Ci sono fasi in cui gli eventi richiedono un grande sforzo di equilibrismo (volgarmente si direbbe “un colpo al cerchio e un colpo alla botte”). Questo, per i mercati, probabilmente è uno di quelli.
Molte sono le incertezze con cui ogni giorno dobbiamo fare i conti. Evidentemente la cosa non riguarda solo ognuno di noi, ma anche le Istituzioni che devono sovrintendere e “governare” l’economia. Oggi e domani saranno 2 giorni cruciali, che determineranno gli scenari macro-economici e finanziari dei prossimi mesi: oggi la FED, domani la BCE, sono chiamate ad esprimersi.
Già sappiamo che il punto di partenza non è uguale, essendo i sistemi economici delle 2 più aree geografiche più ricche al mondo disallineati.
Dall’altra parte dell’oceano abbiamo inflazione ai massimi dal 1982 (+ 6,9%, senza contare che ieri è giunta comunicazione che i prezzi alla produzione sono saliti a novembre di ben il 9,6%), tasso di disoccupazione al 4,2% (minimo dal 1969, anche se rimangono ancora ben 11ML di persone in cerca di impiego: va però specificato che in questi mesi circa 4ML di individui si sono licenziati per cercare un’occupazione più remunerativa), PIL in crescita, al 2° trimestre, del 6,7% (ma con una flessione nel terzo 2,1%). Jerome “Jay” Powell è dunque chiamato a un difficile compito, che si può così sintetizzare: rischio di apparire in “ritardo” rispetto a dove si trova l’inflazione, e quindi di essersi “fatto sfuggire di mano” la situazione, ovvero di “anticiparla”, dandone una visione più grave di quanto realmente sia, e quindi “togliere fiato” alla ripresa. Va detto anche è vero che i consumi delle famiglie sono aumentati anche a ottobre (in questo aiutati dall’enorme massa di risparmio accantonato in questi ultimi 2 anni), ma rimane una percezione di fondo negativa, con attese per i mesi futuri non certo brillanti (senza contare che sta arrivando a termine il maxi piano di aiuti avviato da Trump alla fine del suo mandato e potenziato, con nuovi interventi, da Biden dal giorno del suo insediamento).
Venendo all’Europa, se da una parte la situazione sembra più semplice (siamo ancora lontani, anche se non di molto, dai livelli pre-covid, sia in termini di ripresa del PIL che di livelli di occupazione), dall’altra il compito della Lagarde è reso più arduo dai distinguo che tornano ad emergere all’interno del comitato direttivo. Da sempre, come noto, si contrappongo visioni più “morbide”, che spingono verso interventi espansivi, ad altre più “rigorose”, rivolte a politiche più restrittive. Quello di domani, poi, sarà l’ultimo Comitato per Jens Weidmann, Presidente della Bundesbank, il cui sostituto non è stato ancora designato dal neo insediato Governo tedesco presieduto dal Cancelliere Scholz, per cui si verrà a creare, con tutta probabilità, un nuovo “equilibrio”. Un equilibrio che potrebbe essere meno semplice del previsto trovare, visto alcune polemiche che stanno emergendo in Germania sul fatto che la Banca Centrale in questi ultimi 2 anni avrebbe maggiormente “aiutato” Paesi come il nostro (ma anche la Spagna, il Portogallo e la Grecia, e quindi i più deboli), acquistando titoli pubblici in percentuale maggiore rispetto alle “aliquote” pre-definite (per es, gli acquisti di nostri titoli pubblici avrebbero dovuto essere il 13,1% del totale, mentre, nel 2020 sarebbero stati superiori dell’8,1%). Tante, quindi, sono le incognite. Innanzitutto, la definizione di un livello di inflazione per i prossimi anni (il target attuale è del 2% per il 2022 e per il 2023 (fino a un paio di mesi fa era l’1,7% e l’1,5%): chiaro che se le previsioni dovessero posizionarsi su livelli ben superiori, anche la BCE non potrebbe giustificare un duraturo immobilismo. E poi, ovviamente, la forza della ripresa: a ottobre la produzione industriale dell’area UE è cresciuta dell’1,7%, spinta dalla Germania (+ 3%), ma penalizzata dai Paesi mediterranei, tra cui l’Italia, dove l’attività manufatturiera è in frenata. La BCE dovrebbe, almeno queste sono le attese, confermare che con marzo il programma PEPP da € 1.850 giungerà a termine, mentre di contro dovrebbe potenziare l’altro Piano di riacquisto di titoli (definito App), portandolo da € 20MD a £ 40MD. mentre per quanto riguarda il “3° pilastro” della sua politica monetaria (TLTRO, i prestiti mirati a favore delle Banche europee ad un tasso del – 1% affinchè possano finanziare a tassi di favore le imprese e le famiglie), la cui scadenza è prevista per giugno 2022, qualsiasi decisione appare prematura.
Seduta contrastata per le piazze asiatiche. Il Nikkei si appresta a chiudere sulla parità, mentre la “Great China” ancora una volta si conferma debole, con Shanghai a – 0,38% e Hong Kong a – 1%. A pesare, questa volta, i dati sui consumi, inferiori alle attese, e quelli sui prezzi delle abitazioni, in calo dello 0,3% rispetto al mese precedente (e non potrebbe essere diversamente, vista la crisi acclarata del settore).
Futures Usa in leggero rialzo, mentre sembrano deboli quelli sull’Europa.
In calo il petrolio, con il WTI che scende sotto i $ 70 (- 1,47% a $ 69,77).
Leggero rimbalzo per il gas naturale (+ 1,55%), $ 3,813.
Si indebolisce l’oro, – 0,29%, $ 1.768.
Spread sempre in “quota” 130 bp, con il rendimento del BTP stabile verso l’1%, così come quello del treasury USA (1.43%).
Non si scosta da 1,127 l’€/$.
Prove di rimbalzo del bitcoin, a $ 48.200 (+ 3,26%).
Ps: 4° stella per il Generale Figliuolo (meno male che non partecipa al campionato di calcio di serie A, altrimenti saremmo a 40 scudetti…): ieri è stato nominato dal Consiglio dei Ministri, nuovo comandante del Covi (Comando operativo vertice interforze), mantenendo, ovviamente, l’incarico di Commissario Straordinario all’emergenza Covid (incarico prorogato al 31 marzo, di pari passo con lo stato emergenziale).