Inizia oggi un mese decisivo per il nostro Paese, in cui si definirà la composizione del Parlamento per i prossimi 5 anni.
I risultati che leggeremo il 26 settembre, peraltro, saranno in buona parte determinati dal “qui e ora”, vale a dire dalla situazione in cui l’Italia si trova, che non può prescindere comunque dagli eventi eccezionali degli ultimi anni, a partire dalla pandemia per finire alla guerra in Ucraina e dal “modo” in cui sono stati affrontati. Perché la situazione attuale è si figlia non solo dell’imponderabile e/o da eventi che siamo chiamati a subire, ma anche della nostra capacità di affrontarli, individuando le soluzioni più adeguate e opportune.
Superata (anche se non completamente risolta) la pandemia, “derubricata” (normalizzata?) l’invasione dell’Ucraina, come ben sappiamo oggi il “problema” è l’inflazione, con tutto ciò che ne consegue: difesa del potere di acquisto di salari e stipendi, consumi, costi dell’energia, occupazione, rinnovato rigore delle politiche monetarie. Insomma, un insieme di fattori che possono portare il mondo in recessione se non in stagflazione, la “tenaglia” alta inflazione-recessione i cui danni sociali possono essere ancora più gravi di quelli causati da una vera e propria guerra.
I dati sull’inflazione in Italia ad agosto lasciano poche speranze su una sua rapida scomparsa: era dal 1985 che non vedevano i prezzi salire con percentuali così elevate (8,4%). L’aumento mensile è stato dello 0,8%, che ha contribuito ad una progressione annua pari allo 0,5%. Vero è che l’inflazione core si è fermata al 4,4% (per trovare livelli analoghi bisogna andare al 1996), ma siamo comunque ben oltre la soglia del 2%, il “target” fissato dalla BCE.
Peggio va nell’Eurozona, con il costo della vita salito, nei primi 8 mesi dell’anno, al 9,1%, con l’indice core (al netto, quindi, dei prezzi di energia e alimentari) al 5,5%. Ben sappiamo, dopo 6 mesi di guerra, quale sia la maggiore causa della lievitazione dei prezzi. La speranza è che si arrivi, al di là della pace, l’obiettivo principale, forse passato in secondo piano (da settimane non si sente più parlare di negoziati e/o incontri bilaterali o allargati per discuterne), a definire una strategia europea comune che fissi le regole per bloccare il prezzo del gas, arrivato la settimana scorsa all’incredibile cifra di € 340 per megawattora (1 anno fa eravamo a circa € 27). E’ stato sufficiente annunciare che i Paesi membri, con in testa la Germania (fino a pochi giorni fa contraria ad un price cap), si incontreranno nei prossimi giorni per valutare in da farsi per far scendere il prezzo sino a € 240 di ieri, nonostante il blocco del gasdotto North Stream 1 di questi giorni.
I pessimi dati sull’inflazione contribuiscono, come ovvio, a dare maggior voce ai “falchi”, e quindi a tutti coloro che, in seno alla BCE, vogliono che politica monetaria europea insista senza timore sulla strada del rigore. Diventa, quindi, molto probabile un aumento dello 0,75% dei tassi anche in Europa, sulle tracce di quanto sta succedendo negli USA (a Jakson Hole il Presidente FED, Jerome Powell, ha fatto intendere che la “lotta dura” all’inflazione continuerà, pur nella consapevolezza della “zavorra” che l’aumento dei tassi causerà alla crescita). Lo lascia intendere anche l’andamento del rendimento dei titoli di stato dei vari Paesi membri: guardando ai livelli attuali, possiamo notare che, dalla fine del 2021, gli aumenti siano stati assolutamente straordinari. Il bund tedesco, per esempio, al 31/12/21, aveva un rendimento negativo dello 0,18%. Ieri rendeva l’1,54%. Gli Oat francesi, sempre al 31/12/21, erano allo 0,96%: ieri rendevano il 2,55%. Il Portogallo “pagava” lo 0,49%, ieri il 2,65%. La Spagna lo 0,60%, ieri il 2,74%. E noi? Dall’1,18% di fine anno, il nostro BTP ieri era al 3,89%. Percentualmente, quindi, un rialzo inferiore a quello fatto registrare dagli altri Paesi: magra consolazione, però, visto che in termini assoluti siamo al livello più alto (ce la giochiamo con la Grecia….).
La speranza è che l’inflazione sia finalmente arrivata al “picco” e che la BCE (così come la FED) dopo i prossimi rialzi (dopo quello di settembre, le previsioni si spingono ad ipotizzare ancora 2 rialzi entro la fine dell’anno, anche se in misura più contenuta – si parla di uno 0,25% a ottobre e un altro 0,25% a novembre).
I mercati anche ieri, dopo aver cercato un rimbalzo, hanno ripiegato, con chiusure ovunque negative.
Il Nasdaq ha perso l’1,22%, il Dow Jones lo 0,88%, lo S&P500 lo 0,78%, a 3.955 punti. Secondo il capo delle strategie d’investimento azionario per gli USA di Morgano Stanley, il punto di arrivo potrebbe essere 3.400 punti, con un calo potenziale, quindi, ancora del 15%.
In Asia il Nikkei chiude a – 1,53%; Shanghai al momento fa segnare – 0,50%, mentre Hong Kong cade del 2%.
Futures al momento negativi, con perdite che, nel caso del Nasdaq, arrivano intorno all’1%.
Nuovo calo del petrolio, con il WTI che si porta sotto i $ 90 (89,05, – 0,66%).
Perdite simili per il gas naturale USA, a $ 9,077.
Oro che “tiene” quota $ 1.700 (1.709,6, – 0,52%).
Spread a 241bp, per un BTP che oramai “vede” il 4%.
Negli USA treasury a 3,19%. Non finisce di stupire il biennale, con il rendimento arrivato al 3,50%, il livello più alto dal 2007.
€/$ che si conferma sopra la parità, seppur a fatica (1,0016).
Bitcoin che scivola sotto i $ 20.000 (19.980).
Ps: spiace, come spesso è successo negli ultimi anni, leggere che un’azienda italiana, magari leader di settore e testimonial del miglior “made in Italy”, passa in mani straniere. Ma credo che, nel caso di ITA, non sia pochi quelli che pensano che sia quasi una liberazione. La nostra Compagnia di bandiera (di fatto Alitalia ha cambiato nome, ma si può dire che ci sia continuità operativa) dal 1974 ha “bruciato” € 14.5MD, di cui 10 MD solo dal 2008 ad oggi. Tra il 2009 e il 2017 € 3.4 MD. Nel periodo in cui è stata commissariata (quindi sino al 2021) altri € 2,5MD. Senza contare i vari “prestiti ponte” che non pochi problemi hanno creato con l’Europa. Ieri è arrivato l’ok del Governo a trattare in esclusiva la proposta Certares-Air France-Delta.Ma non è detta l’ultima parola: per una strana analogia, anche nel 2008 la proposta di acquisto di Air France (quella volta correva da sola) arrivò in piena campagna elettorale. E sappiamo bene come andò a finire. O meglio, come “non” andò a finire…