesoro americano ha tenuto un’asta per $ 44MD di titoli a 3 anni, con una domanda piuttosto debole, con un rendimento del 2,45%.
€/$ stabile, intorno a 1.07 (1,0693).
Bitcoin che ritorna sopra i $ 30.000 (30.452), + 3,15%.
Ps: 1 Miliardo di $. A tanto ha rinunciato Tiger Woods, forse il più grande golfista di sempre, per esibirsi a Londra ad un torneo sponsorizzato dal Principe saudita Mohammed Bin Salman. Se non miliardario, di certo il campione americano è multimilionario, per cui (forse) la vita non gli cambia di molto. Probabilmente non vuole mettere a repentaglio il prestigio sportivo (ha vinto 110 tornei professionistici) e, ancor di più, la sua etica: non dimentichiamo che il Principe saudita è coinvolto nell’omicidio di Kasshoggi, oltre al fatto che il regime saudita non può certamente essere definito democratico. Comunque per di no ad 1 miliardo di $ richiede coraggio.