Come ciclicamente succede (e come prevedibile), ancora una volta si rinnova il timore di un “attacco all’Italia” da parte dei mercati finanziari, vestiti da Hedge Funds, i fondi speculativi (in alcuni casi definiti, non a caso, “locusta”) che “fanno soldi” attraverso vendendo allo scoperto titoli (nella fattispecie i nostri BTP, nel frattempo presi a prestito) per poi comprarli a prezzi nettamente più bassi. Una sorta di “profezie che si auto-determinano”. Ma non è detto che il fatto si verifichi sempre.
Tutto è partito ieri da un articolo sul Financial Times, uno dei più autorevoli quotidiani finanziari al mondo, capace di “indirizzare” le scelte e gli umori degli investitori. Nell’articolo si legge che attualmente i BTP presi a prestito, appunto, dai Fondi Hedge hanno raggiunto $ 39 MD, livello mai raggiunto dal 2008: una quantità maggiore, quindi, anche rispetto al 2011-12, forse il momento in cui il nostro Paese ha vissuto la crisi finanziaria più grave che si ricordi, con lo spread a 575 bp e il rendimento del decennale arrivato al 7% circa.
In realtà, a guardare i vari indicatori, parlare di “attacco all’Italia”, al momento, sembra, se non avventato, almeno prematuro. Vero è che l’Italia, ancora una volta, si trova ad affrontare la difficile fase economica tenendo conto della pesantissima crisi energetica, con il gas che ieri ha toccato € 321 al megawattora, il prezzo più alto fatto registrare in chiusura di contrattazione – nell’intraday, a marzo, aveva toccato anche i 345€, ma poi era sceso in chiusura -, senza contare come sostegno BCE diminuito, con l’interruzione dei piani di acquisto dei titoli governativi e, ancor di più, le ormai imminenti elezioni politiche. Però lo spread, forse il termometro più importante, si trova a intorno ai 220bp (questa mattina è a 222, in calo rispetto ai 224 bp di ieri, a sua volta in calo verso i 230 bp di mercoledì), per un rendimento del decennale a 3,50% (2 giorni fa eravamo al 3,70%). Discorso analogo per le polizze anti-default: oggi assicurarsi contro il rischio di insolvenza costa l’1,50% dell’importo che si vuole coprire: nel 2018, all’epoca del 1° Governo Conte era al 3%, nel 2011 vicino al 6%. E, ancora, vero che $ 39MD, in assoluto, sono l’importo maggiore che gli Hedge Funds si trovano a “manovrare” dal 2008, ma all’epoca l’ammontare complessivo del debito pubblico italiano era pari a circa 1.700 MD, mentre oggi siamo a 2,766 MD. Quindi, percentualmente, un livello ben inferiore (e comunque i 39 MD sono stati toccati ai primi di agosto, mentre un paio di giorni fa erano scesi a 37 MD, certo non molto, ma a testimonianza di un’inversione di tendenza piuttosto che di un’accelerazione). In ultimo, se guardiamo i quantitativi trattati, siamo su livelli ben diversi rispetto sempre al 2008: all’epoca, per le operazioni pronti contro termine i BTP usati ammontavano, quotidianamente, a circa € 70 MD, mentre oggi siamo intorno ai 130 MD. Quantitativi, quindi, ben maggiori, che confermano l’assoluta liquidità dello strumento: e l’elevata liquidità, normalmente, è un “deterrente” in situazioni speculative.
Detto ciò, certamente non mancano gli elementi di preoccupazione, a cominciare dalla tenuta dei conti, alla luce anche, come detto, della gravissima crisi energetica: da più parti, a partire da Confindustria, arrivano “inviti” (eufemismo) al Governo affinchè si varino nuovi urgenti e sostenuti interventi a favore delle imprese più ancora che delle famiglie, visto il rischio chiusura per molte categorie (secondo Confcommercio almeno 120.000 esercizi). Provvedimenti per i quali si devono prevedere stanziamenti nell’ordine di qualche decina di miliardi, difficili da reperire, soprattutto per un Governo chiamato a gestire “l’ordinaria amministrazione”.
Intanto, come noto, è previsto per oggi (ore 16.00 italiane) l’intervento del Presidente FED, Jerome Powell, a Jackson Hole. Difficile che nell’occasione vengano fatte comunicazioni sui tassi e su quali ulteriori provvedimenti potrebbero essere presi per combattere l’inflazione e cercare di non far piombare il mondo in recessione. I mercati, soprattutto quelli americani, a guardare le chiusure (Nasdaq + 1,75%, Dow Jones + 0,98%, S&P 500 + 1,41%) sembrano piuttosto fiduciosi. Così quelli asiatici, il cui andamento odierno si conferma positivo: Nikkei + 0,57%, Hong Kong + 0,64%, Kospi Seul + 0,15%. Appena negativa, invece, Shanghai (- 0,33%), in “ritirata” nelle fasi finali di seduta.
Futures sulla parità in Europa, mentre sono frazionalmente negativi in USA.
In rialzo il petrolio, con il WTI a $ 93,65, dopo la scivolata di ieri (– 2,5%).
Gas naturale USA a $ 9,546 (+ 2%).
Oro a $ 1.759 (- 0,23%).
Spread, come detto, a 222 bp, in leggero recupero dai 224 di ieri.
Rendimento del decennale a 3,50%.
Treasury a 3,04%.
€/$ sempre appena sotto la parità (0,9956).
In calo il Bitcoin, a $ 21.434 (- 1,24%).
Ps: ancora cattive notizie sul fronte demografico per il nostro Paese. L’Istat, infatti, prevede che nel 2022 le nascite si attesteranno intorno alle 385.000 unità. Si pensi che nel 2008 sono nati, nei primi 5 mesi dell’anno, 232.000 bambini, oggi siamo, nello stesso periodo, a 149.000 (- 36%). Di questo passo, tra 10 anni la popolazione italiana si ridurrà di circa 1,2ML di abitanti, passando dagli attuali 58,87 ML a 57,63ML. E tra 30 anni saremo ben 5 ML in meno, che diventano 12 ML tra 50 anni. Tradotto in “soldoni” vuol dire che il PIL, a parità di altri indicatori, tra 50 anni sarà di € 560 MD inferiore a quello attuale….