Il dibattito oramai è aperto.
A fronteggiarsi 2 scuole di pensiero: meglio perseverare nelle politiche espansive o, piuttosto, iniziare, e anche abbastanza in fretta, a virare, ponendo fine alla fase di crescita senza fine della liquidità. Tradotto: se oggi ci troviamo con un’inflazione che “galoppa” a ritmi da anni 70/80, non è anche colpa di Banche Centrali che hanno esagerato negli acquisti di titoli e di Governi che hanno avviato stimoli macroeconomici oltre misura?
Larry Sammers, già Segretario al Tesoro all’epoca dell’Amministrazione Clinton, nonché Consigliere economico di Obama, già a febbraio, non appena Biden, appena insediato alla Casa Bianca, aveva preannunciato un piano da oltre $ 3.000 MD (in parte deliberato pochi giorni fa, con il Congresso che ha dato il via libera a interventi per le infrastrutture per $ 1.200 MD), aveva messo in guardia sui rischi di pressioni inflazionistiche che potevano “sfuggire di mano”.
A distanza di una decina di mesi, i fatti sembrerebbero dare ragione all’economista democratico (peraltro oggi abbastanza inviso da Biden): gli USA si ritrovano, come noto, con un’inflazione al 6,2%, la più alta da 31 anni a questa parte (e da 5 mesi oltre il 5%). Il ragionamento di Sammers si basava sul fatto che il piano di stimoli previsto da Biden è di 6 volte superiore a quello messo in campo da Obama per superare la crisi del debito del 2008, e circa 3 volte maggiore del calo della produzione americana. Vero che il PIL USA quest’anno crescerà del 6% (anche se è in fase di rallentamento)e la disoccupazione è sotto il 5% (nel punto di massima crisi aveva toccato, per un paio di mesi, il 14.6%), e che anche i salari crescono. Intano, però, se un automobilista deve fare rifornimento, paga la benzina oltre $ 3 al gallone: e questo ogni giorno ricorda ai cittadini americani che si ritrovano con un’inflazione che rende ogni giorno più difficile mantenere il tenore di vita, con una percezione di maggior povertà che rende meno sicuro il futuro.
Ecco quindi che crescono le perplessità sull’ulteriore piano di stimoli da $ 1.850 che il Governo Usa è intenzionato a varare e, soprattutto, rendono sempre più probabile, da parte della FED, a partire dal 2022, un duplice rialzo dei tassi, che dovrebbe poi proseguire nel 2023.
Qualche campanello di allarme inizia a suonare anche in Europa, dove però l’inflazione al momento “morde” di meno (siamo al 4,1%, con la Commissione Europea che prevede, per l’anno che sta per chiudersi, il 2,4%, che poi dovrebbe scendere al 2,2% l’anno prossimo). Senza dubbio la BCE non vede la necessità, almeno per tutto il 2022, di interventi di maggior rigore, prevedendoli, per ora, a partire dal 2° semestre del 2023. Probabilmente questa valutazione, oltre che da un livello di inflazione ancora assolutamente gestibile, nasce anche dalla considerazione che nel 2010-11 l’allora Presidente Trichet, spaventato dalla possibilità di un veloce surriscaldamento dell’economia, avvio un rialzo dei tassi che si dimostrò “mortifero”, che portò ad una situazione opposta, fin quasi, come tutti ricordiamo, a far “implodere” l’€, salvato dall’ormai storico “whatever it takes” di Draghi. Di certo il vento sta cambiando. Tornando alla domanda di partenza, il dilemma oggi, da parte delle Banche Centrali (e dei Governi)è se e quanto pigiare ancora l’acceleratore, andare avanti con il freno motore o, invece, iniziare a tirare il freno a mano. L’abilità, evidentemente, sarà quella di politiche monetarie ed economiche non così “rigide”, ma che si “modellano” alle situazioni che di volta in volta ci troveremo ad affrontare. Fermo restando che il mondo intero non è ancora uscito dall’incubo: e questo è la vera variabile che ci troviamo ad affrontare (più di 50.000 contagi ieri in Germania…).
Mercati asiatici positivi nell’ultimo giorno della settimana. Nikkei + 1,13%, Hong Kong + 0,37%, Shanghai + 0.13%. Spicca nuovamente Evergrande, in rialzo dell’11%. In evidenza anche Alibaba: ieri in Cina era il “single day”, la giornata dedicata agli acquisti dei “singoli” (chissà su quali basi viene certificato lo status di single….). Il leader dello shopping online cinese ha realizzato oltre $ 84,5 MD di vendite, ben superiori ai $ 74 MD dell’anno scorso.
Futures moderatamente positivi anche questa mattina.
Petrolio in leggero calo, con il WTI a $ 81; maggiore il calo del gas naturale (– 1,22%), che però “tiene” i $ 5.
Oro ai massimi da 5 mesi, a $ 1.861, sulla spinta dei dati di un’inflazione ben sopra i livelli di guardia.
Scivola lo spread, che si porta a 118 bp, per un BTP ad un rendimento di nuovo vicino all’1% (0,96%). Si chiude oggi, a proposito di BTP, il collocamento del BTP Futura, con risultati sotto le attese; a ieri la raccolta era di poco superiore ai 3MD. La precedente emissione portò nelle casse del Tesoro € 5,48MD.
Ancora in rafforzamento il $, che fa registrare 1.145 verso €.
Senza particolare voglia il bitcoin, che “naviga” sempre intorno ai $ 64.000.
Ps: domenica si chiuderà un’epoca. The “doctor” Valentino Rossi correrà la sua ultima gara di moto GP. In circa 25 anni di carriera, ha vinto qualcosa come 9 titoli mondiali, 115 vittorie, 235 podi, di cui 199 in Moto GP. Non so se è il più grande di tutti i tempi (molti di noi ricordiamo un “certo” Giacomo Agostini…va detto, però, che all’epoca molti piloti correvano in 2 classi, al 350cc e la 500cc, e Agostini era tra questi). Di certo il “più” personaggio e forse lo sportivo italiano più famoso di sempre. Grande Vale!