Direttore: Alessandro Plateroti

Nel 2016, Henry Kissinger, già Segretario di Stato durante le Presidenze di Nixon e Ford, scriveva che “…trascinare l’Ucraina in un confronto tra Est e Ovest impedirà per decenni di portare la Russia in un sistema internazionale cooperativo…”.

La Storia oggi ci dice che si è andati ben oltre.

Due sono, al momento, le cose certe: l’assoluta “gratuità” dell’atto di guerra di Putin, che pone la Russia nel torto più totale (sebbene circa il 60% della popolazione del Paese sia ancora favorevole al Presidente), e il fatto che la Nato (e quindi l’Occidente) non vuole nella maniera più assoluta la guerra totale, come dimostra il fermo diniego alla richiesta di Zelenskyi di una no fly zone sull’Ucraina.

Non rimane, quindi, che la via del negoziato. Appare evidente, allo stato dei fatti, che non potrà essere “solo” tra le 2 parti in causa (per quanto sia previsto, tra giovedì e venerdì, un incontro in Turchia tra i 2 ministri degli esteri con la presenza dell’omologo turco), ma dovrà prevedere la partecipazione (se non il “coordinamento”) di una personalità molto autorevole. Negoziare vuol dire fare delle concessioni, per quanto possano sembrare, in alcuni momenti, inaccettabili e oltremodo dolorose: l’autorevolezza di chi gestisce il negoziato consente appunto di far si che entrambe le parti in causa accettino un “passo indietro” (è chiaro che non potrà essere solo l’Ucraina a farlo). Ecco perché quelli attuali (ieri c’è stato un terzo incontro tra le 2 delegazioni) non si possono definire veri tentativi per arrivare ad una soluzione. Perché questo succeda è necessario che non si arrivi alla “resa totale”, e quindi prima che non serva più “negoziare”.

Sulle sanzioni credo si possa essere tutti d’accordo sul fatto che siano state un passo ineluttabile, in considerazione che rimanevano ben poche alternative per “punire” l’invasore. Visto l’isolamento totale a cui stanno portando la Russia, con ricadute che già stanno colpendo duramente un’economia già non particolarmente in salute (e per ora non toccano quella che è la vera fonte di ricchezza e sostentamento del Paese, le forniture di energia, anche se ieri gli USA hanno paventato l’embargo, con l’Europa, per bocca del Cancelliere tedesco Sholz, assolutamente contraria), il rischio è che si crei un’alleanza ancora più stretta con la Cina, che in un passato neanche troppo lontano non ha fatto segreto “del fortissimo legame di amicizia” con la Russia.

Diventa pertanto fondamentale che il nazionalismo non prenda il sopravvento (e l’Europa dovrebbe esserne ben consapevole, visto che le due grandi guerre del 900 da quello derivano).

Il dramma delle città ucraine bombardate, dei civili uccisi per strada, delle fabbriche distrutte, della fuga verso altri Stati di donne e bambini (i profughi ormai sono oltre 1,7 ML e si calcola possano superare i 5ML) spingono probabilmente verso reazioni emotive (vedi le dichiarazioni di ieri del Presidente Zelenskyi) che però rischiano di causare ulteriori vittime, sofferenze e distruzioni. Visto che l’Europa, per fortuna, la guerra non la vuole fare, non si può pensare che la facciano solo gli ucraini, di fatto avanposto dell’Europa verso Est, mandandoli allo sbaraglio.

E quindi negoziare è l’unica soluzione. Ma perché produca effetti positivi il tempo inizia a scarseggiare.

Con questo scenario, i mercati non possono che confermare l’eccezionale volatilità di questi giorni. Nella giornata di ieri, per fare un esempio, il nostro indice MIB è passato dal – 6,24% iniziale al + 0,75% del primo pomeriggio per poi chiudere a – 1,36%. Un andamento rispecchiato anche dagli altri indici, anche se in maniera meno evidente (ricordiamo l’incidenza più forte, sul nostro, dei titoli bancari-finanziari, tra quelli più colpiti dalle vendite). La debolezza degli indici americani (ieri lo S&P ha chiuso a – 3%, una delle peggiori sedute degli ultimi 2 anni) conferma la fase di grande incertezza degli operatori, condizionati da un conflitto che, per il momento, appare più forte rispetto a qualsiasi altra volontà. Contestualmente continua la corsa verso i beni rifugio ($ Usa, Franco Svizzero, oro), mentre non si fermano le materie prime, anche ieri con impennate da capogiro. A parte il petrolio, il cui “strappo” verso i $ 140, poi ridimensionato, è stato favorito dalle dichiarazioni di Blinken sull’eventualità di un blocco totale delle esportazioni dalla Russia (va detto che gli USA, secondi produttori al mondo dopo l’Arabia Saudita, davanti, appunto, alla Russia, importano da quel Paese solo il 3% del totale), un po’ tutti i minerali hanno raggiunto quotazioni che non si vedevano dalla crisi del 2008 o addirittura i loro massimi (vd palladio e nickel, quest’ultimo ieri ad un certo punto saliva del 90% rispetto al giorno precedente).

Borse asiatiche ancora una volta negative, in scia alle chiusure di Wall Street di ieri sera: Nikkei – 1,71%, Hong Kong – 1,38%, Shanghai – 2,35%.

Futures in ribasso anche questa mattina, con percentuali che vanno dal – 0,7/0,8% negli USA al – 1,4% circa in Europa.

Petrolio sempre al rialzo, con il WTI a $ 122 (+ 2,49%).

Gas naturale a $ 4,739 (- 2,09), mentre il megawattora ha superato i 227€ (+ 11%).

Oro che supera con forza i $ 2.000 (2.025, + 1,46%).

Spread stabile intorno a 160 bp.

$ sempre sugli scudi, con €/$ a 1,087.

Prende fiato il bitcoin , che “rivede” i $ 38.000 (38.500), in rialzo dell’1.7%.

Ps: oggi è l’8 marzo. Ma credo che tutte le donne rinuncerebbero molto volentieri alla loro “festa” in cambio della pace. Peace for Ucraina.

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ultimo aggiornamento: 08-03-2022


Economia di guerra

Nuova Russia? Mica tanto