2 sono i grandi temi (limitando l’osservazione a temi macro-economici) che ci tengono con il “fiato sospeso”: a livello europeo il prezzo delle materie prime (ma potremmo dire del gas), mentre, a livello globale, l’inflazione.
Oggi, come noto, verrà reso noto il dato sull’andamento dei prezzi negli Stati Uniti, con le stime che indicano una riduzione all’8,1% dal precedente 8,5%, confermando quindi l’avvenuto raggiungimento del “picco”. Credit Suisse, addirittura, si spinge a prevedere il crollo dell’inflazione in tempi molto rapidi, obbligando la FED a rivedere i propri piani e anticipando un cambio di rotta delle proprie politiche monetarie. Scelta a cui, quasi sicuramente, dovranno allinearsi le altre Banche Centrali, con in testa la BCE. Uno scenario “best case”, che si differenzia non poco dalla maggioranza degli analisti e, non dimentichiamolo, dalle stesse Banche Centrali, convinte che l’inflazione, per quanto certamente intraprenderà da questo mese la strada della discesa, rimarrà almeno per tutto il 2023 oltre il 5% (5,5%). Certo, se così fosse assisteremo ad un recupero rapido e intenso dei mercati azionari: qualcosa stiamo intravedendo in questi giorni, con il Nasdaq che in 4 sedute ha incamerato il + 6,2%, ma tutti i listini stanno dando segnali di forza,permettendo il recupero dopo la caduta successiva alle dichiarazioni di Powell ai margini del Convegno di Jakson Hole di fine agosto.
L’altro tema che, in Europa, non fa dormire sonni tranquilli è quello legato al prezzo del gas.
Dopo che se ne è fatto un gran parlare nei giorni scorsi, sembra definitivamente accantonato il price cap. 2 le difficoltà principali: innanzitutto una questione politica, con alcuni Paesi (Olanda, Germania, Ungheria, Slovacchia i più contrati) che continuano l’ostracismo verso questa soluzione, seppur con motivazioni diverse, da quella puramente “finanziaria” (Olanda, dove, come oramai tutti sappiamo, il Ttf, il mercato in cui avvengono gli scambi dei “futures” e si definiscono i prezzi), ad quella prettamente geo-politica (Germania, dove termina il gasdotto North Stream 1, da sempre forse il maggior “partner” economico occidentale della Russia), a quelle degli ex Paesi della “cortina di ferro”, per i quali non ci sono altri modi per ricevere le forniture, essendo privi di sbocchi sul mare.
Non meno importante la questione tecnica: fissare un prezzo massimo non è cosa semplice, andando contro la legge del mercato. Un mercato, nota bene, che non è fatto solo dai Paesi UE, me è ben più ampio e che comprende Paesi (Cina e India, per esempio) che, ad oggi, non hanno preso le distanze dalla Russia, non condividendo le sanzioni che molti Paesi al mondo hanno attivato nei confronti di Mosca. Quindi l’impossibilità di un “unico” interlocutore, elemento fondamentale per arrivare alla fissazione del prezzo massimo: in sua mancanza, il “prodotto” si dirige verso i mercati più convenienti, dove il prezzo continua a rimanere libero (anche se poi va capito come farebbe ad arrivare a destinazione, cosa non semplice da attuare, essendo già oggi pressochè “a tappo” gli impianti). Per non parlare, poi, di “quale” gas può essere oggetto di blocco del prezzo: solo quello che arriva tramite North Stream (peraltro per ora bloccato) o anche quello che passa attraverso altri canali di fornitura? Insomma, un rompicapo di non facile soluzione.
Normale, quindi, che le scelte della UE si indirizzino verso soluzioni più “controllabili e indirizzabili” da parte degli organismi comunitari. In primis un piano di risparmi che ogni giorno di più sta prendendo forma, con l’ipotesi di un contingentamento che, nelle ore di punta (3 o 4 ore) può arrivare al 5% dei consumi. E poi lo “sdoppiamento” del prezzo, sganciando quello dell’elettricità prodotta dal gas da quelli derivante da altre fonti di energia. Mentre dovrebbero tornare attuali il nucleare e il carbone. Per ora siamo allo stato di bozze, ma ormai la strada sembra segnata.
Al di là di imporre (o meglio, indurre) una riduzione del prezzo del gas, l’altro importante obiettivo da raggiungere è mettere uno stop alla sua volatilità. Come abbiamo avuto modo di vedere in queste ultime settimane, le oscillazioni di prezzo possono essere, da un giorno all’altro, ma anche intraday, molto ampie, causando non pochi problemi agli operatori (in questo caso le società “utilities”, ricomprendendo in questa definizione le imprese che, operando nel settore, acquistano il gas per poi rivenderlo ovvero utilizzarlo per produrre energia, che poi, ovviamente, rivendono sul mercato). Questi operatori, infatti, devono versare i cosidetti “margini di garanzia” (margin call) per poter accedere al mercato (stimati intorno al 20% del valore dell’operazione che si intende trattare). Operazioni finanziarie che, visti i prezzi, hanno raggiunto dimensioni colossali (a livello europeo si stima € 1.500 MD, € 200 MD solo per le imprese italiane), livelli pressochè insostenibili per chiunque: non a caso alcuni Governi, come quello tedesco, sono dovuti intervenire con innesti massicci di liquidità per salvare alcune aziende). Questo potrebbe diventare il vero problema per i prossimi mesi, vista anche la “stagionalità” a cui andiamo incontro.
Oggi mercati asiatici regolarmente aperti dopo la festività di ieri: dopo le chiusure positive di ieri sera a Wall Street, l’andamento degli indici è moderatamente positivo, con il Nikkei che chiude a + 0,25%. Ancora più contenuti i rialzi a Shanghai e Hong Kong, che comunque sono avviati a chiudere sopra la parità.
Futures Usa positivi, in crescita di circa lo 0,30%; sulla parità, invece, l’Eurstoxx.
Ancora in ripresa il petrolio, con il WTI che si porta verso i $ 90 (88,21, + 0,38%).
Forte anche il Gas naturale Usa, a $ 8,403 (+ 1,73%); ieri quello europeo trattata a € 191, in ribasso dell’8%.
Spread in ribasso a 229 bp, con il rendimento del BTP che torna sotto il 4% (3,93%).
Bund tedesco a 1,64%, mentre il Treasury rimane intorno al 3,33%.
€/$ a 1,0141, ai massimi da 3 settimane.
Continua la ripresa del bitcoin, a $ 22.343 (+ 2,45%).
Ps: a proposito di “bamboccioni”. Ieri a Napoli si è tenuto un concorso per 500 posti da operatore ecologico. I candidati che si sono presentati sono stati 26.114. Di questi, 10.445 hanno un diploma di scuola media superiore, e 1.232 una laurea. Sfido io a definirli bamboccioni…