Oggi sapremo se l’inflazione USA continua correre o se, invece, è arrivata al picco. Le previsioni fanno temere che possa essere ulteriormente cresciuta, arrivando a toccare il 7,3%, percentuale certamente da economia più che “surriscaldata”. Come più volte ricordato, questo è il tipico esempio di “inflazione da offerta”, vale a dire quello che si genera nel momento in cui i prezzi dei beni (in questo caso quello delle materie prime, soprattutto quelle energetiche) subiscono fortissimi rialzi a causa di problematiche derivanti dalla logistica piuttosto che dalla riduzione di scorte o dei siti produttivi. Il rialzo dei tassi, che già in parte si sta verificando per i movimenti dei mercati, mossi dalle attese di interventi delle Banche Centrali, indubbiamente non porterà ad una riduzione dei prezzi, come solitamente invece succede allo quando i prezzi aumentano per la crescita dei salari e della domanda. L’obiettivo, piuttosto, è lanciare dei “segnali”. Agli occhi dei mercati, l’immobilismo delle autorità monetarie sarebbe sinonimo di arrendevolezza, impotenza e, forse ancor più grave, incapacità di leggere le prospettive dell’economia. Ecco quindi che le parole usate dai banchieri centrali diventano “moniti” per investitori e analisti, che portano i mercati a trovare spesso nuovi “equilibri” anche se a costo, come abbiamo visto nelle scorse settimane, di scossoni difficili da assorbire.
Di fatto, si “anticipano” le fasi in cui gli “eventi” si verificheranno”: ecco perché si dice che i “mercati anticipano le fasi”. Parlando di tassi, per esempio, oggi i valori dei titoli già “prezzano” (cioè incorporano) tra i 5 e i 6 rialzi in USA e 1, se non 2, in Europa. Se quindi i prezzi dovessero confermare gli attuali livelli, nessuno si sconvolgerebbe più di tanto se FED o BCE mantenessero i propri intenti. Se invece i prezzi “svoltassero”, non rendendo più necessari, o allentandoli, gli interventi di maggior rigore, ecco che i mercati potrebbero reagire più positivamente delle attese, con un recupero importante delle quotazioni.
A conferma dell’aggiustamento “indotto” delle quotazioni è sufficiente osservare cosa è successo nelle ultime settimane sul mercato obbligazionario. Nel 2020 i bond che offrivano rendimenti negativi erano ben $ 18.000 MD, cifra che è andata via via riducendosi nel 2021. A fine gennaio si era ancora, comunque, intorno ai $ 10.000 MD. Sono bastate le dichiarazioni della Lagarde ad inizio febbraio per dimezzare la cifra: oggi le emissioni obbligazionarie che offrono rendimenti negativi sono “solo” $ 4.800 MD. Basta osservare l’andamento del bund per rendersi conto del fenomeno: quello che viene considerato il “bene rifugio” per eccellenza (forse più dell’oro e senz’altro più del treasury americano) ieri rendeva lo 0,23%, mentre solo pochi mesi fa navigava intorno al – 0,50%.
La brusca reazione dei mercati seguita alle dichiarazioni della BCE della settimana scorsa ha spinto, nelle ultime ore, la Lagarde a parole più rassicuranti: non che abbia smentito quanto affermato nel corso dell’ultima conferenza stampa, ma l’aver detto che anche nel caso si andasse verso un aumento dei tassi la Banca Centrale avrebbe “in canna” gli strumenti per sostenere la crescita ha rasserenato i mercati. Ieri le borse europee, con in testa il nostro indice MIB, hanno conosciuto una giornata molto positiva, a cui ha fatto seguito un andamento analogo di Wall Street.
Si apprestano a chiudere in territorio, seppur modestamente, positivo le borse asiatiche, tutte in recupero verso i minimi intra-day: Nikkei + 0,42%, Shanghai + 0,17%, Hong Kong + 0,11%. Bene anche l’India e l’Australia.
Contrastati i futures, con quelli USA leggermente negativi, mentre viaggiano sopra la parità quelli europei.
Petrolio sempre intorno ai $ 89 (WTI).
Scende sotto i $ 4 il gas naturale ($ 3,999).
Oro sostenuto, a $ 1.837 per oncia.
Prende fiato lo spread: dopo il picco a 166 della settimana scorsa, questa mattina lo troviamo a 154 bp, per un rendimento del BTP in area 1,77%.
Stabile l’€/$, che non si smuove da 1,142.
Bitcoin a $ 44.000 (+ 0,29%).
Ps: la conferma che non siamo un Paese “da buttare via” ci arriva dall’estero. Ryanair, forse la più grande Compagnia Aerea low coast ha deciso di investire oltre € 4,5MD nel potenziamento della flotta aerea e delle rotte dedicate al nostro Paese. Le aeromobili dedicate al traffico italiano passeranno da 67 a 92, mentre le rotte diventeranno 92 (+ 17). L’obiettivo è portare oltre 50ML di passeggeri, superando Gran Bretagna e Spagna, da sempre i mercati più importanti per la Compagnia irlandese.