Direttore: Alessandro Plateroti

Dobbiamo prendere atto che la speranza di un’uscita dalla pandemia in tempi brevi si allontana. La variante Omicron viaggia veloce, portandosi dietro nuove paure e nuove restrizioni. Oggi si riunirà il CdM, con all’ordine del giorno la proroga per altri 3 mesi dello stato di emergenza, provvedimento che in altre occasioni aveva messo in evidenza i “distinguo” tra i vari schieramenti politici, ma che oggi trova un po’ tutti d’accordo. Senz’altro perché la coalizione di governo è molto ampia, ma soprattutto perché tutti sembrano consapevoli dei gravi rischi che potrebbero accompagnare un’ulteriore diffusione dei contagi. Siamo certo lontani dai livelli in cui si trovano altri Paesi (nel Regno Unito il ministro della salute, Sajid Javid, arriva a prevedere nel periodo natalizio oltre 200.000 contagi giornalieri, e ieri c’è stata la prima vittima colpita dalla nuova variante del virus), ma la preoccupazione cresce di pari passo all’aumento dei ricoveri, con le terapie intensive di nuovo sotto pressione e molti reparti “Covid” che vengono riaperti.

Prende corpo, quindi, il timore che i prossimi mesi possano riservare sorprese negative sul fronte della crescita. Ormai il 2021 “è andato”: per quanto nell’ultimo periodo qua e là si intravvedano segnali di rallentamento, i numeri sono “acquisiti”. La crescita globale si dovrebbe attestare al + 5,6%, e sappiamo che il nostro Paese è tra i meglio posizionati, grazie al “miracoloso” + 6,3% del PIL. Ma per il futuro nulla è certo, e quindi non è così scontato il dato previsionale di una crescita del + 4.3% possa essere mantenuto se il trend dei contagi dovesse continuare a salire.

Considerazioni che non potranno sfuggire ai banchieri centrali che stanno per riunirsi proprio in questi giorni. Non soltanto FED e BCE, ma anche Bank of England, Bank of Japan e con loro molte altre Banche Centrali (dall’Australia al Canada, alla Svizzera alla Norvegia) si apprestano a decider quale sarà la politica monetaria con cui dovremo fare I conti.

Diversi sono gli atteggiamenti: si va da quelle più “attendiste”, come BCE o Bank of Japan, a quelle che si apprestano ad avviare una “normalizzazione”, come la FED e la Bank of England (in compagnia di Canada e Australia). Per passare a quelle che ritengono che sia arrivato il momento di invertire la rotta, come Nuova Zelanda o Corea del Sud. E arrivare, infine, a quelle che la rotta l’hanno già invertita: è il caso, per esempio, del Brasile, che la scorsa settimana ha aumentato i tassi dell’1,5%, settima manovra dall’inizio dell’anno nel tentativo di fermare un’inflazione che sta “uccidendo” i redditi e con loro l’economia del Paese. Ma anche Russia e Norvegia hanno dato segnali di rigore.

Ancora una volta, quindi, scelta non semplice, anche se, questa volta, il dado sembra tratto, almeno per quanto riguarda l’istituzione monetaria più importante al mondo, vale a dire la FED, di fatto un po’ il “riferimento” per le altre Banche Centrali. Le attese, come anticipato anche ieri, sono per un aumento della riduzione degli acquisti dai previsti $ 15MD mese a $ 30MD mese, il che comporterebbe l’azzeramento degli acquisti di bond già a marzo 2022. Sempre che, ovviamente, si ponga freno alla crescita dei contagi: se così non fosse, è probabile che tutto possa essere rimesso in discussione. Non solo, quindi, le previsioni di crescita, ma anche il passaggio da politiche monetarie accomodanti a quelle di maggior rigore. Ancor di più la parola cautela aleggerà nei vari comitati, nella contrapposizione tra l’obiettivo di mettere un freno all’inflazione senza fermare la ripresa economica.

Dopo le chiusure negative di ieri sera a Wall Street, con gli operatori nuovamente preoccupati per la crescita dei contagi, i listini asiatici si apprestano a chiudere la giornata con diffusi ribassi: Nikkei – 0,73%, Shanghai – 0,53%, Hong Kong – 1,51%, ancora una volta appesantita dall’immobiliare, con Evergrande che lascia sul terreno un altro 7%, punta dell’iceberg di un settore che sta attraversando un momento critico.

Futures Usa al momento positivo, anche se il mercato, come vediamo in questi giorni, ci sta abituando a una grande volatilità. Meno bene, invece, quelli sull’Europa, che trattano tutti sotto la pari.

Petrolio stabile, con il WTI che “tiene” quota $ 70 (71,51, + 0,20%).

Gas naturale sembra a “caccia” della soglia dei $ 4: questa mattina sale dell’1%, portandosi a $ 3,84.

Oro a $ 1.789, livello che sembra essere, in questa fase, il punto di equilibrio.

Spread che manda segnali di recupero, posizionandosi a 127 bp, con il BTP che scende sotto l’1%.

In rafforzamento anche il Treasury, il cui rendimento scende all’1,42% dall’1,49% di ieri.

Come spesso accade, si muove di pari passo il $: le attese delle decisioni della FED spingono la valuta USA a 1,1276 verso €.

Continua la debolezza del bitcoin: questa mattina lo troviamo a $ 46.800, in calo del 4.50%.

Ps: oggi abbiamo l’imbarazzo della scelta. Si va dalla figuraccia dell’UEFA sui sorteggi della Champions League alla designazione, da parte di Time, di Elon Musk di “Person of the year” alle affermazioni del Ministro Cingolani sul livello di inquinamento provocato dall’utilizzo dei social e dal “sovraffollamento informatico”. Vista l’estrema attualità (e importanza) dell’argomento, mi limito ad un veloce riferimento a quest’ultimo punto. Pare che il digitale sia causa del 4% della produzione di CO2 globale: per fare un confronto, il traffico aereo si limita al 2%. La visione di video online pare generi qualcosa come 300ML di tonnellate di CO2, pari all’1% delle emissioni globali, dovute al maggior consumo di energia. Forse conviene viaggiare di più e chattare di meno…

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ultimo aggiornamento: 14-12-2021


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