I motivi sono indubbiamente tra loro molto diversi e non “interdipendenti”, ma apprendiamo che 2 tra le più importanti economie al mondo (Cina e Unione Europea) stanno vivendo una fase certamente poco positiva.
Che i lockdown imposti nelle più grandi aree metropolitane cinesi, con il coinvolgimento di quasi 1/3 della popolazione, potessero avere conseguenze sulla crescita del gigante asiatico era cosa su cui nessuno dubitava.
Quello che colpisce è la dimensione delle ricadute.
Il PIL, già previsto dal Governo al 5.5%, percentuale non particolarmente brillante per quel Paese (negli anni scorsi abbiamo assistito a trend di crescita pari a circa il 10% annuo), viene ridotto, per il 2022, ad un + 4,2%.
La disoccupazione torna pericolosamente a crescere, arrivando a toccare il 6,1%, un record (negativo) per il “dragone”, livello toccato nei primi mesi del 2020, in piena “prima ondata”.
Ancora più preoccupante il calo della produzione industriale, che scende del 2,9%, caduta grave per un Paese “appaltatore” (almeno per ora, anche se la “de-globalizzazione” che si sta avviando cambierà le carte in tavola) per tanti altri.
Pesantissime le ricadute sulle vendite al consumo, precipitate dell’11,1%.
Una situazione destinata a durare ancora per un paio di settimane, visto che le prime riaperture sono previste per i primi di giugno: presumibile, quindi, che i dati di maggio saranno ancora più negativi.
Se si vuole vedere il “bicchiere” mezzo pieno, cosa che non guasta, la “pesantezza” del momento negativo non potrà che spingere il Governo a manovre tese a sostenere l’economia e quindi ad accelerare il rilancio. Non a caso, JP Morgan e altre case di asset management hanno cominciato a rivedere le loro politiche di investimento, pronunciandosi favorevolmente sul mercato cinese e sulla possibilità che abbia toccato il fondo.
Motivazioni ben diverse, ma “atterraggio” simile per l’economia dell’area UE.
La guerra scatenata dalla Russia sta condizionando gravemente la ripresa economica, né i tempi probabilmente non così brevi per arrivare ad una soluzione aiutano.
La Commissione Europea ha rivisto i target di crescita di tutti i Paesi, riducendoli in maniera piuttosto evidente.
Se soltanto lo scorso febbraio si pensava che la UE potesse crescere del 4% per l’anno in corso e del 2,7% per il 2023, a distanza di circa 3 mesi le stime parlano di un + 2,7% per il 2022 e di un + 2,3% per il 2023. L’Italia, che a febbraio era data in crescita del 4,1%, quest’anno “lima” l’espansione al 2,4% (per il 2023 scende dal 2,3% all’1,9%). Così un per tutta l’area. Noi, forse, corriamo qualche rischio in più, in considerazione della nostra dipendenza energetica, nel caso in cui si decidesse per l’embargo: in quel caso, molti analisti si spingono a prevedere addirittura una “decrescita”, che spingerebbe il nostro Paese in recessione. Scenario, va detto, che al momento viene escluso sia a livello europeo che a livello globale: indubbiamente l’inflazione (area euro 6,1% per il 2022) rimane alta, ma per il 2023 si dovrebbe scendere ad un più “gestibile” 2,3%. Se questo fosse il trend, rimane l’ipotesi che gli interventi delle Banche Centrali siano meno “invasivi”, permettendo quindi alle varie economie una ripresa forse più veloce.
Sul tema dell’embargo e quindi delle sanzioni, ancora nulla di fatto a livello europeo: l’Ungheria continua a tenere “alta l’asticella”, non permettendo alla Commissione Europea di varare il 6° provvedimento da quando è scoppiata l’invasione. Infatti, il Presidente Orban ha chiesto, per dare il via libera, di avere aiuti per circa € 15-18MD per la costruzione di un nuovo oleodotto in grado di rivedere il proprio sistema di infrastrutture per la distribuzione energetica.
Mercati asiatici nuovamente positive: questa mattina spicca il rimbalzo di Hong Kong, che arriva a sfiorare il + 3% trascinato da tutto il settore tech. Bene anche Shanghai e Tokyo, anche se con percentuali molto inferiori (circa + 0,5%).
Futures in “rampa di lancio”, con rialzi in alcuni casi (vd Nasdaq) vicini al + 1%.
Materie prime tutte in rialzo.
Petrolio che con il WTI torna con forza sopra i $ 114. Gas naturale di nuovo oltre la soglia dei $ 8.
E anche l’oro da “segni di vita”, riportandosi sopra i $ 1.800 (1.828, + 0,69%).
Segnali di stabilità dello spread, sempre in area 189bp; rendimento del BTP verso il 2,80%.
€/$ senza particolari movimenti, a 1,0459.
“Respira” il bitcoin, tornato sopra i $ 30.000 (30.470, + 3.15%).
Ps: tante sono le aziende (europee e americane) che hanno deciso di chiudere (alcune momentaneamente), se non abbandonare definitivamente la Russia.
McDonald’s, uno dei marchi più noti e con un fortissima presenza nel Paese (oltre 847 punti vendita, il primo inaugurato a Mosca il 31 gennaio 1990, al punto da rappresentare circa il 9% del bilancio societario, ha deciso di vendere le proprie attività (84% dei ristoranti sono di proprietà, 16% in franchising). Si calcola che la perdita non sia inferiore a $ 1.4 MD. Non proprio “2 bruscolini”…che fa il paio con la decisione della Renault di azzerare la propria partecipazione in AutoVaz, di cui deteneva il 68%. Valore della cessione? 1 €, in cambio però di poter tornare, laddove lo ritenesse, in possesso delle proprie quote entro i prossimi 6 anni.