La decisione di ieri di Biden di sospendere l’import di petrolio dalla Russia (peraltro, come ricordato ieri, il peso sul totale dell’import energetico USA è assolutamente minimo, e quindi ampiamente gestibile), seguito a debita distanza da Boris Johnson, che ha dichiarato di voler azzerare l’import del petrolio russo entro l’anno, aumentando ulteriormente il peso delle sanzioni, riduce ulteriormente gli spazi di manovra. Vero è che l’Europa, per ovvie ragioni, non è “allineata” alla volontà dell’Amministrazione americana (la dipendenza dall’energia proveniente dalla Russia è un dato di fatto che rende inapplicabile la strategia USA), ma, se da una parte l’accerchiamento militare all’Ucraina si stringe e si fa ogni giorno più soffocante, dall’altra quello economico-finanziario a Putin è forse ancora più soffocante. Oramai è un “fuggi fuggi” delle aziende occidentali (è di ieri la notizia della chiusura, da parte di Mc Donalds, degli 850 negozi, anche se, per il momento, viene garantito lo stipendio agli oltre 62.000 dipendenti), intimorite anche da un’eventuale nazionalizzazione; gli asset finanziari espressi in rubli hanno perso, in molti casi, oltre il 90% del loro valore. La borsa di Mosca continua ad essere chiusa, non consentendo il minimo scambio, e le quotazioni di aziende russe su altri mercati sono state sospese. Il blocco SWIFT per diversi Istituti Bancari rende sempre più difficili, se non impossibili, le transazioni finanziarie. I gestori delle carte di credito (American Express, Master Card, Nexi) hanno bloccato l’operatività per i possessori russi. L’unica possibilità è l’utilizzo del contante, “materia prima”, che, come altre, comincia a scarseggiare. Con la differenza che, rispetto alle “solite”, il cui valore, in alcuni casi, è salito alle stelle (il nikel, per esempio, in 2 giorni è quadruplicato, costringendo la Borsa londinese, dove è trattato, a sospendere momentaneamente le contrattazioni), è in caduta libera (il rublo ieri ha perso un altro 10% rispetto al $).
Le sanzioni stanno diventando, quindi, insostenibili per l’economia russa. Un’economia che, sotto certi aspetti, è molto simile a quella ai tempi degli Zar, il che rende il paragone politico tra Putin e gli Zar molto attuale.
Se guardiamo alla distribuzione del reddito, notiamo che la Russia si trova esattamente nella condizione di circa 2 secoli fa: ora come allora, il 10% più ricco controlla il 50% del reddito nazionale, mentre il 50% più povero arriva al 15% del reddito. Ai tempi dell’Unione Sovietica la stessa percentuale controllava il 25% della ricchezza prodotta, esattamente come il 50% più povero. Quindi, in epoca sovietica, le differenze sociali si può dire che fossero meno forti.
Per quanto riguarda la ricchezza privata, dalla caduta dell’impero sovietico la crescita è avvenuta grazie soprattutto alle abitazioni, divenute private. Una parte importante l’hanno avuta anche le imprese private non quotate. La grande differenza rispetto ai Paesi sviluppati sta nella “partecipazione” alla ricchezza finanziaria, pochissimo partecipata dalla popolazione e sostanzialmente riservata alle classi più abbienti.
La vera anomalia, peraltro, sta nella quota di ricchezza detenuta all’estero. In tutti i Paesi parte della ricchezza è detenuta all’estero, tra cui i cosi detti “paradisi fiscali”. Se i cittadini statunitensi detengono il 4% della loro ricchezza finanziari in queste località, in Europa si arriva al 10%. Nei Paesi africani, la percentuale sale al 40%. In Russia si arriva addirittura al 50%, un numero impressionante, come testimoniano gli “oligarghi” (non a caso tra i più colpiti dalle sanzioni), superato solo dalle Monarchie del Golfo, in cui si arriva al 60%.
Mercati asiatici ancora una volta volatili. Negativo il Nikkei. – 0,30%, così come Hong Kong, che si appresta a chiudere intorno a – 0,85%. Più pesante Shanghai, che cede circa l’1,10%, con l’inflazione che, almeno in quella parte del mondo, da segnali di stabilità. Positive le borse di Taipei, Sidney e Mumbai, tutte con rialzi superiori all’1%.
In Europa la notizia (da confermare) che la Commissione Europea sta pensando a nuove emissioni di Eurobond per finanziare i danni (economici) derivanti dalla Guerra ha dato slancio agli indici, anche se nel pomeriggio, sulle smentite arrivate da Bruxelles, la spinta si è un po’ affievolita, permettendo comunque chiusure positive dopo alcune sedute negative.
Questa mattina Futures in netto rafforzamento, con rialzi superiori all’1%. Probabilmente il mercato comincia a pensare che sta arrivando il momento di trattative “serie”, con la possibilità della discesa in campo di “pezzi da 90”, come la Cina, la UE o l’Onu (sotto la cui “bandiera” potrebbe intervenire Angela Merkel, visto il suo ruolo ormai “non politico”).
Continuano la loro corsa le materie prime.
Petrolio in ulteriore rialzo, con il WTI a $ 125 (+ 0,94%), naturale conseguenza delle decisione USA di bloccare le importazioni di greggio russo (anche se, contestualmente, Biden ha promesso di “liberare” 60 ML di barili dalle riserve strategiche).
Gas naturale a $ 4,548, + 0,29%. Megawattore invece in diminuzione del 7% a 210 €.
Oro al massimo storico di $ 2.053, in rialzo anche questa mattina (+ 0,41%).
In forte discesa lo spread, che troviamo a 147 bp, grazie alla notizia sugli eurobond; rendimento del BTP sotto l’1,50%.
€/$ a 1.095, con € in leggero recupero.
Strappo del Bitcoin, che balza a $ 41.830 (+ 8,5%).
Ps: sappiamo quanto sia importante, per il nostro Paese, il settore della moda. E quanto possa influenzare le nostre abitudini. Attenzione però alla sua applicazione in ambiti in cui le “tradizioni” contano, come il mondo dello sport. Se ne sta accorgendo, probabilmente, anche Renzo Rosso, patron della Diesel, nonché del Vicenza Calcio, famosa, tra l’altro, per aver lanciato un “certo” Paolo Rossi. La “curva” della squadra (che milita nel campionato di serie B) sta infatti pesantemente contestando la sua volontà di cambiare la divisa “storica” della squadra, che per festeggiare i 120 anni della società, passa dalla tradizionale maglia a strisce bianco-rosse verticali ad una a righe ortogonali.