Rimborso tragitto casa-lavoro: ecco quando spetta al pendolare – economiafinanzaonline.it
In questo caso il dipendente può chiedere al datore di lavoro un rimborso per il tragitto percorso per raggiungere il posto di lavoro.
Molti lavoratori spendono non poco a percorrere ogni giorno in auto il tragitto che da casa porta al lavoro, per non parlare del tempo impiegato. La domanda è se ai pendolari possa spettare un rimborso delle spese sostenute per il trasporto. Prima di tutto sarà bene operare alcune distinzioni. Non pochi infatti confondono il tragitto casa-lavoro con il rimborso chilometrico o con la trasferta.
Si tratta di cose completamente differenti. Ad esempio il rimborso chilometrico spetta al lavoratore che si reca in un luogo diverso dalla sua abituale sede lavorativa per svolgere compiti e mansioni per conto dell’azienda. In più il dipendente si sposta con un mezzo proprio (auto di proprietà o a noleggio). Già questa sommaria descrizione fa emergere la diversità rispetto al tragitto casa-lavoro.
In questo secondo caso infatti il lavoratore si reca semplicemente sul solito posto di lavoro per svolgere le mansioni per conto dell’azienda. Ne consegue che il tragitto casa-lavoro non può essere trattato alla stregua del rimborso chilometrico. Altro caso ancora quello della trasferta di lavoro, a sua volta molto differente dal tragitto casa-lavoro.
Chi va in trasferta per lavoro è assegnato temporaneamente a una sede differente da quella abituale, per esigenze aziendali. Il trasfertista ha diritto a un ristoro integrativo sotto forma di rimborso spese o di indennità. In più questo tipo di rimborso – dipende se la trasferta è in Italia o all’estero – ha un valore diverso e diversa è pure la tassazione. Una parte del rimborso per la trasferta infatti è esentasse.
E per quello che riguarda il tragitto casa-lavoro? È possibile beneficiare di qualche rimborso? In gran parte dei casi la risposta purtroppo è negativa. Esiste però un’eccezione. A fissarla è stata la Corte di Giustizia dell’Unione Europea. È quanto prevede una sentenza del 2014, la C-266, successivamente recepita dall’ordinamento italiano (D.Lgs. 66/2003, Norme in materia di orario di lavoro).
In questa sentenza la Corte di Giustizia europea ricorda che il datore di lavoro è obbligato a retribuire il tempo impiegato per raggiungere il posto di lavoro dai lavoratori dipendenti senza una sede fissa. Il rimborso arriverà direttamente in busta paga e sarà calcolato in base all’orario di partenza e di arrivo del lavoratore e al salario orario percepito dal dipendente.
La differenza rispetto alla trasferta sta nella tassazione. I rimborsi a cui fa riferimento la Corte europea sono regolarmente tassati. Rientrano dunque nel calcolo del reddito individuale ai fini IRPEF e INPS.
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